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 2025  aprile 13 Domenica calendario

Il Sudan dopo due anni di guerra adesso rischia di spaccarsi a metà

Khartum anno zero. La capitale del Sudan riconquistata dall’esercito il 27 marzo dopo due anni di occupazione delle forze di supporto rapido Rsf è tornata indietro di 100 anni ai tempi della rivolta del Mahdi. La città dei due Nili e le gemelle Beri e Omdurman sono semidistrutte. Spogliate dalla soldataglia pagata con il medievale diritto di saccheggio e private dal furto dei cavi di rame di energia elettrica, devastate persino negli infissi delle case e prive di acqua potabile sono l’immagine che raffigura 24 mesi di guerra civile. Scoppiata il 15 aprile 2023 perché i paramilitari delle Rsf e le milizie di origine araba alleate guidate dal generale Dagalo rifiutarono di sottomettersi alle forze armate del generale al-Burhan, ha provocato quella che le agenzie umanitarie definiscono la più grande crisi umanitaria del pianeta. Crisi che colpisce soprattutto i bambini e le donne con accuse di genocidio nel Darfur, alle Rsf (già colpevoli del genocidio del 2003) contro le tribù nilo-sahariane dei Masalit. Mentre proprio ad al-Fasher, in nord Darfur, si temono cento morti in un attacco delle Rsf. Un nuovo orrore in un Sudan già saturo. Il conflitto è alimentato dagli Emirati Arabi, che sostengono i paramilitari vendendo armi in cambio dell’oro delle miniere illegali del Darfur – ripulito ad Abu Dhabi per finire sui mercati occidentali – dell’uranio e della carne. Si delinea una spartizione del Paese, con le Rsf che stanno conquistando l’ovest legate alla Libia di Haftar – la Cirenaica – al Ciad e alla Repubblica Centrafricana, tutte sotto la nuova sfera di influenza di Mosca che qui prende l’oro per pagarsi la guerra in Ucraina. Il resto nelle mani dell’esercito di Burhan legato ad Arabia, Egitto e Iran.
La capitale è stata spostata a Port Sudan sul Mar Rosso, al riparo dagli attacchi dei droni delle Rsf che bersagliano il nord e la diga di Merowe, la più grande in Africa, togliendo energia elettrica al Paese. Le congregazioni religiose restano per ora a Port Sudan e i tre sacerdoti cattolici rimasti nella Khartum occupata dalle Rsf sono salvi. Pesanti le distruzioni nel college dei comboniani razziato e vandalizzato. Nonostante tutto, i primi sfollati stanno rientrando nella capitale nelle proprie case perché i tagli di Trump a Usaid hanno reso la vita nei campi per profughi e sfollati impossibile. «Due anni di guerra in Sudan vedono una combinazione devastante di sfollati record e aiuti in calo – sostiene il portavoce italiano dell’Unhcr Filippo Ungaro –. Quasi 13 milioni di persone sono fuggite dalle loro case, quasi 4 milioni che hanno attraversato i confini di Egitto, Sud Sudan, Ciad, Libia, Etiopia, Repubblica Centrafricana fino in Uganda. A livello globale tra tutti gli sfollati al mondo una persona su sei è sudanese e tra tutti i rifugiati del mondo uno su 13 è sudanese. Chi scappa riferisce di aver subito violenze sessuali sistematiche e abusi oltre ad aver assistito a uccisioni di massa. La metà sono bambini, tra cui migliaia senza famiglia e malnutriti. Ma è una crisi sottofinanziata e che riceve poca attenzione dalla comunità internazionale e dall’opinione pubblica. Il piano regionale di risposta del Sudan al momento ha ricevuto soltanto il 9% dei fondi necessari e questo sta avendo un impatto fortissimo».
Altra conseguenza, dei tagli e della carenza di fondi, la chiusura di scuole nei campi per profughi e sfollati. Per molte ragazze aumenterà il rischio di matrimoni precoci, per i ragazzi, significa finire a lavorare nelle miniere d’oro illegali in Ciad o tentare migrazioni in Libia. Medici senza Frontiere ha resistito e opera nonostante attacchi in 10 Stati. «Ho visto e continuo a vedere due situazioni diverse – racconta Vittorio Oppizzi, responsabile Msf in Sudan –. Quella della linea del fronte in movimento che rende difficile operare. Entrambe le parti hanno usato la manipolazione degli aiuti e blocchi come tattica di guerra. Poi il dramma degli sfollati che ora provano a rientrare in città distrutte. Stiamo ricominciando a girare con cliniche mobili in alcune zone di Khartum dove la situazione resta molto critica. Se gli ospedali sono in piedi, mancano forniture mediche e i dottori sudanesi sono senza stipendio. Da due anni non si fanno vaccinazioni in particolare contro il morbillo e scoppiano epidemie di colera per mancanza di acqua potabile». Una lotta contro l’oblio e la guerra per salvare la generazione perduta del Sudan.