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 2025  aprile 17 Giovedì calendario

Carrie Mae Weems: "La fede è attivismo. Nelle chiese dei neri c’è il futuro americano"

Una mostra di Carrie Mae Weems è sempre un evento, in questo momento storico ancora di più. Artista americana di fama internazionale in grado di ispirare anche Beyoncè per il disco Lemonade, Weems mette da sempre al centro del suo lavoro i temi dell’identità culturale ed etnica, del sessismo e dell’appartenenza di classe in un’America di cui racconta tutto (soprattutto il suo problematico passato, il suo rapporto con le minoranze), anche quello che una certa parte di popolazione ( e la nuova amministrazione Trump) vorrebbero invece dimenticare, nascondere, cancellare. Il titolo Carrie Mae Weems. The Heart of the Matter richiama a una delle sue qualità di artista: la capacità di andare al cuore del problema, al centro di tutto. Aperta al pubblico dal 17 aprile fino al 7 settembre alle Gallerie d’Italia (Torino), la retrospettiva comprende molti dei suoi primi lavori, come la storica serie di fotografie Kitchen Table Series, oltre a una selezione di progetti più recenti, come Scenes and Takes e Painting the Town, e importanti installazioni video. Il progetto intitolato Preach è invece realizzato su committenza per questa esposizione, una ambiziosa e intensa installazione che ripercorre la religione e la spiritualità degli afroamericani attraverso le generazioni.
Che cosa dobbiamo aspettarci di vedere in The Heart of the Matter?
«È una mostra molto ampia con molte opere. È più simile a una retrospettiva, anche se quando ho iniziato a lavorarci non sapevo anche che sarebbe diventata tale. Ci saranno fotografie e video, suoni e voci, musica. Ci saranno miei primi lavori e anche la mia ultima opera fotografica, intitolata Preach. Diciamo che inizia con foto e storie di famiglia e si conclude con questo nuovo progetto su commissione che si concentra sui concetti di spiritualità e sulla chiesa nera così come si esprime negli Stati Uniti».
Quale è il suo rapporto con la chiesa come luogo fisico?
«Sono stata cresciuta in chiesa. Ma quello che mi premeva esprimere è la prospettiva storica. Negli Stati Uniti per molti anni, a causa delle condizioni di schiavitù e dei modi in cui venivano portati qui, ai neri non è stato permesso di praticare alcun tipo di religione. La gente ha quindi incominciato a praticare nelle foreste, tra i cespugli, tra le erbacce, lontano da occhi indiscreti. La prima volta che ho sentito parlare dei “rifugi nella boscaglia” – è così che venivano chiamati – ne ho sentito parlare da mia madre, 15 anni fa. Ho iniziato ad indagare e anche a riflettere sulla resilienza di queste persone che erano costrette a pregare in segreto. Ho riflettuto su come la fede veniva espressa e sul perché il gospel è diventato così importante, come la musica in generale e gli inni sono diventati così importanti. E come sono diventati importanti i luoghi: la chiesa nera poteva essere una vecchia banca, un vecchio McDonald’s, il seminterrato o il salotto di qualcuno. Non è come la Chiesa cattolica romana, dove ci sono questi straordinari edifici dedicati a Gesù, Giuseppe e Maria. La “Black Church” è umile e gli edifici che la ospitano sono solo contenitori».
Quello che affascina delle chiese nere è che sono tante e diverse tra loro.
«Ogni isolato ha una chiesa e tutte insieme rappresentano una molteplicità di forme e pratiche. Il modo di predicare della chiesa nera si basa molto sull’improvvisazione, non segue necessariamente un copione, segue un tema di idee. E all’interno di questo tema, ci sono diversi modi di essere espressivi individualmente. Una delle cose che mi interessa come artista è come noi neri, a cui era proibito leggere e scrivere, abbiamo imparato a usare in modo così fantasioso e creativo una lingua che non era destinata a noi. Oggi, uno dei modi in cui sentiamo il potere dell’oralità nera e del linguaggio nero è attraverso la musica rap. Il rap ha cambiato la musica in tutto il mondo, e questi giovani artisti lo hanno fatto in una lingua che non era destinata a loro. Se i neri sono noti per qualcosa, lo sono per la musica, il suono e la qualità di quel tipo di espressività, compassione, passione, e penso che sia straordinario».
Nella chiesa nera c’è anche un legame molto forte tra spiritualità e attivismo.
«Non si può separare la spiritualità dall’impegno civile. Proprio ieri ascoltavo un bellissimo discorso di Martin Luther King, pronunciato verso la fine della sua vita, in cui dice la frase “quando scriverete di me, dite che ero un uomo che ha lottato per la giustizia”. Credo che ci sia, in gran parte dell’arte nera, della produzione culturale nera, questa sorta di importanza nel fare riferimento alla condizione che ci ha portati qui. E quella condizione, ovviamente, è stata la mancanza di diritti. Ovunque guardi sei sempre, in un modo o nell’altro, a negoziare quella differenza. Anche questo fa parte di ciò che sono io: una tipica donna afroamericana che reagisce alla nostra condizione e spera di superarla, reagendo e spingendosi oltre».
Come si sente un’artista come lei quando l’amministrazione Trump tenta di mettere a tacere le voci dei neri, di imbiancare la storia e la cultura degli Stati Uniti?
«Non è nulla di nuovo. L’America ha sempre avuto difficoltà con la verità. La verità è che a causa dei cambiamenti demografici gli Stati Uniti si stanno trasformando da un Paese bianco a un Paese nero e ispanico e l’impatto di questo fenomeno si sta facendo sentire profondamente. Trump è la personificazione della paura di questo momento, dei bianchi che stanno cercando di capire come mantenere il potere di fronte al cambiamento. Noi neri sapevamo da anni che sarebbe successo. Non sapevamo esattamente che forma avrebbe preso, ma ora lo sappiamo. Ne abbiamo visto i primi barlumi con Sarah Palin, 15 anni fa, l’avanzamento dell’estrema destra».
Qualcosa sta cambiando nella percezione del problema?
«Noi afroamericani lo abbiano sempre saputo, ma la novità è che ora lo sanno anche i bianchi americani, ora anche loro devono avere la volontà di affrontare la verità sul razzismo e sul fascismo. Lo sa chi ha beneficiato maggiormente delle politiche di diversità, equità e inclusione? Le donne bianche. Quindi in questo brutale tentativo di controllare completamente la narrazione, di controllare il Paese e di controllare il potere, le vittime collaterali sono persone bianche che improvvisamente si rendono conto di cosa significa quando l’America è in vendita, quando le multinazionali controllano davvero il Paese. Quello che penso sia interessante è che il significato di privilegio bianco ha iniziato a cambiare: non più collegato alla razza, ma alla classe sociale. Il razzismo è importante. Ma la classe sociale è forse ancora più importante. Quando impareremo che apparteniamo a una classe e non a gruppi razzializzati, allora potremmo iniziare a organizzarci e ad affrontare la verità in un modo nuovo. Tutte queste migliaia di persone che sono state licenziate, per la maggior parte sono bianchi e cosa dicono? “Non pensavo toccasse a me”. In questo senso io sono euforica perché credo sia un momento davvero importante. Non ho paura».
La sua fiducia negli Stati Uniti è cambiata?
«No, ma la mia comprensione si è approfondita. Viviamo in una democrazia borghese che funziona benissimo per i ricchi e non per i più poveri. Abbiamo la capacità di essere un Paese migliore, e ci stiamo ancora muovendo in quella direzione, ma non ci siamo ancora arrivati e non ci saremo per un po’. E molto di ciò a cui stiamo assistendo è anche una reazione negativa all’amministrazione Obama. In un modo o nell’altro, tutto il mio lavoro si rifà a queste idee. Come si dice in questi casi: un passo avanti e due indietro. È come ballare il cha cha cha».