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 2025  aprile 17 Giovedì calendario

Milano-Cortina, la procura: “Indagini ostacolate da questo governo”

Il governo Meloni ha “interferito” nelle indagini della Procura di Milano rispetto ai gravi reati di corruzione pubblica ipotizzati dai pm all’interno della Fondazione Milano-Cortina già presieduta dall’ex numero uno del Coni Giovanni Malagò. E lo ha fatto definendo l’ente di diritto privato e varando “una legge ad Fondationem”, che ha portato il Riesame a rubricare l’accusa a semplice corruzione tra privati, e così incanalando il fascicolo su un binario morto. È questo il dato rilevante che emerge dalla richiesta di archiviazione inviata ieri al Gip di Milano e nella quale i pm, non ravvisando la sussistenza del reato di corruzione tra privati, in alternativa chiedono che il giudice invii gli atti alla Consulta perché valuti i gravi elementi di incostituzionalità della legge del giugno scorso con cui il Governo con interpretazione autentica di una sentenza del Tar del 2004 ha blindato la natura privatistica della Fondazione, di fatto bloccando le indagini da cui sono emerse diverse ipotesi corruttive rispetto ad almeno due appalti, un “giro di mazzette” e “plurimi fenomeni clientelari”.
Pubblica o privata, questo è il dilemma. E se, con un colpo di mano, il governo, dopo la discovery dell’indagine, ha varato il decreto legge di giugno, pochi mesi dopo l’Autorità nazionale anticorruzione ha definito la Fondazione un ente di diritto pubblico. E ora la scelta della Procura di Milano, che sostiene il diritto pubblico dell’ente, sottolinea una volta di più lo scontro con il governo. Una volta di più perché il dato era già emerso nel luglio scorso, quando, dopo il decreto legge, la Procura aveva depositato una memoria al Riesame. E già allora accusava il governo di aver “artatamente introdotto una specifica norma ad Fondationem in palese contrasto con i principi del diritto comunitario e in violazione dei principi costituzionali”. Ora, poi, lo scontro entra nel vivo. A testimoniarlo una richiesta di archiviazione di duecento pagine dalle quali emergono per la prima volta due manager di Deloitte indagati. Al centro un appalto per il sistema digitale, già in parte turbato nel primo affidamento a un’altra società, e di nuovo taroccato, secondo i pm, a favore di Deloitte. Tanto che, per la Procura, “la condotta illecita ha cagionato un danno patrimoniale alla Fondazione e un ingiusto vantaggio a Deloitte quantificabile allo stato in 2,1 milioni”. Deloitte ieri ha ribadito “la convinzione della totale correttezza del nostro operato”.
Tuttavia la scelta dei pm di Milano rende ancora più evidente lo scontro con il governo. Perché nella richiesta di archiviazione la Procura scrive di una chiara “interferenza del potere legislativo pienamente perpetrata”. Una “interferenza che mina l’autonomia e l’indipendenza del giudicante”. E dunque, secondo la Procura, il governo “stabilendo che la Fondazione non riveste qualifica di organismo di diritto pubblico” ha “interferito indebitamente con la funzione giurisdizionale” e dunque con le indagini ancora in corso perché “un simile intervento interpretativo del legislatore preclude una serie di possibili reati, condizionando le attività del pm”.
Secondo i magistrati di Milano il decreto legge del governo è “irrazionale, incongruo e contraddittorio” visto che non vi è “alcuna plausibile giustificazione, se non quella del tutto arbitraria di aggirare surrettiziamente le disposizioni comunitarie, per non applicare alla Fondazione lo statuto e la disciplina propri dell’organismo di diritto pubblico”. Una legge, quella del giugno scorso, che serve solo a nascondere “la sostanziale natura di un ente che per la missione istituzionale di cui è investito, in nulla si differenzia rispetto ad ogni altro organismo di diritto pubblico essendo la stessa stata costituita per il soddisfacimento di esigenze di interesse generale”. La stessa Procura fornisce una interpretazione autentica del diritto pubblico della Fondazione allorquando cita l’intercettazione dell’avvocato della Fondazione legata alla questione cybersicurezza: “È comunque attività di interesse nazionale per quanto ci ostiniamo a dire che non persegue l’interesse generale”.