Corriere della Sera, 12 aprile 2025
«Rino Gaetano? Nostra mamma portinaia gli aveva trovato il posto in banca. Scrisse Gianna dedicandola a me, ma lui quel brano non lo amava»
Rino.
«Me lo immagino che mi viene incontro ridendo e ce ne andiamo a mangiare la granita a Monte Mario».
Il primo ricordo.
«Mamma andava a lavorare. Avevo 6 anni e nonna Marianna me lo faceva tenere in braccio come un bambolotto. Fasciato stretto arrotolato, così le gambine crescevano dritte». Anna Gaetano, 80 anni, è l’unica sorella del cantautore scomparso il 2 giugno 1981 in un incidente sulla Nomentana, a 30 anni e 8 mesi.
Battezzato Salvatore.
«Dallo zio paterno, di secondo nome Antonio, come l’altro zio. Non riuscivo a chiamarlo Salvatorino. Troppo lungo, diventò Rino. Gli davo la pappa col cucchiaino».
La vostra infanzia.
«Non tanto felice, tirata, erano tempi magri, c’era la fame. A casa il latte non lo vedevamo mai. Per fortuna nostro padre lavorava al forno. Ci portava ogni giorno il pane caldo caldo. Nonna ci metteva sopra l’olio e lo zucchero, era la nostra colazione».
Papà non stava bene.
«Era cardiopatico, lavorava perché doveva. Fino a un certo punto lo ha tenuto su la gioventù, poi non più. Stava spesso male, era ricoverato».
La villa col pollaio.
«Rino l’aveva comprata nel 1979 a Mentana, per starci con i nostri genitori. Il recinto già c’era, lui voleva metterci le galline così avrebbero fatto l’ovetto fresco per papà. Dopo la sua morte i miei non la vollero tenere, io invece non l’avrei mai venduta, avevo trovato da affittarla al calciatore Bruno Giordano, non se ne fece più nulla».
Il riccio.
«Che risate. Una notte, mentre tornava a casa in auto, un riccio gli attraversò la strada. Rino scese e lo acchiappò. Lo mise nel pollaio, voleva tenerlo. Ma il giorno dopo era già scappato, scavando sotto la grata».
La vacanza del cuore.
«E chi le faceva le vacanze? Non si poteva. A casa abbiamo patito la fame e l’affetto. Papà stava sempre male, mamma faceva quello che poteva. Non siamo mai stati in nessun posto. Da grandi appena potevamo tornavamo a Crotone dalla zia che ci cucinava i calamari ripieni, le cozze, i peperoni fritti. Rino andava matto per la cucina calabrese piccante».
Il giorno più bello.
«Quello dopo il Sanremo del ’78. Anche se era arrivato terzo con Gianna, mio fratello era contento, io pure di più. Ci siamo visti in un ristorante a Trastevere e abbiamo mangiato e bevuto la grappa Nardini che gli piaceva tanto».
Aveva studiato ragioneria, lo aspettava un posto in banca, giacca e cravatta.
«Papà era preoccupato perché secondo lui con la musica non si combinava nulla. Mamma era portiera in uno stabile dove abitavano certi signoroni molto ricchi che l’avrebbero aiutata a sistemare il figlio. Alla fine era riuscita a trovargli un posto alla Banca d’Italia in via del Corso. Rino promise: “Se non ho successo, alla fine ci vado”. Giacche ne aveva, ma lui la cravatta non la sopportava».
Ogni tanto girava con la maglietta del pigiama.
«Durante l’ultimo tour nel 1981 ne metteva due, celeste e gialla, di ciniglia, gliele aveva comprate mamma. Ci stava comodo».
Incontrò Venditti e De Gregori.
«Avevano la stessa casa discografica, c’era anche Mal, ammazza che bello che era. Mio fratello non aveva l’auto, lo portavo io».
Tre amici.
«Erano molto legati, tre fratelli. Quando uscivano insieme, Francesco e Rino pagavano la benzina, Antonello ci metteva la macchina».
Riccardo Cocciante.
«Abitava a Monte Sacro vicino a noi. Riccardo voleva molto bene a mio fratello. Tutti gliene volevano. Rino era sincero, altruista».
Generoso.
«A un amico gli si bruciò il negozio, Rino gli prestò i soldi per rimetterlo su. Non li ha mai rivisti. E tanti altri ne ha aiutati, che magari avevano qualche vizietto o l’amante e stavano sempre scannati».
Un bravo fratello.
«Ho avuto tre figli, quando uscivamo insieme, lui mi pagava la babysitter. E quando accudivo mamma e dovevo accompagnarlo da papà che era in coma, mi dava i soldi per la pensione di Zorro, il mio pastore belga».
A spasso voi due soli.
«Ci piaceva andare a mangiare il cocomero a Tor di Quinto o il gelato allo Zodiaco, la pizza in un posto proprio dietro al Pantheon».
Animo tormentato?
«Chi, Rino? No, era splendido, rideva e scherzava, metteva pace tra le coppie. L’unico suo dolore era per la salute di papà. Ci avevano detto che sarebbe durato poco, che poteva morire da un momento all’altro e lui ci soffriva».
Gianna non la sopportava tanto.
«No, solo gli sembrava troppo simile a Berta filava».
Era dedicata a lei.
«Infatti si doveva chiamare Anna, ma suonava male. Gli dissi: “Hai scritto una canzone per zia Maria, una per zia Rosina – la sorella di papà, che ha 99 anni e vive in Australia –, ora tocca a me”».
Per la prima volta a Sanremo cantò la parola «sesso».
«Ha sfatato questo tabù».
Altre volte fu censurato.
«La parola “cogl...ne” non gliela fecero passare in tv. Ma dal vivo ce la metteva».
Renato Zero.
«Erano tanto amici, davvero. Andavano sempre insieme allo stadio Olimpico a vedere le partite della Roma, pure con Little Tony. Perché Rino era romanista fracico. Qualcuno dice che era laziale, però non è vero».
La tuba nera messa a Sanremo gliela regalò Renato.
«Sì, dietro le quinte».
E l’ukulele?
«Ma che ne so io, credo lo avesse comprato in un negozio di strumenti».
Mia Martini.
«L’ha tanto difesa quando parlavano male di lei, dicendo che portava sfortuna. A Rino certi discorsi davano fastidio, si arrabbiava molto, con qualcuno ha pure litigato per difendere Mia. Da buon calabrese era bello incazzoso».
Piaceva alle donne?
«Eccome. Era bello e qualche soldo lo maneggiava. Donne ne aveva tante. A Sanremo ci andò a 27 anni e tre mesi, fino ai 30 si è dato da fare, che pensa? Avevo le chiavi della villa, dopo qualche giorno andavo di nascosto a mettere a posto».
Doveva sposarsi.
«Si sarebbe sposato l’anno dopo, ma la casa non era ancora pronta, i termosifoni erano scrostati per l’umidità».
L’incidente.
«Quella mattina mamma mi telefonò alle 5. “Corri che Rino ha avuto un incidente con la macchina. Non è niente di grave, si è rotto la gamba e il braccio”. “Menomale”, pensai. “Quelli si mettono a posto”. Poi però mi spiegò che i poliziotti erano andati a casa ad avvisarla e quello mi sembrò un brutto segno».
Lo era, purtroppo.
«Corsi al Policlinico. arrivai alle 6 meno un quarto. C’era già Gigione, il suo amico stracciarolo. “Anna, Rino è grave. Se gli serve il sangue glielo dono io”. Alle 6 mio fratello non c’era più. Quando ho dovuto fare il riconoscimento sono caduta per terra».
Accorse in ospedale anche Lucio Dalla.
Cosa le manca di Rino?
«Tutto».
Una sua frase che le è rimasta nel cuore.
«C’era una parola d’ordine segreta che usavamo da bambini quando facevamo qualche marachella, come rubare i cedri dall’albero del vicino, che tanto era il mio compare di cresima. Ma se ci avessero scoperto mamma e papà erano guai. Non gliela voglio svelare, me la tengo per me».
Chi era Rino Gaetano?
«Era l’essere umano più umano che esiste. Sa, io me lo sogno spesso. Nel 2013, quando mi sono operata la seconda volta per un cancro, mi ha detto: “Anna, non avere paura, stai tranquilla”».
Se lo immagina oggi, se fosse qui? Avrebbe 74 anni.
«Certo che me lo immagino. Sempre snello, alto, sveglio, sempre lui, Rino».