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 2025  aprile 15 Martedì calendario

Intervista a Bernardo Valli

C’è stato un tempo in cui, dalla redazione esteri di Repubblica, ogni 15 aprile partiva una telefonata per Bernardo Valli. Noi chiamavamo, ma appena lui capiva che era per fargli gli auguri di compleanno tagliava corto, liquidandoci in un istante.
Ora che la cifra si è fatta importante, importantissima – 95 anni – Bernardo gli auguri li accetta volentieri, e quattro chiacchiere intorno al suo compleanno anche. L’occasione è l’uscita di Città. Luoghi, abitanti, storie, libro che raccoglie alcuni degli articoli che in più di 50 annidi carriera ha scritto sulle città del mondo che ha girato: lo pubblica Ventanas, la casa editrice di sua moglie, Laura Putti, a cui si deve il prezioso e paziente lavoro di cernita fra articoli da tutto il mondo che sta dietro al volume. È il terzo anno che Ventanas pubblica una raccolta di testi di Valli per il suo compleanno: in programma ce ne sono altre due.
Buon compleanno, allora, questa volta possiamo dirtelo…
«Certo che potete. Non è che abbia mai detestato il mio compleanno, piuttosto mi ha sempre lasciato indifferente. Ho sempre festeggiato poco e me ne restano pochissimi: ho superato tutti i limiti decenti».
Non festeggiavi perché non ti andava o per altri motivi?
«Perché ero sempre in giro e le persone non sapevano che era il mio compleanno. E spesso me lo dimenticavo anche io…».
Da un po’ di anni non puoi: sono tre anni che esce un libro nel giorno del tuo compleanno e anche quello di oggi è pieno di pagine bellissime. Mi pare un bel modo per festeggiare…
«Che sono bellissime lo dici tu, il giudizio io lo lascio a chi avrà voglia di leggerlo. Però sì, i libri sono un bel modo di festeggiare: il merito è tutto di Laura».
In queste pagine c’è il mondo: l’Africa, il Sud America, l’Europa, il Medio Oriente… ti manca viaggiare?
«No, mi sono stufato. Sono pochi i posti che non ho visto nel mondo: tanti me li sono proprio dimenticati, quelli di cui conservo ricordi sono pochi…».
Quali sono impossibili da dimenticare?
«Tre in cui ho vissuto. Il Congo, in cui ho passato tanto tempo. Sono capitato lì per caso, ero in Sudafrica: mi dissero di andare lì perché era il giorno dell’indipendenza. Io sapevo più o meno dove era il Congo, arrivai a Leopoldville (oggi Kinshasa, ndr) nel pieno del fervore dell’indipendenza. Senza nemmeno cambiarmi di vestito andai a Stanleyville, dove c’era Lumumba, di cui non avevo mai sentito parlare, ma veniva dato come il prossimo leader. Capitai in un comizio di Lumumba e alla fine lui, che era spocchioso e si dava molte arie, mi portò in macchina a fare un giro: poi facemmo insieme il viaggio di ritorno per Leopoldville dove andava a prendere il potere. Sono rimasto tanto tempo, ho girato il Paese e ho avuto buoni amici lì. Mi capitò anche di andare a prendere i cadaveri dei tredici aviatori italiani dell’Onu uccisi a Kindu, non lontano dal Katanga, perché scambiati per belgi durante la guerra civile (nel 1961, ndr)».
E gli altri Paesi?
«L’Algeria, in cui ho vissuto da giovane e poi sono tornato da giornalista: mi hanno dato la medaglia di Amico della rivoluzione algerina, ma non vorrei essere amico di questa Algeria, di questo governo. Ho ricordi molto forti dell’Algeria della guerra civile. E il Vietnam, dove ho passato anni…».
Con Tiziano Terzani, fra gli altri...
«Certo. Abitavamo insieme a Singapore, che era a 45 minuti di volo da Saigon. L’Estremo Oriente era il primo posto a cui mi aveva assegnato il Corriere della Sera: mi fermai a Singapore di passaggio e c’era Tiziano, che avevo conosciuto un po’ a Milano. Mentre ero lì, con le valigie lasciate in deposito in un albergo, cominciò la crisi in Vietnam, quando i militari decisero di andarsene.
Andai a Saigon e da lì a Tokyo. Rimasi in Asia tre anni facendo tanti viaggi».
Poi c’è Parigi: le pagine in cui parli della gentrificazione del Marais sembrano scritte oggi…
«A Parigi ero capitato diverse volte quando lavoravo come corrispondente da Londra per il Giorno. Poi ero passato al
Corriere della Sera e mi avevano mandato in Estremo Oriente, poi mi fecero tornare e mi chiesero di andare a Parigi. Ma rimasi poco, perché appena arrivato sono andato a seguire la rivoluzione portoghese: da allora ho sempre avuto casa a Parigi. Da lì ho seguito l’America, Cuba, l’India…».
Nel libro c’è anche, e non poteva essere altrimenti, Gerusalemme: tu dici che c’è chi l’ha sempre detestata mentre tu la ami moltissimo. Che effetto ti fa vederla di nuovo in guerra?
«Gerusalemme l’ho conosciuta quando era sotto il controllo della Giordania. Il giorno in cui il governo israeliano occupò Gerusalemme (nel 1967, ndr) ero al Cairo, venivo da Gaza, che era in mano egiziana. Poi tornai a Gerusalemme e ci sono rimasto mesi: la Gerusalemme occupata dagli israeliani ha cambiato un po’ natura, anche se ci sono alcuni posti che raccontano ancora la sua Storia, come la Porta di Damasco per esempio».
Una città dove torneresti?
«Bombay: non per viverci ma per vedere come è cambiata. Mi ci mandarono prima che il Papa Paolo VI andasse in India, nel1964. Ma prima di allora avevo già fatto un’intervista molto importante con Nehru, a Delhi, la prima che dava a un giornalista straniero. L’India è un Paese che non può non affascinare: può suscitare sentimenti ed emozioni contrastanti, ma non può non affascinare».
Qual è invece un posto dove non andresti più?
«Il Medio Oriente. Non tutto, magari. Mi dicono che Beirut è molto cambiata, era un posto affascinante, curioso, ora non saprei immaginarla. E non so se avrei voglia di vederla».
Oggi come lo segui il mondo?
«La qualità degli uomini che governano il mondo in questo momento è piuttosto mediocre, o forse sono io che sono troppo âgé, quindi la curiosità non è sempre molta… Leggo l’Economist perché riassume bene quello che succede. Qualche volta compro i quotidiani ma spesso sono già vecchi, le notizie della radio li hanno superati già al mattino».
Anche se siamo già vecchi, noi siamo felici di averti sul nostro quotidiano oggi: e i lettori pure, ne sono certa…
«Io voglio bene alla stampa scritta e aRepubblica in modo speciale, ho in mente con grande nostalgia gli anni di Eugenio, che è stato forse il più grande giornalista italiano e un grande amico. Ricordo gli anni passati con lui con affetto e anche con ammirazione».
Chiudo qui, ti lascio in pace perché so che non ami le interviste…
«Davvero? Hai già finito? Non hai altro da chiedermi?».
Non proprio: se dipendesse da me potremmo stare qui tutto il giorno...
«Allora chiedimi se tornerei a fare il giornalista…».
Bernardo, torneresti a fare il giornalista?
«Certo. Essere giornalista mi ha permesso di girare il mondo in lungo e in largo, di vedere le cose cambiare sotto ai miei occhi, di leggere moltissimo, di incontrare personaggi impressionanti e anche commoventi da ricordare…».
Come Che Guevara? Un giorno in redazione ci hai tenuti tutti incollati alle sedie mentre raccontavi di quando avevi conosciuto Che Guevara…
«Certo. Ero in Africa, andavo a Nairobi e sull’aereo vidi un uomo che sembrava Che Guevara. Pensai che fosse un matto vestito come lui: perché mai Che Guevara doveva essere lì? E invece era lui, quello vero.
Passammo una notte intera a parlare a Nairobi: era scocciato dalle domande dei giornalisti sulla politica, sul futuro. Mi disse che se evitavo di chiedergli quelle cose potevamo chiacchierare: così abbiamo fatto. Mi ha raccontato quello che era andato a fare in Cina, perché veniva da lì. Fu con me un uomo di grande generosità».
È lui il tuo preferito, fra i tanti grandi che hai incontrato?
«No, ce ne sono altri anche. Per esempio Nehru, un uomo affascinante e di grande cultura. Facemmo un lungo viaggio in treno insieme». Abbiamo parlato di tante città, ma non di quella in cui sei nato, Parma: nel libro non c’è, ma so che la ami molto…
«Sono partito presto e tornato poche volte. Ma quando qualche anno fa mi hanno dato una laurea ad honorem sono stato orgogliosissimo».
Nel tuo salone di Parigi fra il tappeto arancione che ti regalò Terzani, le foto degli amici che non ci sono più, tantissimi libri, c’è anche una marea di premi che hai vinto per il tuo lavoro. Ne hai uno preferito?
«La Legione d’Onore che mi fu conferita da Mitterrand, un presidente con cui avevo un buon rapporto personale… per quanto lo si possa avere con uno che è presidente della Repubblica…». Valli fa una pausa, poi riprende a parlare… «Alla fine ti ho detto un sacco di cose, direi che hai abbastanza materiale per scrivere…».
Direi proprio di sì, ti lascio ai festeggiamenti. Auguri, allora, da parte nostra e dei lettori di “Repubblica”…
«Te l’ho detto: non festeggio. Però grazie».