Robinson, 13 aprile 2025
Trump spiegato alle scimmie
Per capire Trump bisogna studiare gli scimpanzé. In un famoso esperimento, il neuroscienziato e primatologo Robert Sapolsky si rese conto che le scimmie secernono più dopamina, l’ormone della felicità, quando premono un pulsante che offre il cinquanta per cento di probabilità di ottenere una banana preferendolo al pulsante che invece garantisce il cento per cento, cioè la certezza di ricevere l’agognato frutto. Gli esseri umani sono identici. Ciò che inonda il nostro cervello di chimica celeste non è il piacere, ma l’incerta anticipazione del piacere. La probabilità inebria il nostro cervello: «Riuscirò a ottenere quello sconto?», «Quel ragazzo mi darà un appuntamento?». Sapolsky la chiama la “magia del forse”. E ilpolitico che ha capito meglio che le persone sono drogate dalla suspense è Donald Trump. Deve il suo successo alla “politica del forse”.
Di fronte a una politica convenzionale che esalta la coerenza e la serietà ( anche se è noiosa), Trump propone l’incoerenza e lo scherzo (anche se è ridicolo). Ha capito prima di chiunque altro che, in un mondo immerso in una guerra civile per l’attenzione della gente, tra social network, media e infiniti intrattenimenti audiovisivi della nostra epoca, l’imprevedibilità vende più della certezza. Secerne più dopamina nel cervello degli elettori. E probabilmente non è un caso che Trump abbia sempre avuto più influenza su determinati profili psicologici. I suoi seguaci più fedeli sembrano essere i soggetti più desiderosi di una dose di dopamina.
E, una volta al potere, Trump continua a giocare sull’incertezza. A un ritmo frenetico. Le prime settimane di Trump al potere non sono state adatte ai deboli di cuore. In meno di due mesi, ha detto più di qualsiasi suo predecessore in carica – in questo è superiore a George Washington. Trump contraddice così la logica naturale della democrazia, che impone a ogni politico di moderarsi una volta al potere. Si è radicalizzato, annunciando politiche, dopo essere salito al potere, che sono ancora peggiori di quelle che aveva annunciato in campagna elettorale.
Le invettive, i gesti e le politiche proposte finora da Trump sono inaccettabili e anche incomprensibili da un punto di vista geopolitico ed economico. Trump non smette di dare calci contemporaneamente ai due pilastri fondamentali del modello di vita occidentale: la democrazia e il capitalismo. Sta erodendo la libertà politica sia in politica estera, umiliandosi di fronte a Putin e umiliando Zelensky, sia in politica interna, indebolendo i pesi e contrappesi che controllano il potere esecutivo. Dopo essersi presentato come un arbitro imparziale che avrebbe distribuito la pace, da Gaza all’Ucraina, Trump chiude le porte di Washington ai rappresentanti ucraini e la sua unica linea di comunicazione stabile è il telefono con Mosca. Dopo aver cercato di proiettarsi come il salvatore della civiltà occidentale, si allontana drammaticamente dal ruolo tradizionale degli Stati Uniti – compresi i suoi predecessori repubblicani in carica, come Reagan e Bush – di difendere le democrazie fragili dagli invasori autoritari.
Il nuovo presidente Usa inoltre sta minando la libertà economica, con una serie di politiche folli; in particolare, i dazi doganali sui tradizionali alleati che danneggeranno sia i consumatori che i produttori americani. Durante le prime settimane del mandato di Trump, le borse hanno mantenuto una calma sorprendente. Nessuna bizzarra dichiarazione del presidente americano sembrava turbarle. Ma questa tregua è stata interrotta e i mercati sono diventati prima nervosi e poi decisamente agitati. Gli operatori economici temono che chi è stato eletto per massimizzare i profitti aziendali e ridurre l’inflazione finisca per portare l’economia americana a una recessione in concomitanza con l’inflazione – la temuta “stagflazione”, un mostro che non si avvicinava alle nostre società da decenni. È come assistere al suicidio televisivo dell’Occidente. Ma ciò che definisce le politiche di Trump non è che siano pericolose ( anche se alla fine lo diventeranno), ma la loro incertezza. I suoi annunci sono pensati per seminare dubbi e generare aspettative: sono il grande pacificatore o il grande imperialista? L’ultimo crociato della civiltà occidentale o il peggior nemico dell’Occidente? Sono venuto per mettere ordine o per seminare il caos? Ci tiene in costante sospeso, senza sapere se le sue minacce si trasformeranno in politiche.
Trump non è un uomo di Stato, come sostengono i suoi sostenitori, né un uomo d’affari, come sospettano i suoi oppositori, ma un uomo dei media. Ha capito meglio di chiunque altro come si colonizza la mente umana nell’era di internet: inondando lo spazio pubblico di messaggi incerti, perché creano dipendenza. Trump è uno sceneggiatore di serie tv a cui non interessa la coerenza di un episodio, ma portarti a quello successivo. Lancia falsità, ma la menzogna è circostanziale. L’intrigo è l’essenziale. Trump non ha vinto per le fake news, ma per le maybe news, non le false notizie ma le notizie del forse. Perché siamo stati i suoi scimmioni.