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 2025  aprile 17 Giovedì calendario

Tecnofeudalesimo, le aziende diventano le nuove cattedrali

Non più guglie, campanili e gargoyle di marmo a presidiarne le austere facciate, né rosoni invasi dalla luce carnicina del tramonto, le nuove cattedrali vengono edificate con semi-conduttori e abbellite con i riverberi azzurrognoli degli schermi dei personal computer.
Joel Kotkin, ricercatore di urbanistica presso la Chapman University in California, nel 2020, in pieno rigoglio pandemico, aveva lanciato l’allarme con il suo bel volume The Coming of Neo Feudalism a Warning to the Global Middle Class, edito dalla Encounter: nuove forme di potere si agitano nel ventre brulicante della Silicon Valley, una élite cognitiva che si percepisce superiore per capacità inventiva va assemblando le proprie cattedrali, il proprio culto, facendo rifluire il capitalismo stesso a una dimensione puramente immateriale, virtualizzata e predatoria. E proprio a metaforiche cattedrali, Kotkin dedica uno dei capitoli centrali del volume, focalizzato sull’humus culturale di questo trionfante feudalesimo hi-tech: i teorici, i legittimatori, i chierici, una casta che celebra l’ascesa di una classe dominante che minaccia di annichilire i concetti stessi di opportunità e di mobilità sociale. Kotkin, in una generale ottica conservatrice e anti-woke, osserva con preoccupazione la disgregazione delle classi sociali, la sterilizzazione della innovazione, ormai monopolisticamente centralizzata nelle mani dei nuovi signori del Tech. Il feudalesimo hi-tech, paragrafo che apre il capitolo sui nuovi oligarchi, si basa sulla contrattualizzazione di ogni rapporto sociale, sul riflusso dei cittadini alla macro-categoria dell’utente ridotto a servo della gleba ma convinto di partecipare a un moto emancipatorio globale, alla virtualizzazione dei mezzi di produzione detenuti dalle grandi società del digitale.
In ottica liberale, una critica al tecnofeudalesimo la si trova anche nel discusso volume Radical Markets di Eric A. Posner e di Glen Weyl, autori che rimarcano la soggezione in cui versa il consumatore digitale e sottolineano come le transazioni avvengano cedendo i propri dati personali non per denaro ma per ricevere servizi erogati dalle piattaforme.
A fine 2024, nell’anglosfera, è stato pubblicato dalla Verso Books il volume How Silicon Valley Unleashed Techno-feudalism: The Making of the Digital Economy dell’economista francese Cédric Durand, edizione inglese di un saggio risalente al 2020. Durand è stato di recente ospite in Italia a Torino nell’ambito della Biennale Democrazia 2025, ove ha evocato la necessità di opporre all’emergente tecnofeudalesimo un internazionalismo digitale non allineato.
L’utilizzo del termine non piace a tutti. Molto critico con quella sinistra che rifugiandosi nel tecnofeudalesimo come categoria descrittiva e precettiva avrebbe finito per indorare la pillola è l’Evgeny Morozov di Critique of the Techno-Feudal Reason. Non a caso, un recente volume dell’ex Ministro greco, Yanis Varoufakis, edito in Italia da La Nave di Teseo, reca il titolo Tecnofeudalesimo cosa ha ucciso il capitalismo. Sì, Morozov ce l’ha anche con lui.
Durand in realtà mantiene il punto della sua visione e ritiene che la definizione di tecnofeudalesimo stia a rimarcare una degenerazione predatoria ulteriore del capitalismo immateriale e soprattutto lo sviluppo di una convergenza tra infrastruttura economica e autocoscienza politica.
Nonostante il termine tecnofeudalesimo, nella prospettiva conservatrice classica e in quella post-marxista, sia meramente didascalico, c’è qualcuno che invece lo ha voluto prendere molto sul serio; Curtis Yarvin.
Yarvin, programmatore informatico della Silicon Valley, fondatore della start-up Tlön, debitrice nel nome di una novella di Borges, è una figura tornata alla ribalta di recente. Intervistato dal New York Times nel gennaio 2025 e dal prestigioso magazine geopolitico Il Grand Continent, ha visto il suo nome fare capolino anche nel dibattito pubblico italiano.
Anni fa, sotto il nome fittizio di Mencius Moldbug, redigeva meticolose analisi neoreazionarie sul blog Unqualified Reservations, combattendo la Cattedrale, ovvero il sistema liberal-progressista incistato nel profondo di istituzioni e accademie e patrocinando la sostituzione dei sistemi democratici con monarchie aziendali governate da consigli di amministrazione al cui vertice si sarebbe situato un Monarca-CEO. Chiuso il blog da anni, Yarvin non ha deposto però la sua verve neoreazionaria e forte dei suoi contatti, amicali e di affari, con giganti della Silicon Valley come Peter Thiel e Marc Andreessen, ha continuato a sostenere la necessità di superare il modello liberal-democratico americano e di farlo dimostrandosi incuranti di divisione dei poteri e pronunce giudiziali. Secondo Yarvin, la democrazia è ormai disfatta e la società dovrebbe superare la propria fobia degli uomini forti e, senza tanti giri di parole, dei dittatori. Nel 2021, l’attuale Vicepresidente USA J.D. Vance lo ha citato durante una intervista in un podcast, suscitando brividi di terrore nell’opinione pubblica.
Una delle ultime trovate di Yarvin va sotto l’acronimo R.A.G.E. e consiste nell’imperativo di pensionare tutti i dipendenti pubblici non fedeli al nuovo corso monarchico-trumpiano. Sembrerebbe aver trovato materializzazione nell’azione del D.O.G.E. di Elon Musk, anche se Musk non è mai stato un fan di Yarvin. Proprio questo aspetto fa pensare che più che influenzare i nuovi monarchi del Tech, Yarvin dia copertura filosofica alle loro azioni, ma rigorosamente ex post.
D’altronde è quanto accaduto a lui stesso, quando Nick Land, già fondatore dell’Accelerazionismo, ha teorizzato il suo Illuminismo oscuro (edito in Italia da GoG) ibridando il tecnofeudalesimo reazionario di Yarvin con il pensiero di Thiel, la cultura dei meme, il primigenio Accelerazionismo e l’anarco-capitalismo di Hans-Hermann Hoppe.
Allacciate le cinture o, se preferite, indossate l’armatura.