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 2025  aprile 16 Mercoledì calendario

Marina Zangirolami Mazzacurati: "L’eredità artistica di mio marito Carlo un cinema libero e non conformista"

Carlo Mazzacurati e Marina Zangirolami si sono conosciuti al liceo, lei aveva 16 anni, e non si sono più lasciati, fino alla fine di lui, il 22 gennaio 2014, a 57 anni: «Carlo si annoiava a fare le cose prestabilite, non gli è mai piaciuto restare dentro un filone, gli stava stretto, guardava sempre oltre». L’altra sera a Vicenza, si è conclusa la seconda edizione del Premio che porta il suo nome, presenti Giuseppe Battiston e Nanni Moretti in video, con un messaggio per ricordare l’amico degli esordi: «Il Premio – dice Zangirolami – è nato per tenere vivo il desiderio di vedere al cinema storie oneste, interessanti, etiche».
Vi siete conosciuti a scuola, in un’epoca piena di fermenti, che aria tirava ?
«Quando ci siamo conosciuti Carlo disegnava molto bene, e infatti aveva in mente di frequentare l’Accademia. Poi, però, ha scelto il Dams di Bologna che, all’epoca, era strepitoso, c’erano Umberto Eco, Piero Camporesi, Guido Fink. Erano anni di grandi dibattiti sul ruolo dell’arte, sul fatto che dovesse essere sempre libera e mai “al servizio di"».
Com’era allora Mazzacurati?
«Leggeva tantissimo, studiava storia dell’arte e letteratura con una passione enorme, come quella per il cinema. Ma la voglia più forte era sempre essere fuori dalle regole, forse per questo cercava altro, e da li venivano le intuizioni, la capacità di vedere la cose in un’ottica anticonvenzionale, lontana da qualunque aspettativa».
Su cosa si fondava l’amicizia con Nanni Moretti?
«Nanni era rimasto molto colpito dal suo film Notte italiana. Avevano una grande intesa, basata in gran parte sull’ironia, erano molto diretti e avevano, pur tra le differenze, un tipo di intelligenza vivida molto simile. Erano interattivi, coglievano per primi lo spirito del tempo, ridevano tantissimo. Ironia e autoironia sono i modi più intelligenti per difendersi dal mondo».
Del gruppo faceva parte anche Umberto Contarello, futuro sceneggiatore dei film di Mazzacurati e poi di Salvatores e Sorrentino. Cosa li accomunava ?
«Umberto era della compagnia, abbiamo passato insieme tantissime ore, era un grande amico sempre presente, ci accomunava, forse, quella convinzione di gioventù secondo cui tutto è possibile. Una cosa di cui Carlo è sempre stato certo, anche perché lui, di natura, era un po’ un avventuriero».
In che senso?
«Parlo anche dell’educazione familiare, i suoi, sia il nonno che il padre, erano ingegneri molto audaci, lavoravano senza preoccuparsi di seguire le regole. C’è un ramo del Po che il nonno ha deviato e che, da allora, si chiama Carlino, perché lui si chiamava Carlo».
A proposito di nonni, com’era, a quei tempi, il rapporto tra diverse generazioni?
«Non si facevano grandi divisioni tra vecchi e giovani. L’unico vero spartiacque era tra chi aveva da dire qualcosa e chi no, tra chi era corretto e chi non lo era. L’età non era tenuta in gran considerazione, nei gruppi c’erano grandi e piccoli, si andava da zero a cent’anni, senza problemi. Ed era questo il bello, nelle nostre famiglie non sono mai stati fatti i tavoli dei bambini e quelli dei grandi, si stava tutti insieme, perché la cosa interessante erascambiarsi le opinioni».
Due anni fa vostra figlia, Emilia Mazzacurati, ha esordito alla regia con il film “Billy”. Le ha fatto piacere?
«Emilia è molto portata per la scrittura, il suo film affronta una parte dolorosa della crescita, il passaggio repentino da infanzia a età adulta. Adesso sta scrivendo di nuovo, penso che abbia delle cose da tirar fuori, mi auguro che continui su questa strada, la sostengo».
Che cosa le ha lasciato la vita condivisa con Mazzacurati?
«L’amore per la libertà e l’imperativo di non essere mai conformisti. È una cosa che ho imparato da lui, quando era giovanissimo, perché era una sua caratteristica innata. Per me questi sono gli insegnamenti più importanti e ho anche cercato di trasmetterli. Insieme alla correttezza e al non fare mai male a nessuno».
Dopo il dolore della perdita, che cosa l’ha aiutata ad andare avanti?
«Sono passati 11 anni, la chiave è stata non restare ferma, ho provato a usare la mia esperienza di lavoro sul set come aiuto e casting director, con Carlo avevamo pensato di aprire una scuola di formazione cinematografica».
L’ultimo film di Mazzacurati “La sedia della felicità” è stato il frutto di un grande sforzo collettivo. Che cosa ricorda?
«Sì un’esperienza molto particolare, affettuosa, realizzata con l’aiuto di ognuno, abbiamo unito le forze, ci siamo raggruppati intorno a Carlo. È stata un’esperienza toccante, tutti gli anni ci riuniamo per ricordarla, per respirare quell’aria che ci ha lasciato un segno»