Tuttolibri, 12 aprile 2025
Nella testa di Einstein (ovvero come nasce il genio)
Albert Einstein è una delle menti più geniali degli ultimi due secoli. Uno che ha saputo immaginare teorie sul funzionamento dell’universo che sarebbero state provate scientificamente – e trovate corrette – decine e decine di anni dopo averle formulate.
La domanda che in molti si sono posti di fronte alla sua grandezza è: come nasce un genio?
Be’, come abbiamo già detto, il primo ingrediente è sicuramente la determinazione, unita alla libertà di pensiero e a una certa allergia alle regole.
Al secondo posto invece c’è qualcosa che potrebbe anche apparire inatteso e sorprendente: una smisurata passione per il gioco.
Avete capito bene! Albert Einstein adorava giocare! In tutte quelle cose che da molti adulti sono considerate una perdita di tempo – come la noia, il camminare senza meta, la musica, il parlare con gli amici, il guardare per ore fuori dalla finestra – Einstein trovava abbondante nutrimento per la sua creatività, le sue idee e le sue scoperte.
Da bambino Albert trascorre pomeriggi interi a costruire giocattoli di legno e a realizzare le forme più strane con i mattoncini. In particolare, adora una macchina a vapore che gli ha regalato lo zio e che corre per la sua cameretta. È anche molto affascinato dal modellino di Sistema solare che ha a casa e che osserva sognante, facendo ruotare i pianeti attorno al Sole e i satelliti attorno ai pianeti, rimanendo incantato davanti alla bellezza del cosmo.
Ama realizzare castelli di carte, alcuni alti fino a quattordici piani e capaci di occupare più stanze. Nel suo studio, poi, per tutta la vita si è intrattenuto buttando a terra i fiammiferi e usandoli per costruire varie figure, inventando rompicapi e sfidando gli amici a risolverli. Con una scatola di fiammiferi e un po’ di spago riusciva a costruire le cose più incredibili, come il modellino di una funivia perfettamente funzionante da regalare al figlio Hans Albert. Tra i suoi giocattoli preferiti, conservati in un museo di Princeton a lui dedicato, c’è una di quelle scatole di legno che devi muovere facendo sì che una pallina di metallo compia un determinato percorso e arrivi al traguardo, un po’ come quei labirinti che oggi si trovano sui tappi delle bolle di sapone.
Un gioco che né da bambino né da adulto Einstein ha mai amato è invece quello della guerra: odia i soldatini. Una volta, da piccolo, per le strade di Monaco, vede una parata militare con tanto di pifferi e tamburi. I suoi coetanei entusiasti saltano e applaudono, sperando di indossare un giorno quelle divise, ma lui scoppia a piangere e dice ai genitori che da grande non vuole assolutamente diventare come uno di quei poveretti! Questo disgusto lo accompagnerà anche negli anni a venire, quando diventerà un pacifista e si esprimerà più volte contro tutte le guerre.
Il fatto di essere giocherelloni potrebbe avere molto a che fare con il diventare scienziati geniali, perché due tra le persone con cui Albert giocherà più volentieri da adulto, quasi anziano, sono proprio dei colleghi: il suo caro amico nonché premio Nobel per la fisica, il danese Niels Bohr, e il fisico olandese Paul Ehrenfest, suo acerrimo avversario a scacchi.
A questo punto, vi chiederete giustamente: ma gioco e scienza sono davvero legati? Non può essere solo una coincidenza che ad Einstein e ai suoi amici piacesse giocare?
Se ci pensate, però, uno scienziato prima di tutto deve essere libero dai pregiudizi, deve saper guardare il mondo come se fosse la prima volta che lo vede, e deve essere pronto ad accettare di essersi sbagliato e cambiare idea in ogni momento. Il gioco, senza dubbio, aiuta ad ampliare la mente e a cercare soluzioni creative ai problemi, e soprattutto ci allena alle sconfitte e a rimetterci in pista il prima possibile, pronti per nuove partite.
La vita di uno scienziato è fatta di tentativi, fallimenti, e nuovi tentativi: proprio come ogni svago che si rispetti. Quindi – anche se non vorrete fare gli scienziati – non perdete tempo: giocate più che potete!
Un’altra qualità che Einstein conserva per tutta la vita – sviluppata forse per compensare il suo problema con le parole – è la capacità di sognare a occhi aperti, di immaginare, cioè, realtà differenti per dare spazio alle sue teorie e ipotesi. In pratica, diremmo oggi, Albert si è sempre fatto un sacco di film.
Ma come funzionano queste sue immagini mentali? La scienza non si studia realizzando esperimenti pratici? Anche! Ma non solo. Einstein è stato prima di tutto un fisico teorico, cioè uno studioso capace di raffigurarsi il funzionamento dei fenomeni naturali soprattutto attraverso il pensiero, la deduzione e i calcoli, all’interno di veri e propri esperimenti mentali. Immagino che sia così, e poi cerco di dimostrarlo: questo era il suo metodo di lavoro. Ad esempio, la sua teoria più famosa, quella della relatività generale, di cui parleremo bene più avanti, gli viene in mente proprio grazie a una visualizzazione in cui immagina di essere in un ascensore in caduta libera. Uno dei suoi primissimi esperimenti mentali risale a quando, appena sedicenne, cerca di immaginare che effetto farebbe muoversi a cavallo di un raggio di luce. Negli anni a venire questi esperimenti di pensiero avranno poi come protagonisti imbianchini che cascano, treni in corsa, coleotteri ciechi, fratelli gemelli, astronauti e centinaia di altri soggetti e situazioni tutti creati dalla mente di Einstein per esplorare la sua amata fisica. Di solito si tende a non accostare arte e scienza, ma, se ci pensate, Albert è stato un vero e proprio artista del pensiero. Proprio come un pittore, con la sua fantasia ha dipinto bellissime immagini mentali, che lo hanno aiutato a capire il mondo fuori da sé e a coglierne i segreti più nascosti. Proprio per questa tendenza a rifugiarsi nella sua testa, Einstein ha sempre amato l’ozio e il riposo, e ha sempre apprezzato le file, le code, le attese: insomma, tutti i momenti che il più delle persone chiamerebbero “morti”, ma che lui avrebbe definito vivissimi, perché gli permettevano di dirigersi nelle stanze della sua immaginazione. Dava anche molta importanza al sonno: dormiva diverse ore ogni notte (rigorosamente nudo e senza pigiama!). E anche durante il giorno faceva dei micro-pisolini di pochi minuti: alcune riviste dicono che chiudesse gli occhi tenendo una matita o cucchiaino in mano, così quando cadevano si svegliava ed era terminata la mini-siesta.
Einstein conserverà sempre quel senso di meraviglia che gli viene dall’osservazione del mondo circostante e dei fenomeni naturali, tanto che a un caro amico, da anziano, scrive: «Persone come te e me non invecchiano mai: noi non smettiamo mai di essere come bambini curiosi davanti al grande mistero in cui siamo nati».
E a proposito di bambini: Einstein non solo resterà bambino per tutta la vita, ma rimarrà anche loro amico per tutta la vita! Da grande – ne parleremo – avrà diversi amici fra i più piccoli.
Dopo la vittoria del Nobel, i bambini di tutto il mondo gli inviano migliaia di lettere, a cui lui cerca di rispondere il più possibile. Non solo, quando si è trasferito negli Stati Uniti, durante una notte di Halloween ha lasciato a bocca aperta un gruppo di ragazzine mascherate che stavano facendo “dolcetto o scherzetto” comparendo sulla porta e suonando il suo violino.
Be’, di certo era un tipo con una gran zucca!