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 2025  aprile 13 Domenica calendario

Il castello di carte (anzi: autografi)

Ci sono fan che si mettono a fare incetta di autografi di cantanti e calciatori: ma se ti chiami Edmond de Rothschild, allora la raccolta di firme celebri va da Elisabetta I a Mozart, passando per Nelson e Byron. E adesso questa stupefacente collezione di lettere e manoscritti è in mostra al Waddesdon Manor, il maniero che il barone Ferdinand de Rothschild, zio di Edmond, si fece costruire alla fine dell’Ottocento nella campagna del Buckinghamshire, poco lontano da Oxford: un capriccio della fantasia a imitazione dei castelli francesi del Cinquecento, ma anche un grandioso scrigno delle meraviglie che racchiude dipinti da Canaletto a Guardi, da Reynolds a Gainsborough, oltre a preziose porcellane di Sèvres e mobili antichi del Settecento francese. E pensare che i Rothschild – la celebre famiglia di banchieri di origine ebraica divisa in cinque rami europei, le «cinque frecce» – neanche ci abitavano, ma usavano Waddesdon Manor come palazzo per le feste e i ricevimenti.
È nella Family Room del maniero, trasformata in una autentica Wunderkammer, che si possono scorrere fino al 2 novembre le corrispondenze private dei grandi della politica e della cultura degli ultimi 500 anni: si fa quasi prima a dire chi non è presente nella collezione piuttosto che chi c’è, visto che ci troviamo di fronte a un autentico Who’s Who della storia d’Europa. Ed è emozionante posare gli occhi su quelle pagine ingiallite, cosparse di grafie minute d’altri tempi, righe vergate in privato da personaggi che ancora oggi riempiono l’immaginazione del pubblico.
Gli archivisti del Waddesdon Manor sapevano da tempo dell’esistenza di questa collezione, racchiusa in sei grandi faldoni, ma nessuno si era finora preso la briga di catalogarla. È stato solo nell’estate scorsa che hanno deciso di dare un’occhiata più attenta a quella raccolta di 229 lettere e carte messe assieme dalla foga collezionistica di Edmond: un esame pieno di sorprese, dal quale è scaturita la decisione di esibire pubblicamente una selezione di 29 di quegli «autografi».
Come Rothschild sia riuscito a mettere le mani sui manoscritti resta tuttavia un mistero: alcuni appartengono alla corrispondenza tenuta da membri della sua stessa famiglia, ad esempio con Victor Hugo, ma in altri casi potrebbero essere stati acquisiti tramite aste, vendite private o donazioni: non lo sapremo mai. Quel che è certo è che la collezione, alla morte di Edmond, nel 1934, è arrivata dalla Francia (lui era del ramo francese della famiglia) al Waddesdon Manor, che suo figlio James aveva ereditato dalla prozia Alice, sorella di quel barone Ferdinand che l’aveva fatto costruire.
Fin dall’età di sette anni Edmond aveva dato il via alla sua raccolta, stregato dalle firme delle celebrity dei tempi: «Ricordo quando da bambino – racconta nella sua autobiografia – arrivavo nel salone prima della cena che i miei genitori stavano dando per i diplomatici stranieri che erano venuti a siglare il famoso Trattato di Parigi e chiedevo loro di firmare il mio piccolo album, perché era la moda del tempo, e difatti lo è ancora, di chiedere alle persone famose di firmare il loro autografo». Una passione che è poi cresciuta col tempo e si è estesa ai grandi della storia: «Queste lettere – ha commentato la dama Hannah Rothschild, presidente della Fondazione che oggi gestisce il castello, la cui proprietà è nel frattempo passata al National Trust, l’organismo britannico di tutela del patrimonio storico – sono più che semplici firme: sono una finestra sull’insaziabile curiosità della nostra famiglia e la sua devozione all’arte, alla storia e alla cultura. I nomi saltano fuori dalle pagine, sussurrando racconti del passato e storie che aspettavano di essere raccontate».
Attraverso quelle righe traspare il lato umano, privato di quei personaggi, spesso distante dall’immagine che ne abbiamo conservato: è quasi come spiarne le vite dal buco della serratura, ma al tempo stesso un modo di stabilire una connessione immediata con figure tuttora oggetto di ammirazione. E la materialità delle scritture ci rammenta anche la permanenza della lettera come forma di comunicazione: «In un’epoca di email e testi digitali – sottolinea Pippa Shirley, direttrice delle collezioni del Waddesdon Manor – l’arte della corrispondenza sta sparendo rapidamente, dunque c’è qualcosa di meraviglioso nell’osservare l’eleganza fisica e la permanenza delle parole scritte su carta: ci danno un legame tangibile con la storia che possiamo vedere e sentire, così come con quelle persone che, proprio come noi, avevano bisogno di comunicare con gli altri, anche se magari non si aspettavano che i loro scritti durassero e venissero custoditi come tesori».
Una parte sostanziale della collezione verte su figure politiche e rivoluzionarie francesi, così some su esponenti della cultura europea, dalle arti alla musica, dalla scienza alla filosofia: la selezione esposta al castello è frutto di una scelta per certi versi anche soggettiva, e non è escluso che ci saranno mostre successive dedicate ad ulteriori lettere. Alcune di esse furono scritte con la consapevolezza che sarebbero state rese pubbliche, ma la maggior parte intendevano rimanere private e così offrono uno scorcio affascinante sui pensieri quotidiani delle più grandi menti dei secoli passati.
Fra le gemme della raccolta c’è uno spartito autografo di Mozart, la bozza di un’aria da concerto composta nel 1781: ma accanto c’è una lettera del suo collega Antonio Salieri, che è sostanzialmente una nota spese per il suo lavoro di maestro di cappella, in cui si chiede il rimborso di una libbra di candele di cera e del servizio di cinque persone per il trasporto degli strumenti. Restando nel campo della musica, ci sono le lettere di Niccolò Paganini e Gioachino Rossini indirizzate, in francese, a Betty von Rothschild, la madre di Edmond, nel cui salone parigino si tenevano concerti, così come una missiva in italiano di Paganini a Rossini in cui parlano dell’organizzazione di una di quelle performance.
Venendo alla grande storia, spiccano due lettere firmate dalla regina inglese Elisabetta I, entrambe scritte in francese, una delle sei lingue che la sovrana padroneggiava: una missiva è un ringraziamento per aver ricevuto cavalli per la sua causa, l’altra è una lettera di sostegno a Enrico IV di Francia. Le firme sono molto diverse, più formale quella della lettera ufficiale, meno elaborata quella del foglio privato. Curiosa è invece la lettera di Horatio Nelson, scritta con la mano sinistra sopravvissuta all’amputazione del braccio destro, colpito da una pallottola spagnola nel 1797: la grafia è sicura, ma molto diversa da quella delle pagine scritte con l’altra mano.
Sono vergate in italiano le lettere indirizzate da Rubens al duca di Buckingham, noto patrono delle arti che il pittore fiammingo raffigurò più volte. E questo avvicendarsi delle lingue, indipendentemente dalla nazionalità degli autori, è testimonianza di una circolarità della cultura europea che stringeva assieme i protagonisti delle epoche passate.
Uno dei sei faldoni messi insieme da Edmond de Rothschild era interamente dedicato agli scrittori del Sette-Ottocento. In mostra, assieme a lettere di Victor Hugo e Chateaubriand, c’è una missiva di Lord Byron, il cui contenuto spicciolo contrasta con l’aura di grandioso eroismo di cui è soffusa l’immagine del poeta inglese: qui si parla di quando sarà fuori città e di dove recapitargli la corrispondenza. Segno ulteriore, questo, che la raccolta non era ispirata tanto dal contenuto di quelle carte quanto dalla brama di venire in possesso di una firma famosa: un po’ come oggi quando ci si scatta un selfie con un attore celebre. Solo che quelli erano i selfie dei Rothschild con la storia.