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 2025  aprile 13 Domenica calendario

La parola di Dio e la chiesa cattolica I papi e il rinnovamento biblico

Mai troppo incoraggiata nella tradizione cattolica, la lettura diretta della Bibbia è uno dei meriti del Concilio Vaticano II. Ma già alla fine del XIX secolo il tentativo dei modernisti di rispondere alle esigenze della critica storica aveva cercato di rinnovare anche in questo ambito.Represso con durezza da Roma il modernismo, al difficile processo del rinnovamento biblico cattolico ha poi molto contribuito – con strascichi e colpi di scena che arrivano fino alla vigilia del concilio – l’azione di tre papi: Pacelli, Montini e Ratzinger. Contraddittorio e non del tutto chiarito resta invece il ruolo di Roncalli, che pure aveva intuito e aperto il concilio. 
Il ruolo di Pio XII
A riconoscere il ruolo di Pio XII è nel 1968 un’opera innovativa nel contesto dell’effervescenza postconciliare: The Jerome Biblical Commentary, intitolato al traduttore per antonomasia delle sacre Scritture, san Girolamo. La storia di questo straordinario commento e delle sue tre edizioni racconta il travaglio di una riforma non più procrastinabile.
Tradotto in spagnolo e in Italia dalla Queriniana, la più importante editrice di testi teologici nel nostro paese, il commento statunitense si rivela subito un successo. Le vendite oltrepassano in poco tempo le duecentomila copie, un numero incredibile per un’opera così imponente.
Un ventennio più tardi sensazionali scoperte archeologiche e i nuovi indirizzi interpretativi impongono una seconda edizione. Anch’essa pubblicata dalla Queriniana, l’opera viene dedicata, come già quella del 1968, alla memoria di Pio XII, «grande promotore degli studi biblici cattolici nel XX secolo».
Nel 1989 la dedica include Paolo VI, scomparso da un decennio: il pontefice bresciano ha infatti «difeso e consolidato il progresso di questi studi durante e dopo il secondo concilio Vaticano». Manca il nome del «papa buono», che per cinque anni aveva regnato tra Pacelli e Montini.
Oltre trent’anni dopo, nel 2022, arriva il terzo Jerome. Del tutto nuovo, in oltre duemila pagine presenta e spiega – brano per brano, in modo chiaro – tutti i libri della Bibbia. Al commento si affiancano trattazioni sintetiche sulla geografia, sull’archeologia, sulla storia relative ai testi sacri cristiani e sulle nuove letture della Bibbia: femminista, africana, latinoamericana, asiatica, ecumenica. Intanto nel 2006 era uscito a Nairobi un Africa Bible Commentary, interamente scritto nel continente. 
Il terzo Jerome
Vero monumento, il terzo Jerome è stato appena tradotto ( Commentario biblico per il XXI secolo, Queriniana), e la dedica ai pontefici italiani è sostituita – nell’introduzione dei quattro curatori (John Collins, Gina Hens-Piazza, Barbara Reid, Donald Senior) – da quella a papa Francesco, che ha firmato anche la prefazione.
Autori delle prefazioni ai commenti precedenti erano anch’essi due gesuiti: nel 1968 il tedesco Augustin Bea e nel 1989 l’italiano Carlo Maria Martini. Il primo, specialista dell’Antico Testamento, rettore del Pontificio istituto biblico e confessore di papa Pacelli, era un convinto sostenitore dell’ecumenismo e soprattutto del dialogo con gli ebrei. Il secondo, specializzato nella critica testuale e poi arcivescovo di Milano, è stato una delle figure maggiori del cattolicesimo contemporaneo.
Bea spiegava il motivo della dedica a Pio XII. È stato proprio papa Pacelli a superare mezzo secolo di stagnazione nello studio della Bibbia e a porre così le basi dell’«aggiornamento» voluto dal Concilio Vaticano II anche in questo ambito. 
Gli studi di Lagrange
Un primo rinnovamento negli studi biblici era stato infatti approvato da Roma nel 1893 con l’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII. Ma poco più tardi al modernismo – radicale e per alcuni aspetti inaccettabile – Roma aveva reagito con una spietata repressione, che senza distinzioni aveva fatto terra bruciata di ogni fermento innovatore.
Venne travolto persino il massimo rappresentante della ricerca biblica cattolica, il domenicano Marie-Joseph Lagrange, peraltro mai censurato dalla Santa sede. Il biblista fondatore della celebre École biblique di Gerusalemme – l’istituzione francese che pubblicherà l’omonima Bibbia, eccellente e diffusissima (in Italia appena ripresentata dalla bolognese Edb) – muore nel 1937.
In sostanza il frutto degli studi di Lagrange viene ripreso nel 1943 da Pio XII con la grande enciclica biblica Divino afflante Spiritu. Un vero spartiacque – scrive ora nel Commentario Donald Senior – «che avrebbe ribaltato parecchi decenni di sospetto sugli studiosi accademici cattolici della Bibbia» e che «resta la magna carta dell’interpretazione cattolica della Scrittura».
L’importanza del documento pacelliano era stata riconosciuta nel 1969 da una donna, la biblista luterana Suzanne de Dietrich, che aveva scritto come l’enciclica avesse aperto agli studiosi cattolici «possibilità di ricerca completamente nuove». E il suo giudizio confermava un’osservazione del cardinale Bea nella prefazione al primo Jerome : «L’orientamento biblico dei documenti conciliari» che si deve all’influsso della Divino afflante Spiritu spiega il loro apprezzamento da parte dei non cattolici. 
Contro le nuove tendenze
Nella seconda edizione del commento biblico anche Martini scriveva dell’aspetto ecumenico. «Gran parte del progresso compiuto dallo studio della Bibbia negli ultimi decenni e documentato in quest’opera è frutto dell’intensa ricerca di interpreti appartenenti a diverse chiese cristiane», osservava il cardinale, unico cattolico nel gruppo dei biblisti che hanno curato l’edizione critica del Nuovo Testamento ( The Greek New Testament ) destinata ai traduttori in centinaia di lingue moderne.
Ma, morto Pacelli, contro le nuove tendenze della ricerca biblica favorite in ambito cattolico dall’enciclica di Pio XII vi era stato – tra il 1961 e il 1962, mentre si prepara il concilio – un colpo di coda dei conservatori più intransigenti, i tre cardinali italiani Alfredo Ottaviani, Giuseppe Pizzardo ed Ernesto Ruffini.
L’offensiva parte dalla Pontificia università lateranense, con l’obiettivo di colpire soprattutto il Pontificio istituto biblico. E il risultato è la clamorosa sospensione dall’insegnamento – approvata da Giovanni XXIII – che il Sant’Uffizio impone a due autorevoli biblisti gesuiti: il francese Stanislas Lyonnet e il tedesco Maximilian Zerwick.
Sintomatico del clima di quegli anni è un episodio ricordato con arguzia da Raymond Brown, uno dei curatori dei primi due Jerome, in una monumentale ed esemplare trattazione ( La nascita del Messia, Cittadella). A essere messi in discussione dalle nuove tendenze erano soprattutto i racconti evangelici dell’infanzia di Cristo, tanto che negli Stati Uniti un biblista ricevette per Natale un augurio dove figuravano i magi: arrabbiatissimi di essere stati liquidati come figure letterarie, questi chiedevano allo studioso di essere ricevuti. 
Giovanni XXIII, pur distante e amareggiato dall’attacco dei conservatori, era molto preoccupato per le tendenze degli studi biblici cattolici, soprattutto sul Nuovo Testamento, come nel 2024 ha ricostruito il cileno Juan Carlos Ossandón Widow in uno studio sull’"Anuario de Historia de la Iglesia”. Una testimonianza diretta viene dal diario del gesuita Roberto Tucci, il direttore della Civiltà Cattolica che quarant’anni più tardi Giovanni Paolo II creerà cardinale. Papa Roncalli è convinto infatti «che su alcuni punti si intacca il Vangelo stesso», annota nel 1961 il religioso dopo una lunga udienza.
Il ruolo di Ratzinger
Iniziato però il Vaticano II, di fronte alla bocciatura dello schema preparatorio sulla Bibbia, considerato dalla maggioranza conciliare un testo molto conservatore, papa Roncalli decide di ritirarlo. Ma solo il suo successore Paolo VI revoca, già nel 1964, la grave misura presa tre anni prima contro Lyonnet e Zerwick. E grazie alle mediazioni di Montini alla fine del concilio viene approvata quasi all’unanimità la costituzione dogmatica Dei verbum sulla rivelazione divina.
Il documento del concilio ispira l’insegnamento cattolico degli ultimi decenni. Guidata da Ratzinger, la Pontificia commissione biblica pubblica infatti nel 1993 e nel 2001 due rivoluzionari documenti sull’interpretazione dei testi sacri cristiani e sul valore delle Scritture ebraiche. Poi nel 2010 Benedetto XVI firma l’esortazione apostolica post sinodale Verbum Domini.
Anche se il lascito principale del papa teologo resta soprattutto un altro: tra il 2007 e il 2012, la limpida e convincente trilogia su Gesù di Nazareth. Che Ratzinger definisce però non «un atto magisteriale», ma l’espressione della sua «ricerca personale del “volto del Signore"».