Domani, 14 aprile 2025
L’album dei segreti dell’universo Cosa svelano le sue foto "da bambino"
La collaborazione dell’esperimento Atacama Cosmology Telescope (Act), un progetto internazionale situato a 5.200 metri nel deserto di Atacama in Cile, che in Italia include i gruppi di Elia Battistelli dell’università Sapienza di Roma e di Federico Nati dell’Università di Milano-Bicocca, ha sottoposto il modello standard della cosmologia (il Lambda Cold Dark Matter è la teoria più accettata per descrivere l’evoluzione dell’universo) a una nuova e rigorosa serie di test, dimostrandone la straordinaria solidità. Le nuove immagini dell’universo primordiale mostrano i dettagli della prima luce emersa dagli albori dell’universo stesso con una chiarezza senza precedenti, rivelando la formazione delle antiche nubi di idrogeno ed elio che presto si sarebbero trasformate nelle prime stelle e galassie. Misurando una luce che ha viaggiato per oltre 13 miliardi di anni prima di raggiungere il telescopio situato sulle Ande cilene, queste immagini rivelano l’universo quando aveva circa 380mila anni, l’equivalente di fotografie di un neonato in un cosmo ormai maturo. Utili scoperte
«Stiamo osservando i primi passi verso la formazione delle stelle e delle galassie più antiche», ha dichiarato Suzanne Staggs, direttrice di Act e docente di fisica alla Princeton University. Le nuove immagini della “Radiazione cosmica di fondo” (Cmb) forniscono una risoluzione più alta rispetto a quelle ottenute più di un decennio fa dal telescopio spaziale Planck. «Prima potevamo vedere dove si trovavano le cose, ora possiamo anche vedere come si muovono», ha detto Staggs. «Nelle prime centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang», spiega Elia Battistelli, professore di fisica della Sapienza di Roma, «il plasma primordiale era così caldo che la luce non poteva propagarsi liberamente, rendendo l’universo di fatto opaco. La Cmb rappresenta il primo stadio della storia dell’universo che possiamo osservare».
«Le immagini forniscono una visione straordinariamente dettagliata delle variazioni, per quanto minime, nella densità e nella velocità dei gas. Quelle che sembrano nuvole sfocate nell’intensità della luce sono in realtà regioni più e meno dense in un mare di idrogeno ed elio, colline e valli che si estendono per milioni di anni luce», aggiunge Federico Nati, professore dell’università di Milano-Bicocca.
Queste immagini stanno aiutando gli scienziati a rispondere a domande di lunga data sulle origini del cosmo. «Osservando quel periodo, quando tutto era molto più semplice, possiamo ricostruire la storia di come l’universo si è evoluto fino alla complessità che vediamo oggi», ha spiegato Jo Dunkley, docente di fisica e scienze astrofisiche a Princeton e responsabile dell’analisi di Act. «Abbiamo misurato con precisione che l’universo osservabile si estende per quasi 50 miliardi di anni luce in tutte le direzioni e contiene una quantità di massa equivalente a quasi due trilioni di trilioni di Soli», ha dichiarato Erminia Calabrese, docente di astrofisica all’università di Cardiff. «Di questi solo una minima parte rappresenta la materia normale», quella che possiamo osservare e misurare. Il resto è costituito da materia oscura e dall’energia oscura, le misteriose componenti che permeano il cosmo.
Il “terizinosauro” con due dita
Una nuova specie di terizinosauro, battezzata Duonychus tsogtbaatari, è stata portata alla luce nel deserto del Gobi, in Mongolia, gettando nuova luce sull’evoluzione di questi dinosauri erbivori. La scoperta, risalente a circa 90 milioni di anni fa, ha meravigliato i paleontologi per una caratteristica unica: a differenza dei suoi simili, il Duonychus possedeva solo due dita per “mano”, anziché tre. Il ritrovamento è stato del tutto casuale. Nel 2012, durante la costruzione di un oleodotto, operai si imbatterono in un artiglio fossile di dimensioni considerevoli. Il reperto, recuperato dalla Formazione Bayanshiree, risalente al Cretaceo superiore, è stato consegnato al dottor Yoshitsugu Kobayashi dell’Università di Hokkaido. «Sono rimasto sbalordito», ha dichiarato Kobayashi. «Ho capito subito che si trattava di una mano di terizinosauro, ma mancava un dito!». La sorpresa è stata amplificata dalla presenza della guaina di cheratina sull’artiglio, un elemento rarissimo nei fossili. «Un vero artiglio di quando il dinosauro era in vita», ha affermato Kobayashi. «Un momento di puro stupore». La professoressa Darla Zelenitsky dell’Università di Calgary ha aggiunto: «Non avevo mai visto un artiglio di dinosauro così completo. La conservazione spettacolare ci mostra le vere dimensioni e la forma dell’artiglio». Nonostante le dimensioni e l’apparenza minacciosa delle unghie, il Duonychus, come gli altri terizinosauri, era un erbivoro. «Usavano gli artigli per afferrare e tirare le piante», ha spiegato Zelenitsky. «La mano a due dita indica che Duonychus aveva un comportamento diverso, forse specializzato in piante particolari». Lo studio delle articolazioni del Duonychus ha rivelato adattamenti unici. «Il gomito e il polso erano incredibilmente rigidi», ha spiegato Kobayashi. «La guaina cheratinosa dell’artiglio suggerisce che usava le mani per tirare giù i rami per nutrirsi. La riduzione delle dita e la rigidità non erano svantaggi, ma adattamenti». La scoperta del Duonychus offre uno sguardo senza precedenti sul comportamento di questi dinosauri.
I dati allarmanti sui laghi
Una ricerca di portata globale lancia un grido d’allarme: i laghi della Terra stanno subendo una drammatica perdita di ossigeno, con ritmi che superano fino a nove volte quelli degli oceani. Lo studio, condotto dalla Chinese Academy of Sciences (Cas), ha analizzato 15.535 laghi, rivelando un calo medio dell’ossigeno del 5,5 per cento nelle acque superficiali e del 18,6 per cento in quelle profonde tra il 1980 e il 2017. Il geografo Yibo Zhang e il suo team hanno ricostruito le cause di questa deossigenazione, identificando tre fattori principali: il riscaldamento globale, le ondate di calore, le fioriture algali. La diminuzione dell’ossigeno crea “zone morte” in cui la vita acquatica non può sopravvivere.
«I cali acuti causano morti di massa della fauna selvatica, che stanno aumentando nei corsi d’acqua di tutto il mondo», avvertono i ricercatori. Esempi recenti includono anguille in Nuova Zelanda, merluzzi di Murray in Australia e specie di pesci e cozze in Polonia e Germania. «Se questa tendenza continua, i laghi della Terra potrebbero avere fino al 9 per cento di ossigeno in meno entro la fine del secolo», avverte il gruppo di ricerca.
Il 40 per cento dell’economia
Secondo una recente ricerca condotta da un gruppo guidato da Timothy Neal, docente di Economia dell’Institute for Climate Risk and Response, Unsw Sydney, che analizza l’impatto globale degli eventi meteorologici estremi e le loro conseguenze, è probabile che i danni del cambiamento climatico sull’economia mondiale siano stati gravemente sottostimati. Finora, le proiezioni sugli effetti del riscaldamento globale sul prodotto interno lordo (Pil) mondiale hanno suggerito impatti da lievi a moderati, contribuendo alla mancanza di urgenza nei programmi nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra. Tuttavia, questi modelli contengono spesso un difetto fondamentale: considerano un’economia nazionale influenzata esclusivamente dalle condizioni meteorologiche del proprio territorio, ignorando gli effetti degli eventi climatici che si verificano altrove. Ad esempio, un’inondazione in un paese può compromettere la catena di approvvigionamento alimentare di un altro, ma queste interconnessioni non vengono considerate nei modelli tradizionali. La nuova ricerca ha affrontato questo limite. Dopo aver incorporato gli effetti globali delle condizioni meteorologiche estreme, ha rilevato che l’impatto previsto sul Pil mondiale è molto più grave di quanto si ritenesse. Il riscaldamento globale influisce sulle economie in vari modi. Esso agisce attraverso più strade. La più evidente è il danno diretto causato dagli eventi meteorologici estremi. Le alte temperature incidono anche sulla produttività dei lavoratori, sulla salute pubblica, sulla diffusione di malattie e possono innescare migrazioni di massa e conflitti. Le previsioni precedenti suggerivano che anche un riscaldamento estremo di 4°C avrebbe avuto solo lievi effetti negativi sull’economia globale entro la fine del secolo, con un calo stimato tra il 7 e il 23 per cento. Tuttavia, questi modelli si basavano sugli effetti di shock climatici passati, generalmente limitati a scala locale o regionale e compensati da condizioni favorevoli altrove. In passato, ad esempio, un paese del Sud America poteva affrontare una grave siccità, ma altre regioni ricevevano precipitazioni abbondanti, permettendo alla nazione o alle nazioni colpite di compensare la scarsità attraverso le importazioni e prevenire aumenti eccessivi dei prezzi alimentari. I cambiamenti climatici futuri, invece, aumenteranno il rischio che shock meteorologici si verifichino simultaneamente in più paesi e con maggiore persistenza nel tempo.
Questo scenario comprometterà le reti di produzione e distribuzione, ostacolando il commercio e riducendo la capacità dei paesi di sostenersi reciprocamente. I dati mostrano che, se la temperatura terrestre aumentasse di oltre 3°C entro la fine del secolo, il danno stimato all’economia mondiale passerebbe dall’11 per cento (secondo le stime precedenti) al 40 per cento (secondo il nuovo modello).
Questo livello di perdita potrebbe compromettere profondamente i mezzi di sostentamento di gran parte della popolazione mondiale. Secondo alcuni modelli economici recenti, l’equilibrio ottimale si raggiungerebbe riducendo le emissioni a un ritmo tale da permettere alla Terra di riscaldarsi di 2,7°C e non oltre, un valore vicino all’attuale traiettoria del riscaldamento globale. Tuttavia, questa cifra è ben superiore agli obiettivi dell’Accordo di Parigi e ai limiti raccomandati dagli scienziati del clima per non entrare in una situazione di non ritorno del clima. «La ricerca», spiega Neal, «dimostra che le previsioni precedenti sull’impatto economico del cambiamento climatico erano eccessivamente ottimistiche. E dunque ciò dice che è ancor più necessario cambiare rotta».