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 2025  aprile 16 Mercoledì calendario

Edy Reja: "Ora vedo una Juve libera nella testa Il mio allievo Tudor sa parlare ai giocatori"

Stadio di Fiume, ventitré agosto di sedici stagioni fa. «Se non avessi incontrato Reja, oggi lavorerei nel turismo a Hvar...». A Hvar, profumo di lavanda e mare blu, Igor Tudor ci va in vacanza perché il ventitré agosto di sedici stagioni fa, tuta dell’Hajduk Spalato addosso, cominciava la carriera in panchina come collaboratore più stretto dell’allenatore goriziano.
Emozionato, sicuro, preparato. Quale impressione le lasciò il suo vice?
«Emozionato, sicuro, preparato: tutto insieme. Sentivo di essermi affidato alla persona giusta».
Un “gigante” della difesa seduto accanto a lei. E solo dopo poco più di un anno dalla fine della storia da giocatore.
«Igor (Tudor, ndr) non perdeva un attimo per imparare: ricordo che annotava ogni cosa. Allenatori si nasce, ce l’hai dentro: lui è nato con la testa da tecnico».
Lei gli ha impedito di mettersi alla prova nel campo del turismo...
«Si, lo so (ride, ndr). Ho letto, sicuramente scherzava: nonostante quella che può essere una prima impressione, stiamo parlando di un serio professionista che pretende tanto, ma che sa anche dare la giusta libertà e leggerezza alla squadra. Un uomo generoso e dal cuore d’oro».
Durante la vostra avventura insieme a Spalato in cosa le fu più prezioso?
«Cominciò occupandosi della difesa, poi fu un coinvolgimento totale. Parlava con i ragazzi nella stessa lingua, un aiuto non da poco».
Già, i ragazzi. Un rapporto diretto, schietto, sincero...
«Sì. E lo si può notare da come è cambiata la sua Juve in sole tre settimane: lo si percepisce anche da fuori».
Entra in scena e il copione muta...
«Entra in corsa e sa incidere senza perdere tempo. Sa farlo per quello che dicevamo prima: il dialogo con lo spogliatoio, e con i singoli, è fondamentale per i risultati di un gruppo. Se sei credibile in ciò che dici, ti seguono: Igor si fa seguire».
Di lui si narra come di un allenatore che punta sulla praticità e sulla logica.
«Mi permetterei di sottolineare un aspetto: il suo modo di giocare può anche essere divertente. Avete visto la rete di Yildiz per il 2-0 della Juve contro il Lecce?».
Bella. Molto bella...
«Una delizia: da applausi. E come è nato il gol?».
Da un’azione mille all’ora e in verticale.
«In verticale, sì. Più tocchi, veloci ed efficaci: ditemi se non è un gioco divertente. Al mio ex allievo (risata bis, ndr) piacciono i calciatori di qualità».
Yildiz può stare tranquillo, allora?
«Non solo lui. La qualità dentro un contesto organizzato fa sempre la differenza».
Da Locatelli a Thuram passando per Nico Gonzalez: “Tudor ci ha portato nuova energia” è il comune denominatore nelle loro riflessioni.
«Un’energia positiva. Non posso dire cosa non funzionasse con Thiago, posso dire con una certa sicurezza che, adesso, funzionano tante variabili: i giocatori vengono valorizzati per quelle che sono le loro caratteristiche e per quelli che devono essere i loro movimenti più naturali».
Lei ha mai creduto ad una squadra che rema contro il proprio tecnico?
«Chi viene chiamato a giocare deve fare il professionista, sempre».
Quindi non giocavano contro Motta?
«Giocavano con Motta a tal punto che pensavano fin troppo a cosa dovessero fare per dare senso alle indicazioni dell’ormai ex allenatore bianconero».
Ora è un altro mondo...
«La testa è libera, le gambe girano: per vincere serve anche un bel po’ di leggerezza e, di conseguenza, coraggio».
Facciamo un salto avanti. Juve terza o quarta: quale destino assegnerebbe a Tudor?
«Lo lascerei al suo posto, senza dubbi. In quel caso sarebbe giusto che si giocasse le sue carte per un’altra stagione, e fin dall’inizio».
Restiamo al presente. Terzo o quarto posto sono alla portata dei bianconeri?
«Il calendario, quando arrivi a questo punto della stagione, conta, ma ancor più contano la condizione fisica e mentale. Questa Juve può vincere con chiunque: lo ha già dimostrato, ad esempio, nell’incrocio con la Roma di Ranieri».
Tudor le parlava mai di un allenatore a cui è rimasto più legato negli anni in cui era un calciatore?
«Lippi. La scuola è quella».
Un “gigante” dal cuore d’oro a cui piacciono i giocatori di qualità.
«Di qualità ne aveva anche lui quando scendeva in campo: ricordo una grande fisicità unita ad un’ottima tecnica».
Dialogo ed empatia: la svolta nasce così.
«Dialogo e autorevolezza, ma non solo: un gruppo va gestito con equilibrio e saggezza».
Se un tecnico è tifoso della squadra che allena può essere un vantaggio o un peso?
«Igor è juventino. Essere là, per lui, è un sogno e i sogni aiutano a vivere meglio. Anche il nostro lavoro».
Stadio di Fiume, ora di cena del 23 agosto 2009: Reja e Tudor cominciano la loro esperienza sulla panchina dell’Hajduk Spalato: l’isola glamour di Hvar è ad un’ora di traghetto. «Se non avessi incontrato Edy, ora sarei là, a lavorare nel turismo...», ripete, spesso, il gigante bianconero.