Corriere della Sera, 15 aprile 2025
Achille Lauro: «Aiutiamo i ragazzi di periferia. E basta con il maschilismo»
«Io un sex symbol?», Achille Lauro sorride: «Certo, con le donne non ho mai avuto problemi». Poi serio: «Oggi impera il machismo, ma la donna è troppo superiore, può rovinarti in un attimo. Meglio ripartire dalla gentilezza», dice il 34enne autore di Incoscienti giovani (portata all’ultimo Sanremo) che presenta il settimo album, Comuni Mortali, in uscita venerdì 18 aprile.
L’altra sera ha fatto ascoltare le nuove canzoni a duemila persone in uno show a sorpresa sull’iconica scalinata romana a piazza di Spagna. «È un disco pop – spiega – anche se in Italia la parola indica un’anima di plastica. Invece credo sia impattante, difficile da capire perché sofferto, c’è tanta verità, e non è pensato per la radio».
In tutto 12 tracce che attingono alla biografia di Lauro, ispirate a canzoni d’autore («De Gregori, Venditti, Dalla, Califano, Mia Martini») e legate da un filo rosso: «Roma, la mia amica, amante, nemica. Nei suoi vicoli mantiene la tradizione di un mondo sparito. Le devo tanto, sono cresciuto qui, tra la gente, in mezzo alla strada. Rubo dalla realtà. Cerco di pensare alla mia musica fermando immagini, persone, sentimenti».
Sulla copertina, Luigi&Iango ritraggono Lauro De Marinis (all’anagrafe) con una farfalla su un occhio. «Il titolo allude alla fragilità dell’essere umano che riguarda tutti. La farfalla in diverse culture rappresenta gli spiriti che tornano a trovare i vivi. Mi piaceva la contrapposizione vita-morte». Dalla dance al punk, dal rock all’elettronica, dal rap al jazz, Lauro non si è fatto mancare niente: «Il mio percorso è stato fuori controllo e a volte antimercato. C’è chi dice che ho provato a far saltare in aria la mia carriera a ogni disco. Io credo di aver seguito un’anima coerente».
Lauro si dimostra più saggio rispetto al passato. «Questo album è la sintesi di come sono oggi, con una consapevolezza diversa. L’ho scritto fra Los Angeles e New York, fuori dalle logiche del mercato, deleterio per gli artisti». Racconta la periferia ma senza mitizzarla. «Sono grato alla mia vita spericolata, a volte pericolosa, perché conosco i due lati della medaglia: quello di chi non ha niente e quello di chi vive sognando. Sono fortunato perché ho scoperto cosa mi piaceva e non mi sento in colpa per chi è rimasto lì. Il problema dei ragazzi di periferia è che arrivano a 35 anni senza un posto nel mondo. Bisognerebbe ripartire dall’educazione scolastica, sentimentale, finanziaria, familiare. E dalle passioni».
Tante le dediche («agli amici e ai miei grandi amori»). Cristina l’ha scritta per sua madre: «Fa parte della mia storia e trovavo bellissimo lasciare qualcosa anche per lei. Nelle nuove canzoni esploro l’amore, l’unica cosa che uno lascia sulla terra». Ossessionato dalla perfezione («che forse non esiste») ora non ha posto, dice, per una relazione: «So stare da solo. La mia libertà vale troppo». E nemmeno per un figlio: «Mi piacerebbe, ma ho tante cose in testa prima».
Ha pronta una canzone per Mina («Bellissima, ma non gliel’ho ancora mandata»), gli piacerebbe incidere un disco in inglese («Yungblud ha voluto incontrarmi») e pensa al cinema: «Ne sto parlando con un produttore, ma non mi vedo come attore, sono un uomo di pensiero». Il 29 giugno e il 1 luglio sarà al Circo Massimo (sold out), poi i palazzetti. Forse gli stadi nel 2026. «Avere tantissima gente che mi aspetta mi fa lavorare in modo diverso, non rincorro più i numeri, il gioco d’estate, mi frega solo di lasciare qualcosa di grande nelle persone».