Il Messaggero, 12 aprile 2025
Dazi, agricoltori americani in crisi. E in tanti hanno votato per Trump
«Mr. Trump ha esortato gli agricoltori a ‘divertirsi molto’. Ci sto provando, ma faccio fatica a trovare qualcosa di divertente nei dazi». Blake Hurst è un agricoltore che produce soia a Tarkio, Missouri, e le sue due paginette di sfogo consegnate al Wall Street Journal e rilanciate in tutti gli Stati Uniti fotografano il problema enorme in cui la politica dei dazi di Trump getta i “farmers” di quell’America di mezzo che, oltretutto, lo ha votato in massa.
L’OFFENSIVA
La Cina non si è piegata agli annunci di Donald, si è ribellata all’offensiva protezionista Maga e ha risposto cercando di colpire là dove può fare più male. A cominciare dal settore agricolo. Una tassazione del 34% aggrava il 10-15% dello scorso mese, è arrivata al 60 per cento, il doppio della tariffa imposta nella guerra commerciale del 2018. Nel primo mandato di Trump, le tensioni avevano portato al crollo del 75% delle importazioni di soia americane in Cina, favorendo al contrario i produttori brasiliani. Nel 2017, gli Usa erano per Pechino i secondi fornitori. In un anno, l’export di soia passò da 12 miliardi ai 3 del 2018. Nel 2024 ha toccato i 27 miliardi. Ora, di nuovo rischia di scendere per decine di miliardi di dollari e mettere in ginocchio molte imprese agricole Usa.
Gli effetti non si limitano a perdite economiche. «All’epoca assistemmo alla riduzione di superfici coltivate, a perdite di quote di mercato e cambiamenti strutturali di lungo termine nei flussi commerciali globali», dice David Ortega, professore di economia alimentare e politica nell’Università del Michigan, al New York Times. L’Associazione Usa dei produttori di soia prevede, se proseguirà la guerra commerciale, perdite per 5,9 miliardi di dollari l’anno, e l’abbassamento dei prezzi e dei contratti a breve termine non solo per la soia ma per sorgo, avena, carne bovina, suini magri.
I margini dei “farmers” erano già risicati. E crollano le azioni delle società di settore. Gli agricoltori del Midwest non hanno dovuto attendere la reazione cinese per rendersi conto che la politica dei dazi stava per castigarli. Erano bastate le minacce di tariffe doganali più alte verso Canada e Messico. «Il 4 marzo ho scoperto che il carico di terriccio spedito dal Canada quella mattina sarebbe costato 1.750 dollari più di quanto risultava la sera prima», racconta Hurst, l’agricoltore del Missouri. «Se i dazi entreranno in vigore in aprile, affronteremo un aumento dei costi annuali di circa 10.500 dollari». Questo per la torba. Lo stesso per il fertilizzante potassico, o potassa. Il calo dei prezzi di mais e soia di 50 centesimi significa 75.000 dollari in meno di entrate nella sua fattoria. «I tre principali mercati di esportazione per i prodotti agricoli Usa sono Cina, Messico e Canada. Per aumentare il nostro ‘divertimento’ – aggiunge Hurst – questi paesi sembrano essere i principali bersagli della nostra guerra commerciale».
I produttori americani di soia rischiano di diventare «un danno collaterale delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, anche se la maggior parte di essi risiede negli Stati del Midwest che hanno ampiamente votato per Trump alle presidenziali», osserva Simon Lacoume, sector analyst di Coface. Nella piccola contea dove vive Hurst, 8 su 10 hanno votato per Donald. Ora, questa base preme sui rappresentanti repubblicani al Congresso, che a differenza di Trump dovranno affrontare elezioni di mid-term. Non solo. La strategia delle deportazioni ha sottratto all’agricoltura americana le braccia nei campi. Il 20 per cento della forza lavoro è nata all’estero, rispetto al 17% di prima della pandemia. Secondo l’American Business Immigration Coalition, se le “deportazioni” fossero attuate, la produzione agricola diminuirebbe fra 30 e 60 miliardi di dollari, visto che gli immigrati irregolari impiegati nei campi sono 4-5 milioni. È per questo che Trump è corso ai ripari suggerendo agli irregolari di «auto-deportarsi», aspettare due mesi e rientrare «legalmente».
L’INCENTIVO
Vale anche per gli stagionali nelle strutture alberghiere. «Dobbiamo prenderci cura di queste persone là dove c’è bisogno di loro», ha detto Trump. «Li potremo aiutare a rientrare, dando anche un incentivo. Se saranno fortemente raccomandati dalle aziende, permetteremo loro di restare per un certo periodo, potremo un po’ rallentare le procedure, e favorire le procedure per il rientro». Una dimostrazione di quanto morda il contraccolpo dei dazi in agricoltura. E delle politiche di deportazione. Il rischio è darsi la zappa sui piedi.