repubblica.it, 15 aprile 2025
British Steel, polemica tra Londra e Pechino per l’ultima acciaieria del Regno Unito
È corsa contro il tempo per salvare British Steel, l’ultima grande acciaieria del Regno Unito. Ed è polemica tra Londra e Pechino. Perché, a dispetto del nome, British Steel è di proprietà dell’azienda cinese Jingye. Ma ora l’acciaieria rischia di chiudere. I tabloid, e pure qualcuno a Westminster, pensano che si tratti di “sabotaggio” di Pechino, per favorire il suo export di metalli e danneggiare il settore siderurgico, già in enorme declino, nella patria della Rivoluzione industriale.
La Cina non ci sta: “Non politicizzate questa vicenda”, tuona il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, “piuttosto trattate in modo equo le imprese cinesi che investono e operano nel Regno Unito”. L’ipotesi di “sabotaggio di Stato” era nata nel weekend scorso dalle parole del ministro dello Sviluppo economico britannico, Jonathan Reynolds, che non aveva smentito questa eventualità, pur restando più probabile un “atto di negligenza”. Il portavoce del primo ministro britannico Keir Starmer, attualmente in vacanza con la famiglia in Europa meridionale, ha successivamente sgonfiato l’ipotesi sabotaggio. Almeno per ora.
Di certo, Jingye e il governo britannico hanno negoziato inutilmente per mesi. Prima della rottura e della convocazione di urgenza, sabato scorso, del Parlamento di Westminster dalla pausa pasquale, affinché l’esecutivo prendesse il controllo forzoso degli altiforni di British Steele a Scunthorpe, nel nord inglese, che impiegano 2.700 operai. Una mossa indispensabile, secondo Starmer, “per difendere i posti di lavoro e la nostra sicurezza economica e nazionale”.
Ma anche perché, nel frattempo, la Jingye aveva interrotto l’acquisto di materie prime come minerali ferrosi e carbone coke, indispensabili per mantenere in vita l’acciaieria. Se gli altiforni si spegnessero, per riaccenderli servirebbero costi altissimi e tempi molto lunghi. Ora Londra ha ordinato le materie prime, sperando che arrivino in tempo perché quelli di British Steel sono gli unici altiforni rimasti nel Regno Unito a produrre acciaio di prima fusione, utilizzato soprattutto per costruzioni di edifici e infrastrutture, e che presenta meno imperfezioni rispetto all’acciaio riciclato altrove nel Paese.
Il sospetto è che Jingye, che ha acquistato British Steel nel 2020 salvandola dal fallimento, abbia disdetto l’arrivo delle materie prime come ricatto per essere salvata dal governo con un “bail-out”. Ciò perché per i cinesi gli altiforni “non sono più sostenibili dal punto di vista finanziario”. Jingye sostiene di aver investito oltre 1,2 miliardi di sterline per mantenere operativo lo stabilimento di Scunthorpe e di subire oggi perdite finanziarie per circa 700mila sterline al giorno.
Dunque, la settimana scorsa aveva annunciato licenziamenti, per le condizioni di mercato “estremamente difficili”, i dazi di Donald Trump e i costi legati alle tecniche di produzione a basse emissioni. Ma per Londra, British Steel è un asset assolutamente strategico, in un mondo sempre più instabile e imprevedibile. Per questo ne ha preso il controllo e potrebbe presto nazionalizzarlo, con costi altissimi per i contribuenti. Sic transit gloria mundi.