Robinson, 13 aprile 2025
Sulla Sierra Madre con Bogart
L’unico litigio fra John Huston e Humphrey Bogart avvenne durante la lavorazione di uno dei loro film migliori, forse il migliore in assoluto, Il tesoro della Sierra Madre. Bogart era ansioso di terminare le riprese per gareggiare alla regata di Honolulu con “Santana”, l’amatissimo yacht appena acquistato. Huston non amava intromissioni né tantomeno farsi mettere fretta, e Bogart continuava a punzecchiarlo con battute sarcastiche del tipo «Vuoi girare un capolavoro del c...., vero John?». Una sera, a cena, il regista non ne poté più, gli afferrò il naso tra due dita e cominciò a torcerlo. Lauren Bacall intervenne in difesa del marito: «John, gli stai facendo male». Risposta: «Sì, lo so, voglio farglielo», e glielo torse un’altra volta. Scrive il regista nelle sue memorie: «Più tardi Bogie venne da me e disse: “John, per l’amor del cielo, che stiamo facendo? Torniamo a essere quelli di sempre”. E naturalmente fu quello che facemmo».
Dietro la lavorazione del film ci furono anche contrasti più gravi. Già le riprese sarebbero dovute partire nel 1941, ma l’attacco giapponese a Pearl Harbor aveva mandato tutto all’aria e il film si poté girare solo nel ’47. La cosa più curiosa riguarda il romanzo, che ora esce in una nuova versione integrale per le edizioni WoM. Il tesoro della Sierra Madre fu pubblicato per la prima volta in Germania, nel 1927, otto anni prima che negli Usa, anche se la trama è americana fin nel midollo: la storia di un gruppo di cercatori d’oro che si dannano l’anima fra la mancanza di lavoro, la violenza del Messico e la follia innescata dall’avidità. B. Traven era ed è tuttora un personaggio misteriosissimo, avendo scelto di vivere alla larga da giornalisti e riflettori. Il B puntato sta forse per Bruno ma Traven è comunque uno pseudonimo. La teoria più accreditata lo identifica nell’anarchico tedesco Ret Marut, il che spiegherebbe la prima uscita del libro in Germania. Secondo altri faceva tutt’uno con tale Hal Croven, sedicente traduttore ed agente; John Huston lo conobbe durante il lavoro alla sceneggiatura del film, e fu più volte convinto che quell’ometto piccolo e magro, con occhi azzurri e grande naso, fosse lo stesso autore del libro; ma essendo uno che andava per le spicce, evitò di metterlo alle strette. La lavorazione della pellicola ebbe poi problemi di tutti i tipi: amante del realismo, Huston fece girare gran parte del film nel Messico, fra serpenti a sonagli, cibo poco salubre, ricatti della stampa locale (che cercava di riscuotere mazzette accusando i cineasti di screditare i messicani), le proteste della Warner per il fatto che Bogart, nel personaggio del cercatore d’oro Dobbs, avesse assunto l’aspetto irsuto e pulcioso di un poco di buono, e un costo complessivo che arrivò a tre milioni di dollari dell’epoca. Huston teneva molto a quel film, anche perché nel personaggio del cercatore d’oro più anziano aveva trovato un ruolo perfetto per il padre Walter. Il film ebbe tre Oscar, due a John Huston come miglior regista e sceneggiatore, e uno al padre come miglior attore non protagonista; e anche se Jonathan Coe, in una sua svelta biografia di Bogart, lo definisce «sorprendentemente noioso», Il tesoro della Sierra Madre è uno dei film più amati e influenti del cinema statunitense, anello di congiunzione fra Greed di Erich von Stroheim e Il petroliere di Paul Thomas Anderson, perfino creditore di Indiana Jones, il cui personaggio è stato creato da Spielberg a partire dal Dobbs di Bogart.
La nuova edizione del romanzo di Traven, composta incrociando la versione tedesca con la più lunga in inglese del 1935, offre ora la possibilità di ampliare gli avvenimenti e le suggestioni del film. La scelta di Huston di mantenere fin dove possibile identiche le parole dei dialoghi àncora indelebilmente il libro al film ma le due ore diproiezione rappresentano comunque un sunto rispetto alle trecento e passa pagine del testo. Identica la vicenda centrale, con Dobbs, il giovane Curtin e l’anziano Howard a setacciare la terra intorno alla Sierra Madre, lottando contro animali e bandidos, e soprattutto contro la crescente bramosia che la scoperta dell’oro innesca sconvolgendo sensi ed equilibri. Dopodiché nel libro c’è parecchio d’altro: un più lungo preambolo con Dobbs e Curtin alla ricerca di lavoro; un quarto cercatore d’oro, Robert Lacaud, che nel film è liofilizzato nel personaggio di Jim Cody; varie digressioni che sono racconti dentro il racconto; e un finale più scabro, laddove la pellicola di Huston sceglie di mostrare il vento che disperde la polvere d’oro e Curtin che intravede una possibile sistemazione anche sentimentale.
Identica comunque la morale, peraltro sempre più attuale: «Non è l’oro in sé che trasforma l’uomo, ma il potere che l’oro concede. Eppure, questo potere è solo immaginario. Se non è riconosciuto dagli altri, non esiste affatto».