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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

La Pasqua a Kharkiv negata dal sangue «Viviamo con il terrore di essere uccisi»

Nessuno ha ancora coperto il cratere che resta ben visibile nel fazzoletto di terra compreso fra la strada, una casa dove le finestre e il tetto sono saltati in aria e lo stabile che accoglie la piccola chiesa greco- cattolica. «Era proprio la nostra cappella il bersaglio del missile lanciato dai russi il 18 dicembre che ha creato questa voragine di cinque metri», dice padre Mykola Litvinenko. La prova gli arriva da quanto hanno riferito i pochi irriducibili rimasti in paese e da ciò che è accaduto a qualche centinaio di metri di distanza. «Lì c’è la chiesa protestante. O meglio, c’era. Perché l’hanno colpita in pieno. Restano solo mura crollate. I due razzi sono partiti insieme: uno diretto verso la chiesa protestante; l’altro verso la nostra». Il sacerdote riprende fiato. «Chissà se domenica riuscirò a celebrare la Messa della Risurrezione qui…».
È una Pasqua negata quella nelle cittadine della regione di Kharkiv lungo il confine con la Russia. Negata dalla pioggia di missili e droni che si abbatte sugli abitati, come accade a Zolochiv dove padre Mykola è parroco e dove il Cremlino si dice pronto a un’incursione per espugnarla. O negata dall’assedio delle truppe russe, come a Vilcha, il villaggio ormai spettrale accanto all’enclave russa di Vovchansk che è stata strappata all’Ucraina nell’offensiva lanciata da Mosca lo scorso maggio. «No, non è più possibile raggiungere Vilcha – sospira il parroco, padre Andriy Nasinnyk, che è anche direttore diocesano della Caritas greco-cattolica ucraina –. L’agglomerato è stato abbandonato e la chiesa bombardata. Mi sono messo l’animo in pace: l’ultima Pasqua a Vilcha è stata quella dell’anno scorso».
Nell’Ucraina orientale persino la storia della salvezza sembra venire riscritta dalla follia della guerra: l’inferno russo prevale sulla Risurrezione. Almeno viene da dirlo in quelle località che hanno l’unica colpa di essere troppo vicine alla frontiera e che l’esercito di Vladimir Putin ambisce a conquistare per destabilizzare l’oblast di Kharkiv. Teste di ponte per la nuova «offensiva russa di primavera» sulla regione che ha annunciato a fine marzo lo stesso presidente Volodymyr Zelensky.
Come Zolochiv che potrebbe essere una delle direttrici d’attacco. Aveva 7mila abitanti prima del conflitto. «Nessuno può dire quanti siano rimasti dopo che, fra gennaio e febbraio, i russi hanno cominciato a bombardarla in maniera massiccia», racconta il sacerdote che fa la spola con Poltava. Una tempesta di fuoco che adesso si aggiunge ai continui tentativi di penetrazione dei soldati di Mosca nelle colline intorno alla cittadina. «Non è chiaro se e da dove i russi intendano entrare in paese. Fatto sta che tutto ciò ha provocato un esodo collettivo», afferma il sacerdote. Sono strade fantasma quelle di Zolochiv: segnate dal silenzio e dalla devastazione. «Nulla viene risparmiato. È stato centrato anche l’ospedale. E ogni giorno si contano nuovi feriti e morti». Chi non l’abbandona vive negli scantinati. «Davvero qui si tocca con mano il terrore di essere uccisi», avverte il parroco. Domenica scorsa a Messa erano in cinque. «Due soldati e tre signore anziane. Insieme abbiamo pregato per la pace: accade da tre anni».
Nella chiesetta le finestre non ci sono più. Sono state sostituite dalle assi di legno. «È vero che il missile di dicembre non è finito sulla cappella. Ma l’esplosione ha danneggiato vetri, infissi e tetto. Inutile ripararli. Li abbiamo aggiustati alla meglio», prosegue padre Mykola. Lo scorso 6 gennaio una bomba teleguidata lo ha seguito. «Grazie al cielo sono riuscito a fuggire». Adesso si affida all’autobus di linea per arrivare in parrocchia. «Non è prudente neppure usare il pullman quando gli attacchi sono così intensi. Ma l’auto è ancora più a rischio: i droni kamikaze russi tallonano qualsiasi macchina, soprattutto quelle dei civili, e poi le colpiscono». Una pausa. «Ogni volta che concludo la liturgia spero di tornare vivo a casa». L’omelia di domenica è pronta. Però lui non sa se riuscirà ad essere a Zolochiv. «Dipende se mi autorizzano a entrare o no. Per ragioni di sicurezza».
Chi ha la consapevolezza di non poter rimettere piede nella sua chiesa è padre Andriy. Vilcha è una città proibita. O meglio, un villaggio che contava duemila anime e che ora è ridotto in macerie. Come la limitrofa Vovchansk che è già caduta in mano russa. «Persino le strade sono state minate dai battaglioni di Putin», riferisce il sacerdote che vive nel capoluogo. Un abitato che prende il nome dall’omonimo agglomerato intorno alla centrale di Chernobyl evacuato dopo il disastro nucleare del 1986 e ricostruito a tavolino dall’Unione Sovietica nell’oblast di Kharkiv. Già nel 2024 Vilcha era una zona a rischio per la sua vicinanza al confine russo che ne ha sempre fatto un bersaglio facile per Mosca. «I militari mi avevano sconsigliato di andare a Pasqua. “Non è sicuro”, ripetevano. Però non potevo lasciare da sola la gente proprio nella solennità più importante dell’anno liturgico». Era affollata la chiesetta intitolata alla Madonna del Soccorso. «Abbiamo invocato la fine della guerra. Certo, non immaginavo che sarebbe stata l’ultima Messa». Perché, a distanza di pochi giorni, è scattato l’assalto russo. E a settembre un missile è piombato nel giardino del tempietto che è stato devastato. «Il nemico ha anche messo online il video della bomba teleguidata che colpiva», afferma il parroco. L’ultimo a vedere la chiesa è stato Oleksandr Gurel, operatore della Caritas di Kharkiv che abitava nel villaggio. «Era tutta bruciata. Ho fatto fatica a entrare. Volevo recuperare alcuni arredi sacri». Era settembre. Quando è uscito, un drone russo lo ha intercettato. «Mi sono gettato a terra. Il velivolo è esploso poco più avanti. Sono salvo per miracolo», dice. Padre Andriy mostra sul cellulare le foto della chiesetta che aveva scattato il 22 settembre 2022. «Era la celebrazione dopo la liberazione di Vilcha che era rimasta occupata nei primi sei mesi di guerra. Ricordo ancora le parole di un’anziana: “Padre, pensavo che qui non avrei mai più visto un prete cattolico e che non avrei mai più avuto la possibilità di confessarmi”». Nella Pasqua 2025 un sacerdote cattolico a Vilcha è tornato a essere soltanto utopia.