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 2025  aprile 16 Mercoledì calendario

Ricche, famose (e dilettanti) L’ipocrisia sulle pallavoliste italiane

Miracoli italiani. Quanti ne abbiamo rincorsi. Ma ce n’è uno, oggi, che merita i riflettori prima che finisca per essere solo una bella abitudine. Non ha le luci del calcio, né le leggende nostalgiche del basket. Eppure riempie palazzetti, domina l’Europa, spopola sui social, e ha una nazionale che vince l’oro alle Olimpiadi. Benvenuti a Volleyland, l’eden della pallavolo femminile mondiale.Stasera comincia la corsa per lo scudetto. Una questione tra Milano e Conegliano, il meglio del meglio che abbiamo in Italia. Tra le due formazioni i precedenti sono 42, e 38 gare si sono giocate nelle competizioni nazionali. Ma non limitiamoci, allarghiamo lo sguardo. Nel primo weekend di maggio (il 3 e 4 ad Antalya, in Turchia), tre squadre italiane saranno protagoniste alle Final Four di Champions League. Conegliano (e figuriamoci), Milano (per la grande impresa) e Scandicci (superlativa). Una supremazia tecnica senza pari lungo tutto il continente. Altro che gioco maschio. Un dominio strutturale che però il sistema Paese, soprattutto quello della politica, ancora non sa capire fino in fondo. Nonostante numeri da capogiro: quasi 440.000 spettatori nei palazzetti quest’anno, in costante crescita negli ultimi cinque anni (nel 2022/2023 erano stati quasi 385.000). Oltre 10 milioni di spettatori davanti alla tv nella scorsa stagione (+22,9% rispetto all’anno precedente). I social della Lega crescono a ritmi da startup: +52% solo nell’ultimo anno, sfiorando il milione di follower. Più della pallavolo maschile. Più del basket. È la seconda lega sportiva per seguito in Italia dopo la Serie A calcistica. 
Il professionismo
Sembra l’Eldorado. Invece è il made in Italy della pallavolo femminile. Dietro sembra esserci di più. Invece c’è di meno. Nessuna legge sugli stadi parla di volley, e le istituzioni non si sono ancora accorte di questo bolide parcheggiato in un cortile di periferia. Non più tardi di un mese fa, intervistato da ItaliaOggi, Mauro Fabris, presidente della lega di serie A femminile di pallavolo dal 2006, ha spiegato che «i tempi sono ormai maturi per pensare alla pallavolo come disciplina professionistica. Una forte spinta è arrivata dalla riforma del lavoro sportivo, che ha ridotto le differenze tra professionisti e dilettanti».
Quando si parla di volley al femminile, in Italia, ci sono paradossi di non poco conto da tenere in considerazione. Le atlete, per esempio. Delle superstar. Vanno a Sanremo, sfilano in passerella, influenzano le mode. Fanno tendenza. E attraggono pubblico. L’ultimo dato parla di +40% di abbonamenti a inizio stagione. Ma dobbiamo uscire, ha detto ancora Fabris, «da questa ipocrisia per cui abbiamo atlete che sono delle star internazionali ma poi vengono classificate come dilettanti». 
Paola Egonu, la migliore giocatrice del mondo secondo Volleyball World, è un’azienda. Come Messi o Cristiano Ronaldo. E Alessia Orro, palleggiatrice di Milano e della nazionale, altro simbolo del volley italiano, andrà al Fenerbahce in Turchia con un contratto da 600.000 euro l’anno. È l’alzatrice più pagata di sempre. Gli ingaggi delle giocatrici più brave possono superare i 700mila euro annui, grazie anche allo sfruttamento dei diritti d’immagine, mentre la fascia medio-alta dei compensi si attesta tra i 250mila e i 350mila euro. Non proprio i numeri del caro, vecchio football.
Il giro d’affari
L’Italia delle donne che schiacciano e vanno a muro non si accontenta più. Tantomeno se porta trofei, prestigio e gloria olimpica. «Siamo passati dal mecenatismo a investimenti mirati e oculati. Oggi abbiamo main sponsor come Frecciarossa, Tigotà, Beretta. È scattato da almeno un decennio il pensiero che investire nella pallavolo femminile è molto utile e redditizio», ha detto ancora Fabris. 
L’attuale giro d’affari supera i 45 milioni di euro, secondo le stime del Sole 24 Ore, ed è principalmente alimentato dalle sponsorizzazioni, con i club che sono alla ricerca di opportunità di monetizzazione per sfruttare l’accresciuto potenziale commerciale. Uno degli ambiti in cui la Lega volley femminile ha importanti margini di crescita economica è il fronte dei diritti tv, che porta attualmente 2 milioni l’anno. E non è solo la A1. Anche più giù, in A2, ci sono margini di crescita, con un giro d’affari legato alle sponsorizzazioni di circa 15 milioni di euro. 
La patina di grandezza nasconde però anche tante fragilità. Fabris, in un’altra intervista (a Sport Senators), ha spiegato che «la realtà è gestita totalmente dai privati, e per il 90% il bilancio è composto da sponsorizzazioni e investimenti delle proprietà, il restante 10% arriva dalla biglietteria perché c’è un limite negli impianti indoor, non adeguati per il campionato più bello del mondo». La quasi totalità delle società vive sulle spalle dei suoi proprietari, un’imprenditoria locale viva e che funziona. Almeno finché resta in piedi. Ma vale la pena chiedersi se sarà così anche a lungo termine, a distanza di anni. Gli equilibri nello sport non durano in eterno.
Il modello Conegliano
Ci sono realtà virtuose e vincenti. Conegliano è diventata un esempio da manuale: cittadina di circa 35mila abitanti, è anche il cuore della produzione mondiale del Prosecco, un settore economico che la rende un’eccellenza e che le ha permesso di fondare le basi per un club stravincente. Nel 2012, dopo il fallimento della Spes Conegliano, tre famiglie (Garbellotto, Maschio e Polo) hanno investito nella pallavolo per restituire alla cittadina una squadra di prima fascia. Il progetto poi si è allargato, coinvolgendo 300 aziende locali come sponsor, trasformando una squadra in una corazzata. 
Ma non per tutti i territori è semplice mettere in piedi questo tipo di sistema. Aiuti dallo Stato non ne arrivano, e, se è vero che gli sforzi fatti dalla Lega stanno dando risultati clamorosi, è chiaro che un’agenda diversa e innovativa aiuterebbe il movimento a consolidare tutto il buono che è stato fatto fin qui. 
Fabris ha portato avanti la battaglia per ripulire «l’ambiente dalle posizioni di scarsa trasparenza che c’erano».
Lo definì doping amministrativo, quello fatto di realtà che nascevano e morivano in poco tempo, che promettevano, prendevano impegni economici e poi non li rispettavano. Molti lo hanno bollato come sceriffo. Ma nel volley femminile nessun far west sembra ammesso. «Il tutto è stato accompagnato dall’affermazione di un campionato pulito, dove dal punto di vista sportivo non ci sono mai stati casi di doping, di violenza, di scommesse». 
I palazzetti
Gli indicatori crescono, ma la situazione palazzetti resta invariata. Un nodo decisivo. La federazione guarda al movimento di base. «Non ci sono spazi», ha detto il presidente Fipav Giuseppe Manfredi. Rispetto a un anno fa ci sono 10.000 tesserati in più. Sono pronti 10 milioni di euro per costruire impianti di quartiere. Speculare il problema per la lega. In particolare quella femminile che quest’anno ha visto pure crescere del 30% il pubblico nei palazzetti. 
«Abbiamo problemi diversi rispetto alla federazione», ha detto Fabris al Foglio. «Noi abbiamo bisogno di impianti grandi, qualificati, adatti al pubblico crescente. Se non abbiamo spazi adeguati con parcheggi, sale hospitality, con una accoglienza adeguata, è impossibile crescere». Fabris definisce il problema degli impianti «un tappo, un tappo incredibile», così grande che «non riusciamo a crescere di più, non riusciremo a crescere senza impianti adeguati». 
Firenze è un esempio virtuoso. Il PalaWanny, inaugurato nel 2022, 5.000 posti in tutto, costato circa 10 milioni (3 li ha messi il comune), favorisce il grande volley. Ma, dice Fabris, «chi investe che abbia almeno la possibilità di portare a credito d’imposta l’investimento. Lo abbiamo chiesto al ministro Abodi, a Giorgetti, e lo chiediamo al parlamento. Come capita nelle infrastrutture di vario genere che si fanno in questo Paese c’è la defiscalizzazione, il credito d’imposta per colui che investe». 
La pallavolo fa miracoli, quello che chiede è che lassù qualcuno ci creda.