Il Messaggero, 12 aprile 2025
Dazi, perché fanno male a tutti? L’iPhone prodotto in 50 Paesi, le Harley Davidson hanno pezzi (anche) italiani: tutti i legami
Elon Musk a volte lascia intendere quello che pensa senza dire nulla. Basta un like sotto un post di un utente della sua piattaforma X per confermare che quello è anche il suo pensiero. O la semplice condivisione di un video senza aggiungere nessun commento. Così qualche giorno fa ha fatto molto discutere la pubblicazione sul suo account da 210 milioni di follower, di un video realizzato qualche anno fa da Milton Friedman, l’economista monetarista, premio nobel nel 1976. Nel breve filmato Friedman, con una matita in mano, spiegava come quel semplice oggetto fosse nato dalla collaborazione di migliaia di persone sparse in diversi Paesi del mondo: l’albero tagliato a Washington, da una sega il cui metallo veniva da chissa dove, la grafite sudamericana, la ghiera d’acciaio dalla Malesia. La matita insomma, è il frutto della «magia dei prezzi», che fa lavorare ad uno stesso oggetto persone di lingua e religione diverse a migliaia di chilometri di distanza. Un inno alla globalizzazione. Ma anche la dimostrazione plastica che il sistema del commercio globale è ormai difficilissimo da smontare. Qualsiasi oggetto oggi prodotto è come la matita di Friedman.
La pelle con cui è realizzata la caratteristica toppa dei jeans della Levi’s arriva da una conceria in Vietnam. I braccioli delle porte delle Ford portano la firma di un’azienda fornitrice del Canada, la Flex N Gate Seeburn con sede a Ontario. Le marmitte provengono dal Venezuela e più precisamente dalla Chaid Neme Hermanos di Bogotá. Circa il 40% dei componenti delle batterie di una Tesla è Made in China. Senza il litio della Ganfeng Lithium, colosso dei materiali per batterie con base a Xinyu, nella provincia di Jiangxi, le automobili di Elon Musk rimarrebbero parcheggiate. Se si prendono oggetti più complessi, come un telefonino, gli intrecci si complicano ancora di più. La catena di approvvigionamento di Apple include più di 50 Paesi.
I PASSAGGI
Il condensatore in ceramica all’interno dei melafonini, per esempio, viene dal Giappone: l’azienda fornitrice è la Murata Manufacturing. Gli AirPods sono forniti dalla cinese GoerTek. Il video di Friedman dimostra che nessun oggetto può essere realizzato in completa solitudine. Se mettiamo un Harley-Davidson al posto della matita usata da Friedman il risultato è lo stesso. Le Harley, icona del sogno americano, parlano messicano, tedesco, italiano e giapponese. Sebbene l’assemblaggio continui a essere effettuato negli Stati Uniti, la produzione dei componenti avviene in tutto il mondo. Persino il telaio di queste moto non è sempre Made in Usa (per alcuni modelli arriva direttamente dal Messico). Tra i fornitori di parti speciali c’è anche la vicentina Free Spirits. Pure la pelle dei giubbotti da motociclista firmati Harley-Davidson è italiana: l’azienda americana lavora con la toscana Leather Kem, giovane realtà conciaria nata nel 2016 in provincia di Pisa. Dal saggio di Leonard Read, a cui Friedman si è ispirato per il video, emerge che anche la realizzazione di un oggetto semplice è frutto di vaste catene di cooperazione internazionale. Per una Tesla o un iPhone queste catene di approvvigionamento diventano chiaramente molto più ampie. E con i dazi anche molto più costose per l’azienda produttrice e dunque per il consumatore finale. Lo ha ribadito il Wall Street Journal in un articolo in cui si fa l’esempio dell’iPhone 16 Pro. Il processore dell’iPhone 16 arriva da Taiwan, il display dalla Corea del Sud, la batteria dalla Cina, il gruppo di telecamere posteriore dal Giappone e così via. Risultato: Apple ha visto il costo dei componenti per questo modello di telefonino aumentare sensibilmente negli ultimi giorni. Quando i dazi di The Donald verso Pechino erano ancora fermi al 54%, il Wsj ha calcolato un aggravio di quasi 300 dollari per l’azienda di Cupertino.
I VANTAGGI
Ma davvero la guerra dei dazi porterà dei vantaggi all’America? Musk, condividendo il video di Friedman, sembra voler suggerire di no allo stesso Donald Trump. L’enorme deficit commerciale accumulato dagli Stati Uniti è per una parte non trascurabile dovuto alla delocalizzazione che ha fatto grandi aziende come Apple. L’I-Phone è uno di quei beni importati negli Stati Uniti dalla Cina. Quando Trump ha annunciato le tariffe sulle esportazioni di Pechino, la BigTech di Cupertino ha fatto decollare 6 aerei cargo pieni di melafonini per sottrarli ai dazi. Che sono facili da dribbalere spostando l’assemblamento dei prodotti in altri Paesi con costi bassi del lavoro, come il Vietnam. Il commercio globale andrà sicuramente riequilibrato, ma fare la matita di Friedman tutta in America è solo una chimera.