corriere.it, 16 aprile 2025
Torino, la «stanza dell’amore» in carcere è lontana. La scarsità di risorse e personale frenano gli incontri col partner decisi dal Governo
Quanto dovrà aspettare il carcere di Torino per avere una stanza destinata ai colloqui intimi? Se lo chiedono centinaia di detenuti, che da un anno hanno subissato di istanze i magistrati di Sorveglianza. A gennaio 2024 la corte Costituzionale ha sancito il diritto dei reclusi a incontrare partner e familiari riservatamente (anche per rapporti sessuali) e, ora che il Dap ha emanato le linee guida, aumenta anche la pressione sugli uffici che devono autorizzare o negare gli incontri. I sindacati di polizia penitenziaria – l’Osapp in testa – si sono scagliati apertamente contro il provvedimento, ma gli agenti non sono i soli a nutrire preoccupazioni.
I rischi del carcere aperto
«Ben venga la stanza dell’amore, ma il carcere è un colabrodo – commenta Marco Viglino, presidente del tribunale di Sorveglianza —. Bisogna evitare che questi incontri non facilitino la circolazione di droga e telefonini, fenomeni a cui abbiamo già assistito». Le linee guida prevedono incontri da «due ore e porta non chiusa da dentro», ma non potranno richiederli i detenuti colpevoli di infrazioni disciplinari e o sorpresi con droga e oggetti non ammessi.
Anche il diritto all’affettività rischia di rimanere al palo, però, visto che i magistrati di Sorveglianza riescono a malapena a star dietro alle urgenze. «Sono tutte materie che si aggiungono al carico di lavoro, già gravoso. La priorità resta far uscire prontamente chi ne ha diritto e non lasciare i condannati in libertà. Saremmo in difficoltà anche con l’organico pieno, invece siamo al 50%», spiega il presidente.
Cronica mancanza di personale
Secondo la pianta organica, negli uffici di via Bologna dovrebbero esserci 45 unità di personale amministrativo. Gli effettivi invece sono 29, con una continua emorragia.
«Molti vengono qui da noi, ma quasi subito se ne vanno all’Inps, all’Inail o all’Agenzia delle Entrate, dove il trattamento economico è migliore, si può fare smart working e gli straordinari vengono pagati regolarmente. Come biasimarli se tra i ruoli di responsabile e funzionario ci sono solo 50 euro di differenza?», fa notare la direttrice amministrativa Maria Rita Diano.
Il fuggi fuggi riguarda anche gli agenti penitenziari. «Gli ultimi due sono “scappati” dopo venti giorni», racconta una cancelliera. La digitalizzazione, poi, resta un miraggio. La famigerata App, l’applicativo imposto alle Procure per gestire il processo penale telematico, ha lasciato fuori la Sorveglianza e in via Bologna le lancette sono ferme a trent’anni fa. «Tutto ciò che arriva per posta elettronica va stampato, usiamo due risme di carta al giorno – continua Diano —. Poi gli autisti caricano in auto i faldoni e li portano ad Alessandria, Novara o Vercelli, dove si trovano gli altri uffici. Tre su quattro sono senza autista e i nostri devono coprire tre province. Solo Cuneo ne ha uno, ma lavora anche per il tribunale e di recente l’auto di servizio si è rotta».
Le difficoltà non hanno impedito al ministero di imporre un giro di vite sulle dotazioni. Da qualche tempo, per esempio, via Arenula fornisce solo stampanti di rete ogni due uffici. Se a questo si somma un trattamento economico al di sotto delle altre amministrazioni, si capisce perché anche lo sblocco del turnover dopo vent’anni non abbia portato benefici. «Siamo in una situazione disperata, ma nessuno ci scolta – conclude Diano —. E più cerchiamo di andare veloce, più il margine d’errore aumenta».