Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  aprile 17 Giovedì calendario

Ben Affleck: "Ho studiato per recitare nel ruolo di un autistico. L’AI non sostituirà gli attori"

È diventato celebre grazie a un’amicizia profonda, si è affermato come attore e sceneggiatore, è passato alla regia nonché alla produzione e, nell’arco di una carriera lunga quasi trent’anni, ha dovuto sempre fare i conti con uno spasmodico interesse dei media, dovuto in buona parte alla relazione tumultuosa con l’ex-moglie Jennifer Lopez: «Ad alcune persone – ha dichiarato di recente – piace seguirmi come se fossi una soap opera vivente». Dai tempi di Will Hunting – Genio ribelle, scritto e interpretato nel 1997 con il fedelissimo Matt Damon, il premio Oscar Ben Affleck ha combattuto la sua personale battaglia di emancipazione, entrando e uscendo dal tunnel delle dipendenze, elaborando il rapporto difficile con il padre, scrollandosi di dosso le etichette più varie, sex-symbol, macho tutto muscoli e poco cervello, ragazzone intemperante e maleducato. Oggi, dopo l’ennesima separazione da JLo, sembra concentrato sui suoi interessi più alti e sul suo ruolo di papà. Nel nuovo film The Accountant 2, sequel del successo del 2016, torna ad essere Christian Wolff, contabile affetto da autismo, capace di sciogliere gli enigmi più complessi grazie alla forza della sua mente originale guidata dalla logica dei numeri. Che, alla fine, tornano sempre: «Nella vita vera sono completamente negato, non so fare i conti e quindi potete immaginare quanto sia difficile seguire i mie ragazzi quando devono fare i compiti di matematica».
Dopo le riprese la situazione è migliorata?
«Sì, finalmente ho imparato qualcosa che posso trasmettere. Ogni volta che faccio un film ne parlo con loro, racconto il personaggio che devo interpretare, ci confrontiamo. Mi piacciono i ruoli come questo, che possono servire anche a educarli e fargli capire la necessità di essere rispettosi dei problemi degli altri e la bellezza del fare amicizia con persone che, in apparenza, possono sembrare diverse».
Come si è preparato per interpretare un uomo affetto da autismo?
«Non è stato facile. Per me era importante essere accurato, conoscere ogni aspetto del disturbo, non avrei potuto portare sullo schermo una persona con Asperger senza fare prima molte ricerche e senza conoscere ogni aspetto della patologia. Ho studiato, ho guardato video e documentari, poi ho incontrato tanti alunni di una scuola di Los Angeles frequentata da persone tra i 18 e i 30 anni con questo problema. Si dice che la malattia inibisca le relazioni interpersonali e invece è successo che tutti erano entusiasti e volevano parlare con noi. Comunque quello dell’autismo è un gene incredibile, se non fosse esistito non avremmo avuto personaggi del calibro di Einstein e di Mozart».
C’è una sequenza del film, molto riuscita, in cui Christian incontra in un locale una ragazza che attira la sua attenzione. Per conquistarla si mette a ballare la “line dance”, ballo tipico del country Usa, senza mai sbagliare un passo. Le è mai successo di sentirsi in difficoltà con una donna?
«Come capita a molti di noi, Christian, in quel momento, non si sente a suo agio, non è facile per nessuno avviare una relazione, soprattutto nelle fasi iniziali, quando è necessario dare un senso ai gesti, alle parole, capire se contengono segnali oppure no. Capita di chiedersi “Questa persona mi sta guardando o mi sbaglio?”, “gli piaccio?”, “se mi avvicino faccio una brutta figura?”. Christian fa la scelta migliore, usa un’arma con cui si sente a suo agio, la capacità di identificare subito lo schema del ballo di gruppo. In fondo tutti possiamo seguire il suo esempio, fare le cose che ci vengono meglio».
In The Accountant 2 (dal 24 nei cinema) torna a essere solo attore e non regista. Qual è il suo mestiere preferito?
«Quando ti ritrovi a lavorare con un regista che stimi, come in questo caso, è tutto molto più facile... però mi piace recitare anche quando il regista sono io, so che in quel caso avrò sempre la possibilità di dire la mia se qualcosa non mi convince. E comunque, dietro la macchina da presa, mi piace prendere tutto il tempo che voglio per girare le cose che ho in mente e anche per ottenere il meglio dagli attori».
The Accountant 2 è un film d’azione immerso nei temi contemporanei. In testa l’intelligenza artificiale. Qual è la sua opinione?
«Non me ne occupo in prima persona, ma sto valutando con grande attenzione che cosa comporterà il suo utilizzo nel settore cinematografico. La mia prima reazione non è stata positiva, ho pensato che l’AI finirà per distruggerci tutti perché è evidente che il nostro mestiere può essere facilmente clonato, replicato. Poi, invece, ho capito che il meccanismo della recitazione, se paragonato ad altre funzioni in altri ambiti professionali, è molto più difficile da riprodurre».
L’uso dell’A. I. è stato uno dei temi cruciali della protesta che ha paralizzato Hollywood un paio di anni fa. Secondo lei come finirà?
«Credo che nei contratti degli attori, d’ora in poi, debba essere inserita una clausola che sancisca la possibilità di scegliere se si vuole essere rigenerati oppure no. Se si accetta, bisogna calcolare il valore economico dell’assenso e quindi ci devono essere compensi adeguati».
Ha parlato più volte dell’eccessiva attenzione dei media per la sua vita privata. Ha imparato a conviverci?
«Non ho ancora capito perché ci sia un interesse così morboso nei confronti della mia vita, ma ci sono cose peggiori... Ho deciso di concentrarmi su un unico punto, sapere bene che cosa stia succedendo davvero nella mia esistenza».