la Repubblica, 13 aprile 2025
Katharina Fröhlich: “Conquistai Calasso con una veletta nera”
La figura di Roberto Calasso vive di un’aura mitica. Coltissimo, distaccato, intimidente.
A quasi quattro anni dalla morte dell’editore di Adelphi, il 28 luglio 2021, Anna Katharina Fröhlich, scrittrice, giardiniera appassionata, madre dei suoi figli Josephine e Tancredi, racconta una storia d’amore durata venticinque anni. Un incontro fatale che Fröhlich, oggi nel cda della casa editrice, ricorda nella sua fase germinale, quando una giovane e bellissima ventitreenne che indossa un abito di lana verde scarabeo lungo fino ai piedi e un cappello di feltro a tesa larga incontra per la prima volta l’uomo che le avrebbe cambiato la vita.
Lui è sposato con Fleur Jaeggy, diventano comunque amanti, viaggiano molto insieme. Tra loro ci sono trent’anni di differenza, Fröhlich è nata nel 1971. Ora queimomenti sono diventati un libro radioso, La trama dell’invisibile(Mondadori), dove si rivela un Calasso intimo assai meno austero. È il sesto libro della scrittrice, l’unico tradotto in italiano. Sugli assetti societari Adelphi, dove i figli possiedono il 38% delle azioni, Fröhlich non vuole aggiungere altro, ma è chiaro che sono l’ago della bilancia. La vendita del 10% delle azioni a Mondadori da parte della figlia Josephine fa da contraltare al 10% venduto a Feltrinelli dagli eredi dell’antropologo Francesco Pellizzi, socio storico di Adelphi.
Le mosse future di Tancredi, il figlio diciassettenne, potrebbero cambiare gli equilibri con gli altri soci, Fleur Jaeggy e il nipote Roberto Colajanni, succeduto a Calasso alla guida della casa editrice.
Parliamo via Zoom. Dallo schermo si intravede una stanza dai soffitti di legno. È nella sua splendida casa di Mornaga sul Lago di Garda.
Come mai il bisogno di una narrazione così personale?
«Alcuni giorni prima che morisse, sono stata da Roberto. Abbiamo parlato molto e a un certo punto gli ho chiesto se potevo scrivere su di lui. In genere non amavaesporre la sua vita, preferiva essere invisibile, però con animo generoso mi diede il permesso.
Così due anni fa, in ottobre, a un certo punto mi sono seduta nella mia poltrona e ho iniziato a ricordare i primi tempi. Tempi incredibilmente belli, inverosimilmente belli».
Il libro parte dal vostro incontro alla Buchmesse. Lei era con sua madre.
«Andavo alla Fiera del libro da quando ero ragazzina e vivevo a Francoforte. La frequentavo perché mio padre, Hans Jürgen Fröhlich, era uno scrittore. Calasso era un nome che circolava a casa.
Anche i miei patrigni, GünterMaschke e Thomas Ross, ne conoscevano il lavoro. Maschke, a sua volta editore, lo ammirava molto e mia madre era abbagliata dal suo carisma intellettuale».
Fu un colpo di fulmine?
«Ci avvicinammo, era allo stand Matthes & Seitz. Mia madre gli parlò di Mario Praz e del suo La casa della vita,che aveva appena letto. Praz era stato professore di Calasso e così si stabilì immediatamente un’intesa. La scena aveva una sua bellezza cinematografica, un suo brio: due donne bionde con gonne lunghe fino a terra parlavano a un editore che le incontrava per la prima volta. Calasso mi invitò a cena lasera stessa. Andammo al Restaurant Français».
Vennero fuori interessi comuni?
«Rimase subito colpito scoprendo che nella mia stanza di bambina c’erano i libri di Clausewitz, Melville e Jouhandeau. La cosa lo divertì molto. C’era già tra noi un fervore intellettuale che ci avrebbe accompagnati per venticinque anni».
Nel libro rivela con sincerità la sua determinazione a voler diventare l’amante di Calasso dopo averlo conosciuto.
«La verità è che mi sono innamorata come mai prima, non potevo immaginare una vita senza di lui».
Di quella sera al ristorante lui conservò la sua veletta nera. Un dettaglio da romanzo che sembra irrilevante, ma forse era già il segno di un legame.
«A volte una storia d’amore puòiniziare da un oggetto frivolo, come quella mia veletta. Un altro uomo magari l’avrebbe dimenticata e forse neanche notata ma non lui. Era un grande amante del cinema, soprattutto di Hitchcock e Max Ophüls, aveva un occhio allenato a cogliere i dettagli. La veletta nera lo aveva subito attratto. Quel suo gesto rivela l’attenzione di Roberto.
Un’eredità che mi ha lasciata: grazie a lui sono attenta sia alle cose visibili che invisibili».
Avete viaggiato molto insieme.
«Lui viaggiava per lavoro e io lo seguivo. Erano pellegrinaggi in luoghi che amava molto e che lo avevano segnato. Il Green’s Bar e la London Library a Londra, la casa di Praz o San Clemente a Roma. Mi portò anche in via Gregoriana, dove un tempo c’era lo studio romano dello psicoanalista Ernst Bernhard, la cui influenza suAdelphi è stata incisiva».
Lei racconta che arredava le stanze d’albergo per sentirle più sue, metteva incensi, statuette di divinità indiane. Ci sono stati momenti difficili?
«Fa parte della trama di ogni amore, un alternarsi tra gioia e dolore».
Facevate vita mondana, incontravate altri scrittori?
«La mondanità che ho appreso da Roberto era una percezione del mondo aperta, più che la frequentazione dell’alta società.
Avevamo una lista di scrittori che avrei voluto incontrare nei nostri pellegrinaggi. Nel tempo si era assottigliata, molti erano morti.
Brodskij fu un duro colpo, era un suo grande amico. Roberto riuscì a organizzare un viaggio per me a Cetona da Ceronetti. Lo trovai piegato in due, stava male. Mi sono seduta sul suo letto e abbiamo chiacchierato a lungo di tutto, dal tè verde a Coomaraswamy, dalla letteratura alle questioni metafisiche».
Nel ritratto che ne fa non nasconde alcuni difetti di Calasso.
Lo descrive arrogante e abbastanza chiuso, mai però noioso.
«Credo che la sua arroganza fosse più una difesa, un modo per proteggersi. Ma era un uomo molto divertente, aveva un grande senso dell’ironia. Questo suo lato allegro è meno conosciuto.
Abbiamo riso moltissimo insieme, anche con i nostri figli Josephine e Tancredi».
Scrive: «Allora possedevo tutte le qualità per piacere a Roberto.
Ero bella, non andavo a votare, non leggevo i giornali, non provavo interesse per le mode, le manie del momento».
«Vivevo in campagna sul Lago di Garda e non sfogliavo ogni mattina il giornale, anche se l’aria di casa era naturalmente impregnata di notizie, visto che il mio patrigno Thomas Ross era corrispondente per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Trascorrevo le giornate immersa nella lettura e nel giardinaggio. Le letture che mi passavano da mio padre erano Kafka, Joseph Roth, Musil, Hofmannsthal. Il mondo di Roberto».
Leggevate insieme ad alta voce?
«A me piaceva ma lui lo trovava ridicolo, un po’ patetico, forse troppo romantico».
Le affidò subito la traduzione in tedesco di “Ka”, segno di una grande fiducia.
«Fa parte di quell’intimità immediata di cui le parlavo. Mi diede il manoscritto e mi mandò due vocabolari di sanscrito e i cinquanta volumi dell’opera Sacred Books of the East di Max Müller, una raccolta di testi sacri orientali tradotti in inglese. È stato un lavoro arduo, in collaborazione con Marianne Schneider, che mi ha fatto immergere sempre di più nella mitologia indiana».
C’è proprio la scritta “Ka” incisa nella tomba di Calasso nell’Isola di San Michele, a Venezia.
«Chiudo il libro con una domanda: chi (in sanscrito Ka) è Roberto Calasso? Vivo circondata dai suoi libri, le sue foto sono qui sulla mia scrivania, ma questo interrogativo mi accompagnerà sempre».