Corriere della Sera, 11 aprile 2025
Intervista a Yuri Tuci
Yuri Tuci ha 41 anni, vive a Prato coi genitori, è un autistico ad alto funzionamento e ha sempre avuto un sogno: recitare. E quel sogno si è avverato oltre l’immaginabile: da qualche giorno, è l’attore protagonista di un film sull’autismo che ha conquistato subito il pubblico e che apre il cuore, La vita da grandi. «L’ho scelto non perché è autistico, ma perché è un attore formidabile», ha detto la regista Greta Scarano, che l’ha voluto accanto a Matilda De Angelis dopo una lunga ricerca e l’ha trovato in un teatrino off, dove portava in scena un monologo sulla sua vita: Out is me. Ora, Yuri gongola: «I followers aumentano e mia madre è orgogliosa di me». Quel nome, Yuri, gli fu dato in onore dell’astronauta Jurij Gagarin e della frase che pronunciò osservando per la prima volta la Terra dallo spazio: «Da quassù, la Terra è bellissima».
Anche Yuri guarda un po’ il mondo dall’alto, riuscendo a vedere cose che magari ai più sfuggono e con un’autoironia fuori dall’ordinario. Tipo, in un post, racconta che per girare il film è ingrassato dieci chili, come Christian Bale per American Hustle; gli chiedo come ha fatto e lui: «I dieci chili in più li avevo già di mio, ma è un segreto».
Sta dicendo che se l’è inventato, per farsi pubblicità?
«Questi chili li ho da sempre: sono il bagaglio culturale che mi sono portato dietro per il ruolo».
Il suo senso dell’umorismo come nasce?
«Me l’ha portato l’autismo e, un po’, mi è venuto guardando comici sul computer».
Come è diventato «un attore formidabile»?
«Sinceramente, devo il mio successo recitazione alle elementari, ecco perché».
Vale a dire?
«Le maestre mi facevano fare prove di recitazione improvvisata, che mi è piaciuta subito. Da lì, ho scoperto di avere la recitazione nei geni. Alle medie, ho recitato in Mary Poppins e nel Giardino segreto, poi, non è successo niente fino al 2018, quando vado al Terminale Cinema di Prato, davano musica e io ballavo ininterrottamente da tre o quattro ore quando un ragazzo mi avvicina e mi chiede: ma di che ti fai? Che droga prendi? Gli ho risposto: non mi drogo, è solo adrenalina e autismo. Quel ragazzo si chiamava Lorenzo Clemente, la conoscenza si è intensificata e mi ha convinto a scrivere a sei mani, insieme a lui e Francesco Gori, Out is me. Lo abbiamo portato al Fringe Festival di Torino, in svariati altri luoghi e ha avuto successo. Poi, Greta l’ha visto e mi ha scelto per il suo film».
Quando ha avuto le prime avvisaglie dell’autismo?
«Al diciottesimo mese di vita, ma la consapevolezza è arrivata solo a 18 anni».
Cos’era successo a 18 mesi?
«Ho iniziato a esplodere in crisi incredibili di pianto, non andavo in braccio alle altre persone, mi prendevano tremolii, mi stizzivo, avevo paura di entrare nei negozi o nei luoghi sconosciuti».
E a 18 anni?
«Per la prima volta, qualcuno ha dato un nome ai miei disturbi e ho iniziato dei percorsi con gli educatori in un centro di salute mentale. Grazie a loro, ho imparato a essere autonomo, a socializzare meglio, a smuovermi e scoprire i miei pregi, mi sono quasi “normalizzato”».
Come sono stati quei 18 anni senza una diagnosi?
«Uno shock continuo. Sapevo solo di essere arrabbiato con tutti e non sapevo perché, pensavo che fosse colpa mia».
Nel suo spettacolo ripete più volte che l’autismo causa comportamenti ossessivi e ripetitivi. I suoi quali erano?
«Il primo è stato strizzarmi di continuo il naso sull’orsacchiotto, finché ho avuto un’emorragia e ne sono rimasto talmente scioccato che ho smesso di botto. Poi, picchiavo la testa contro il muro, i pugni contro il muro. Quello è stato uno dei periodi più brutti della mia vita. E da piccolo, prima ho avuto paura delle macchine – mi bastava guardare il logo della Toyota o della Fiat per spaventarmi – poi, al contrario, sono diventato un collezionista ossessivo di macchinine, mio padre era costretto a comprarmene centinaia».
Il periodo più brutto in assoluto?
«Sono stato manesco per tanto tempo prima di avere consapevolezza e diagnosi. Me ne vergogno tantissimo, ma non era colpa mia: l’autismo era ai massimi e, non sapendolo, non prendevo psicofarmaci. Ho provato a uccidermi anche. Con spumante e pillole. Ma non era un vero tentativo di suicidio, quanto una richiesta di aiuto. Per fortuna, non sono morto, se no, come avrei fatto a fare tutte le cose belle che ho fatto nella vita?».
Nel film, il suo personaggio, aiutato dalla sorella, fa una sorta di corso per imparare a diventare grande. Impara a lavarsi, andare in giro da solo… Com’è stato il suo percorso verso l’autonomia?
«Ho dovuto imparare a socializzare, a spostarmi e muovermi per conto mio nelle varie zone della mia città, a vivere meglio questa parte di me».
La cosa più difficile da imparare?
«Superare la timidezza. Ci ho impiegato diversi anni ed è sparita del tutto col teatro: con la timidezza, se prendi il via, poi, non ti fermi più».
Uno dei temi del film è il rapporto con la sorella che si è sentita trascurata perché tutte le attenzioni erano per il fratello autistico e che, poi, si ritrova a doversi prendere cura di lui. Lei ha fratelli o sorelle?
«Sono figlio unico. Ma sono entrato facilmente nei panni di Omar, perché abbiamo altri tratti in comune: mi ha colpito la sua ironia e il suo avere un obiettivo chiaro nella vita: cantare ed essere preso in un talent. E, come lui, sono stato bullizzato».
Quando è stato bullizzato?
«Due volte, una alle medie: una professoressa mi ha appiccicato al muro perché ero iperattivo. Non lo potrò dimenticare mai, è stato da andare fuori di testa. Poi, alle superiori, un bullo ha cercato di uccidermi, ma mi sono vendicato in un modo che se lo ricorderà per sempre».
Lo dice con soddisfazione… Che era successo?
«Ha cercato di strangolarmi con un cavetto elettrico, ma gli ho dato un morso che gli ho quasi staccato il pollice. Avrei potuto anche ricambiare lo strangolamento, ma era alto uno e 90, che fai? Mi è bastato mordergli la mano, se lo ricorderà per sempre: non c’è cosa peggiore di un buono che diventa cattivo».
Lei si è spaventato?
«No, avevo un’adrenalina in corpo e una tale rabbia repressa che non può neanche immaginare».
I genitori del film sono iperprotettivi verso il figlio, lo proteggono da tutto. I suoi genitori come sono stati?
«Mia madre è stata bravissima. Alla prima difficoltà è andata subito da una neuropsichiatra infantile che ci ha salvato la vita, ci ha accolti e ci ha insegnato a convivere col problema. Adesso, ripago mia madre e mio padre con tante soddisfazioni. Sono venuti all’anteprima del film, si sono emozionati totalmente».
L’altro problema che affligge i genitori di persone con disturbo dello spettro autistico cosa succederà quando loro non ci saranno più. Nel film, la predestinata a occuparsi del dopo è la sorella. E per lei?
«Mi troverò in casa da solo, dovrò imparare più cose, ma ne ho già imparate tante, una in più uno meno cosa cambia? È una crescita in più da aggiungere. Poi, ci sono persone che maturano prima chi dopo: il mondo è bello perché è vario. Certo, vorrei tanto la convivenza con una compagna: sarei sistemato per il resto dei miei giorni. Mi manca solo questo, per il resto, ho tutto. Ho avuto una fidanzata per sei anni, ma per via della gelosia ossessiva che aveva nei miei confronti, di comune accordo, ci siamo lasciati. Non avere una compagna mi pesa, tutti gli esseri umani vogliono qualcuno con cui convivere. Sai che palle stare da soli…».
«Ad alto funzionamento», nel suo caso che cosa significa?
«Prima di tutto che, quando mi capitano avventure positive, l’adrenalina mi dà mille battiti al secondo. Poi, che ho il privilegio di trovare sempre gente nuova con cui legare. Alcuni autistici non amano la compagnia, io sì. Di questi tempi, se non siamo sociali è controproducente: la solitudine è il luogo dove nascono i deliri per piombare in pazzia e depressione».
Che consiglio darebbe ai genitori di figli autistici?
«Di non vergognarsi e di aiutarli a tirare fuori i loro talenti. Magari i loro figli, se notati dalle persone giuste, possono realizzare il loro sogno nascosto. Gli voglio dire di non smettere di sognare con loro».
Lei sognava di diventare attore e, da attore, è stato ricevuto anche dal presidente Sergio Mattarella.
«Quando me l’hanno detto, ho balbettato perché non ci credevo. Pensi che avevo pensato: ci manca solo che mi chiami Mattarella per conoscermi! E mi ha chiamato! Devo avere un potere sensoriale per prevedere le cose. Sarà l’autismo. Sarà Nostradamus».
Che cosa vi siete detti?
«L’ho ringraziato per avermi invitato e mi sono scusato per l’emozione. Mi ha detto: non mi sento così importante da meritare questa emozione. Dal vivo, ha un’umiltà fuori dal comune, è pacato, educato. Mi chiedo come faccia a restare così pacato stando a contatto con tutta la banda di assassini e ladri che fa politica».
Cosa vuole fare da grande?
«Altro teatro, altro cinema, finché ne ho le forze: non mi aspettavo questa caterva di impegni dopo il film. Ma ormai, mi sento come Indiana Jones che può affrontare ogni situazione, l’ho dimostrano questi giorni di ospitate, interviste, prime cinematografiche, conferenze stampa. Mi sono soprannominato “mastino”: mangio tutti come se fossero Zigulì alla fragola, le mie caramelle preferite. Poi, diceva Confucio: fai ciò che ti piace e non dovrai lavorare per tutta la vita».