Avvenire, 17 aprile 2025
Minorenni, perché sempre più aborti?
Continua a crescere, per il quarto anno consecutivo, il numero di donne minorenni che hanno ottenuto dal giudice tutelare l’autorizzazione all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Lo segnala la Relazione sullo stato di attuazione della legge 194 concernente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, relativa al 2024, appena presentata al Parlamento dal Ministero della Giustizia. «I dati relativi agli anni 1989-2024 – si legge nel documento – mostrano che le richieste rivolte al giudice tutelare da parte di donne minorenni per ottenere l’autorizzazione all’Ivg, nei casi in cui sia mancato l’assenso delle persone che esercitano la responsabilità genitoriale o la tutela su di esse, siano risultate in numero pressoché stazionario fino al 2007 con una media annua di circa 1.300 richieste, poi continuamente decrescente fino al 2020 con 301 richieste, e quindi nuovamente crescente nel quadriennio 20212024 (con 348, 394, 415 e 440 richieste rispettivamente)».
Ricordiamo che per la donna minorenne che non intenda portare a termine la gravidanza la legge prevede che, non potendo esercitare autonomamente i propri diritti, debba richiedere l’assenso ai genitori o a chi ne ha la tutela, assenso che costituisce condizione necessaria per poi rivolgersi a una delle strutture sanitarie autorizzate. Tuttavia, nei primi 90 giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, rimette, entro sette giorni dalla richiesta della donna minorenne, una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui essi operano. II giudice, entro cinque giorni, «sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna a decidere l’interruzione di gravidanza». Qualora invece il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minorenne, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela, e senza ricorrere al giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero.
La Relazione del Ministero della Giustizia si occupa dunque solo dei casi senza il consenso dei genitori. Se aggiungessimo quelli che questo consenso lo hanno avuto arriveremmo a numeri molto più alti. Nel 2022, ultimo anno riferito nella Relazione del Ministero della Salute al Parlamento (che fotografa per la prima volta da anni un aumento globale degli aborti in Italia), le donne di età inferiore ai 18 anni che hanno effettuato una Ivg sono state 1.861, pari complessivamente al 2,8% di tutti gli interventi praticati in Italia e a un tasso di abortività del 2,2 per mille, in aumento rispetto al 2,1 rilevato nel 2021 e all’1,9 del 2020. Risultato del contemporaneo aumento delle Ivg delle minori italiane e della diminuzione di quelle straniere. E questo malgrado dal 2020 sia stato eliminato l’obbligo di prescrizione medica per le “pillole del giorno dopo” – di fatto farmaci abortivi – con il conseguente boom di vendite. Sarebbe importante – per capire il fenomeno, la sua evoluzione, perché è tornato a crescere, chi ancora ricorre all’aborto e per quali motivi – avere altre informazioni che, purtroppo, dal 2005 la Relazione non fornisce più. Fino a quell’anno venivano rilevate, e analizzate, l’età e nazionalità della minorenne, la persona eventualmente consultata dalla minorenne e i motivi di non consultazione, i motivi addotti dalla minorenne. Tutte variabili che consentivano di avere una visione più ampia del fenomeno. Notizie particolarmente importanti, come si leggeva nella Relazione del 2011 (ministro Paola Severino), l’ultima a citarle, anche se vecchie. Ad esempio, sul numero dei casi il Ministero scriveva che «riguarderebbe in misura sempre maggiore donne extra-comunitarie». Aggiungendo che «l’ambiente in cui si trovano le minorenni che maturano la terribile decisione è in genere abbastanza desolante, essendo spesso caratterizzato da gravi disagi all’interno della famiglia, soprattutto di tipo sociale (genitori separati, o in conflitto tra loro o con la stessa figlia) oltre che economico, dalla mancanza di dialogo e, a volte, anche dalla salute precaria di uno dei due genitori». Ma l’aborto non è solo frutto del degrado sociale. «Vi sono anche casi – si leggeva ancora – in cui la minorenne vive in un contesto sociofamiliare positivo, caratterizzato anche da buoni rapporti con i genitori. Malgrado ciò, la ragazza non adduce espressamente nessun motivo particolare per voler abortire se non quello di rifiutare categoricamente il figlio avvertendolo semplicemente come un peso». Eppure, «un consiglio da parte dei genitori potrebbe forse aiutarle a ponderare maggiormente il problema». Tutto questo nella Relazione non c’è più, neanche come citazione, così come alcune criticità segnalate dai giudici nelle loro relazioni al Ministero, in particolare le “migrazioni” di alcune minorenni verso giudici più favorevoli, le motivazioni delle minorenni, il ruolo dei consultori.
Le poche informazioni rimaste sono quelle relative alla distribuzione geografica. Con la conferma che si tratta di un fenomeno soprattutto delle regioni settentrionali e delle grandi città. Il 45% delle richieste ha infatti riguardato il Nord (era il 50% nel 2023), il 29% il Centro (era il 24%), il 21% il Sud (era il 19%), il 6% per cento le Isole (era il 7%). Dei 196 casi del Nord, 53 sono relativi a Milano (in forte calo, erano 64), 36 a Torino (in aumento, erano 27), 29 a Brescia, 27 Bologna, 22 Genova, 17 Venezia. Dei 114 casi del Centro, 81 sono relativi a Roma (in forte aumento, erano 57) e 27 Firenze. Tra i 92 casi del Sud ne troviamo 25 relativi a Napoli e 23 Bari (in aumento). Tra i 26 casi riscontrati nelle Isole, 8 sono relativi a Palermo, 9 Catania e 7 Cagliari.