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 2025  aprile 15 Martedì calendario

Blumberg: “Mai sognato l’Oscar l’arte non può ridursi ai premi”

Non avremo mica sbagliato strada? Eppure questa dovrebbe essere casa di Daniel Blumberg, fresco premio Oscar per la migliore – e straordinaria – colonna sonora originale, quella di The brutalist. Ma il campanello non funziona. Bussare alla porta nemmeno. Il giardino è a soqquadro e pare abbandonato da anni. Pronto, Daniel, ma è in casa? «Ah sì, eccomi», replica al telefono, «mi scusi». Buongiorno, nuovo principe della musica mondiale: 35 anni, fisico ossuto, testa rasata, orecchino, jeans e camicia scura.
Blumberg ha una storia ma anche una casa straordinaria. Senza pavimenti, grezza, brutale, angusta, colma di libri di arte e letteratura, cd e dvd, valigie, strumenti di registrazione e arte che crea e dissemina in questo appartamento minuscolo nel quartiere hipster di Hackney, multietnico e con una forte presenza di ebrei ortodossi. Nel mini studio, microfoni, sintetizzatori tra cui un Op-1 con cui si diverte come un fanciullo – «lo uso in giro» – un computer. A terra, un materasso avvolto da lenzuola blu: «Lì è dove dormo».
Sul serio? «Sì, questo appartamento è piccolino... lo comprai a vent’anni, quando iniziai a suonare. Pago ancora il mutuo, ma almeno è di sole 200 sterline al mese», racconta mentre prepara il primo dei sei caffè di questa conversazione: «Espresso italiano, ovviamente», e sfoggia orgoglioso le sue caffettiere sul cucinino con una Menorah ebraica: «La Giannini è la mia preferita, più della Bialetti o Alessi». Ma ora, dopo la fama dell’Oscar, una nuova casa? Un futuro a Los Angeles? «No, vorrei rimanere a Londra», racconta soppesando ogni parola, «anche i miei genitori vivono qui vicino. Però adesso potrei finalmente affittarmi uno studio, e avere più spazio in casa».
Beata innocenza. Del resto, eccoli lì, come coppette del calcetto su un’anonima mensola in cucina, i suoi premi agognati dal mondo fuori. Un Ivor Novello nel 2022 per Il mondo che verrà di Mona Fastvold, un Bafta l’anno scorso per The brutalist e l’Oscar di un mese fa sempre per il film di Brady Corbet, partner di Fastvold. Prendiamo la statuetta dorata in mano. Emozione pesante. «Magari fosse tutto oro. Ma l’ho già scheggiata, qui, guardi». Proprio sulla testa? «Eh sì, volevo provarla per questi disegni a punta d’argento cui mi dedico ogni giorno. Per me i premi non hanno importanza». E l’Oscar è mai stato un sogno? «Ma figuriamoci, sarebbe il più stupido dei sogni. L’arte non può ridursi ai premi. Non avevo mai visto una cerimonia degli Oscar fino a qualche settimana fa e quando ho dovuto parlare alla platea per me è stato l’inferno».Blumberg è incontenibile: ci mostra centinaia di suoi disegni, schizzi e cataloghi di arte preservati in scatoloni sotto i mobili. Dürer, Hockney, Monet, Munch.
Come potrà mai montarsi la testa questo ragazzo geniale, che la musica nemmeno la scrive, tanto da non riconoscere le note. Ma come ha festeggiato l’Oscar? «Mi hanno portato nel backstage per un ricevimento, poi mi sono comprato un sintetizzatore Moog, sono tornato a Londra e per giorni e notti consecutive ho composto e disegnato in casa, come in una bolla. Sto già lavorando ai prossimi progetti, un musical a Budapest sui religiosi Shakers con Amanda Seyfried nei passi della profetessa Ann Lee, e un altro film di cui non posso ancora parlare».
Ma cosa ha significato lavorare perThe brutalist, che ha vestito di note straordinarie, tra jazz, ottoni, musica orchestrale, piano e le percussioni dei tormenti del protagonista László Tóth, architetto ungherese scampato all’Olocausto e migrato in America? «Per me è stato un progetto eccezionale, totale, la musica mi è sgorgata naturalmente. Anche la mia famiglia fuggì dai pogrom in Lettonia prima della Prima guerra mondiale. Alcuni in Sudafrica e altri qui in Inghilterra».
Prima, Blumberg ha suonato inband indie rock: tournée con i Tame Impala, l’esordio a 18 anni con i Cajun Dance Party, poi gli Yuck e l’omonimo disco, tutti album lodati da critica e pubblico. «Ma i tour mi stancavano, suonavamo sempre le stesse canzoni. Mi mancava il vero istinto della musica». Allora molla tutto per fare il compositore, passare alla carriera da solista con tre altri bellissimi album, Minus, On&On eGut ispirato dai suoi malanni intestinali. Ma la vera illuminazione arriva prima in un piccolo locale di musica live di Hackney, il Cafe Oto dove Blumberg suona spesso. Poi dalle parole che gli regalò anni fa Lars von Trier: «Non capisco come voi musicisti facciate a firmare contratti per tre album. Dovete liberarvi».
Blumberg ama l’Italia: «È il luogo dove mi piace di più suonare, per i fan e per i luoghi dei concerti. Adoro Roma. Alba Rohrwacher è mia amica, Miuccia Prada ogni tanto mi dà qualche vestito, Matteo Garrone mi è molto caro e l’ultima volta sono stato con lui nel quartiere di Testaccio, dove mi ha fatto conoscere Salvatore Sansone, “Orazio” inThe brutalist.
Ma ho esposto al Macro, l’anno scorso anche alla Biennale di Venezia. Perché adoro la musica, ma…». Ma? «Disegnare per me è l’esperienza definitiva». Alla prossima.