La Stampa, 12 aprile 2025
"Nel 2025 crescita dimezzata anche senza guerra dei dazi"
«Anche senza guerra dei dazi la nostra crescita si sarebbe dimezzata», spiega l’economista Carlo Cottarelli. Ovviamente andasse male la disputa con gli Usa quest’anno andremmo ben sotto lo 0,6% previsto dal governo. Nel 2026 rischiamo di finire in recessione? «Impossibile prevederlo», risponde il direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani, che mette in guardia dalla possibilità di aumentare la spesa pubblica per sostenere l’economia. «Non solo le attuali regole europee non lo consentono, ma poi i mercati come potrebbero reagire?».
Il nuovo Def ufficializza quello che tutti i centri di previsione avevano già anticipato, ovvero che quest’anno la crescita si dimezza allo 0,6%. Professore, che scenario si apre per l’Italia?
«Anche senza Trump, anche senza questa guerra dei dazi, che vedremo poi come andrà a finire, la nostra crescita sarebbe stata ugualmente dello 0,6%. Il calcolo è semplice. Nell’ultima parte del 2024 siamo cresciuti dello 0,1 cumulato in due trimestri, quindi quasi niente. Se ora ipotizziamo comunque un po’ di accelerazione e che si cresca dello 0,2 ogni trimestre per tutto il 2025 otteniamo in media annua dello 0,6/0,7%, dato che comunque comporta un miglioramento rispetto alla seconda parte del 2024. Se poi invece in conseguenza della guerra dei dazi c’è un peggioramento, allora scenderemo anche sotto».
L’anno prossimo finiremo in recessione?
«Rispetto al 2026 la situazione è così incerta che bisogna essere contenti di riuscire a fare previsioni per il 2025. Perché più si va avanti e più la forchetta, per effetto della guerra dei dazi, rischia di allargarsi».
Ma noi ne risentiremmo anche se lo scontro fosse limitato alla sola Cina?
«Si, certo. Ci sono due aspetti da tenere presente: uno è relativo al fatto che l’economia cinese è la seconda più grande del mondo in termini di dimensioni e di volumi di produzione. Importano anche prodotti italiani e quindi c’è un effetto a catena su tutto che arriva a coinvolgere anche noi».
E il secondo aspetto?
«Questa situazione di incertezza a livello mondiale fa sì che, se anche la guerra fosse limitata solamente a Stati Uniti e Cina, ci sarebbe un effetto di rallentamento sull’economia mondiale. Oltre a questo teniamo conto che i dazi sull’Italia e sull’Europa in generale sono rimasti al 10%. Al momento non sono state applicate le tariffe reciproche che li porterebbero al 20% ma quelli al 10% restano, in più ci sono quelli su acciaio e alluminio....siamo al dazio minimo universale».
Quindi occorre adottare comunque misure a sostegno dell’economia?
«Prima di tutto c’è lo strumento della politica monetaria, che è condizionato dall’andamento dell’inflazione. Se c’è un rallentamento questo contribuisce a far scendere i prezzi e questo può dare spazio alla Banca centrale europea per intervenire e ridurre i tassi».
E aiuti statali?
«Anche se si va in recessione le regole europee, in teoria, non consentono di prendere misure espansive per controbilanciare un crollo del Pil».
Forse è per questo che il nostro governo chiede di sospendere il patto di stabilità.
«Il problema è che questa parte del patto di stabilità è stato disegnata male. Noi come Osservatorio dei conti pubblici avevamo proposto che in condizioni normali si dovesse ridurre il debito più di quello che è previsto adesso, mentre in caso di recessione dovevano essere ammesse misure espansive sino ad un certo livello. Detto che una recessione non è la fine del mondo, al momento però non si possono adottare misure espansive: si possono solamente riallocare risorse già messe a bilancio, che è quello che sta facendo il governo. E comunque teniamo sempre presente che poi c’è sempre la reazione dei mercati da considerare: come reagirebbero i mercati finanziari se noi facessimo un grosso aumento della spesa e del debito pubblico?».
Eggià, come potrebbero reagire?
«Purtroppo un progetto del genere è vincolato anche a questo aspetto».
Però fino a ieri l’andamento dei conti era positivo al punto che potevano uscire dalla procedura d’infrazione con un anno di anticipo.
«Stavamo andando bene, perché le entrate andavano meglio nel previsto e perché il governo ha deciso di non spendere queste maggiori entrate».
Corretta quindi la scelta ora di procedere con cautela?
«Si. Credo che il governo abbia fatto bene a risparmiare le maggiori entrate che derivavamo non si sa bene da cosa».
Il governo l’ha sempre spiegato con l’aumento degli occupati...
«Ma questo non ha senso, valeva per l’anno passato. Oggi quello che conta è il Pil: se l’occupazione aumenta ma il prodotto interno aumenta poco e certamente meno del previsto, continuare a tirar fuori il tema lavoro ha poco senso. A meno che non si tratti di un effetto temporaneo legato all’aumento dei salari che però vale per il primo anno, perché poi questi aumenti i incidono inevitabilmente sui profitti delle imprese riducendo a distanza di tempo questa parte del gettito».
Però gli occupati sono aumentati per davvero...
«Si, ma si tratta di posti di lavoro di bassa qualità, perché la produzione è aumentata meno per cui la produttività è scesa. E questi posti di lavoro sono stati falcidiati dal taglio dei salari reali dovuto all’inflazione del 2020-2022 che siamo ancora lontani dall’avere recuperato come dimostra il settore del pubblico impiego».