Avvenire, 15 aprile 2025
Gli italiani si confermano “formiche” Quando investono cercano sicurezza
Gli italiani sono ancora un popolo di risparmiatori? Anche nei momenti più difficili il risparmio non è mai venuto meno. Ancora nel 2024, ben l’11% del reddito prodotto – secondo i recenti dati di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi – è stato accantonato. Ma era il 12,6% nel 2023. Segno che i sacrifici in questa direzione e a tutela di figli e vecchiaia sono crescenti. Spesso, inoltre, i risparmi restano sul conto corrente. Un’annosa questione che non ha trovato ancora una soluzione. Chi ha paura di investire resta arroccato e preferisce l’erosione inflattiva al rischio di investimento.
Mediamente solo un terzo del bacino potenziale si dedica agli investimenti, spesso con importi limitati, sebbene si osservi un lieve incremento nella propensione al rischio, passata dal 7% nel 2023 al 9% nel 2024. Sarà ancora così nel 2025 dopo la recente volatilità e le incertezze sulle politiche commerciali e gli eventi globali?
In questo scenario a brindare è comunque l’industria del risparmio gestito in Italia, con un patrimonio complessivo di 2.509 miliardi di euro, in aumento dai 2.463 miliardi di fine settembre e dai 2.338 miliardi di fine 2023. Secondo l’ultima mappa del quarto trimestre di Assogestioni, l’anno si è concluso con una raccolta netta di 33 miliardi di euro, di cui ben 25 miliardi raccolti solo tra ottobre e dicembre. «Il 2024 è stato l’anno degli obbligazionari – ha sottolineato il Direttore dell’Ufficio Studi – che nei dodici mesi hanno attratto oltre 50 miliardi di nuovi capitali, con un picco di più di 15 miliardi nel 1° trimestre. La raccolta netta degli ultimi tre mesi dell’anno è stata di 12 miliardi». Si chiude in territorio negativo la raccolta nel 4° trimestre di azionari (-5,6 miliardi) e bilanciati (-2,2 miliardi), mentre i flessibili sono rimasti sostanzialmente invariati (+172 milioni). Di segno positivo invece i flussi dei fondi chiusi, pari a 4,2 miliardi nel trimestre, di cui 2,9 miliardi concentrati sui fondi mobiliari che, tipicamente, investono in imprese non quotate di piccole e medie dimensioni.
Tutti investimenti dove la sicurezza resta una priorità per gli investitori: il 65% la reputa la prima caratteristica cui prestare attenzione quando si espone sul mercato. La liquidità si colloca infatti al secondo posto.
Nel 2024, cala invece il grado di diversificazione dei portafogli, ma si allunga l’orizzonte temporale degli investimenti, una classica mossa per combattere la crescente volatilità. Dal 2020 in poi è salito anche il valore delle azioni possedute dalle famiglie italiane, sia per l’andamento positivo delle Borse, sia perché è cresciuta la propensione a investire in titoli azionari (il 13,4% dei patrimoni privati, più del doppio rispetto al 2011). Si tratta però di dati relativi, e di una base molto ridotta: solo il 12% degli ita-liani investe in azioni.
Guardando al target generazionale, i giovani sono consapevoli di avere priorità e obiettivi di risparmio differenti da quelli dei loro genitori e seguono le loro priorità (lo dichiarano rispettivamente il 63% dei GenZ e il 64% dei Millennials vs il 56% del totale). Il 33% degli italiani percepisce, inoltre, di avere una capacità di risparmio minore rispetto alle generazioni precedenti a causa delle condizioni macroeconomiche attuali, in particolare l’aumento del costo della vita (70%) e le condizioni lavorative contemporanee (60%), e per i cambiamenti negli stili di vita (60%). In particolare, l’aumento del costo della vita è sentito dalla GenZ (76%) e dai Boomers (77%), mentre le differenti condizioni lavorative sono menzionate dalla GenX (65%). Trasversalmente rimane alta l’attenzione al risparmio. I giovani appartenenti alle generazioni Z e Millennials, tendono ad associare il risparmio maggiormente a concetti di crescita (18%) e investimento (15%) rispetto ai Boomers (rispettivamente 8% e 2%). Un altro dato importante nella fotografia legata al risparmio è il fatto che la ricchezza privata è un paracadute sempre più piccolo e fragile per le nuove generazioni. Fino a oggi a fare da cuscinetto sono stati i patrimoni delle famiglie, generati dai risparmi del passato, nonché dal valore di ciò che con quei risparmi era stato comprato, immobili in primis. Una tendenza che si sta assottigliando e che impatterà molto nel futuro degli investimenti e dei risparmi degli italiani. Un trend globale visto che, non a caso, l’Economist ha dedicato la sua copertina alla cosiddetta “ereditocrazia”, ovvero l’aumento del peso delle ricchezze ereditate registrato in molte economie avanzate. Nella maggior parte dei paesi sviluppati, il valore dei trasferimenti di ricchezza da una generazione all’altra è aumentato significativamente negli ultimi anni. Solamente nel 2025, si prevede che verranno ereditati nei paesi avanzati circa 6 trilioni di dollari, pari al 10% del Pil.
In Italia, il valore totale delle eredità e delle donazioni in rapporto al Pil è cresciuto dall’8,4% del 1995 al 20% di oggi. Qualcosa però sta cambiando e i patrimoni si assottigliano passando da generazione in generazione. Una crescita economica sostenuta e sostenibile che faccia aumentare i salari e che incentivi le nuove generazioni a raggiungere l’indipendenza economica sarebbero le soluzioni per fermare l’erosione dei capitali da una generazione all’altra.