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 2025  aprile 11 Venerdì calendario

Non solo dazi, perché Trump può usare le carte di credito per far pressione sull’Europa

Donald Trump ha messo in pausa i dazi reciproci, annunciando una sospensione di 90 giorni e abbassando per questo periodo la tariffa al 10%. Ha così offerto una tregua nella guerra commerciale, che però non include la Cina, punita con un ulteriore rialzo al 125%. “Faremo accordi equi con tutti i Paesi, anche con l’Ue”, ha sottolineato il presidente Usa. La decisione ha fatto rimbalzare Wall Street e tutti i mercati azionari con una forza che non si vedeva da anni.
Un’apertura che permetterebbe di intavolare un negoziato, dopo che a Bruxelles era stato approvato un piano di tariffe sui prodotti Usa per un valore da 21 miliardi di euro: un pacchetto di contromisure in tre fasi, che sarebbe dovuto scattare a partire dal 15 aprile, ma che ora potrebbe essere sospeso per il momento, a condizione appunto che ci sia reciprocità. Nonostante il dietrofront, rimangono le tensioni tra le due sponde dell’Atlantico, e non si escludono gli scenari peggiori. Tra questi, uno riguarda le armi in ambito finanziario che potrebbero essere utilizzate da Trump: in particolare, il presidente Usa potrebbe esercitare nuove pressioni sull’Europa facendo leva sui sistemi di pagamento internazionali, che in molti Paesi del Vecchio Continente sono dominati da operatori extra-Ue.
La dipendenza europea dai circuiti internazionali
"Le principali piattaforme di pagamento sono tutte controllate da aziende al di fuori dell’Europa. È fondamentale garantire che esista un’alternativa europea”, aveva sottolineato giorni fa la presidente della Bce, Christine Lagarde. Mentre Piero Cipollone, membro del Comitato esecutivo della Bce, aveva ricordato che nella seconda metà del 2023, oltre due terzi delle transazioni con carta in area euro sono stati gestiti attraverso circuiti internazionali, e che 13 Paesi su 20 nell’eurozona non hanno un sistema di pagamento nazionale. Come ha sottolineato in un position paper Ecommerce Europe, che rappresenta gli esercenti che vendono beni e servizi online ai consumatori in Europa, MasterCard e Visa sono tra i sistemi dominanti, con minime differenze in costi e regole di funzionamento tra loro.
Il Worldpay Report 2024 permette di avere un quadro della situazione sul continente. I circuiti dei due colossi Usa insieme rappresentano la maggioranza delle card emesse in diversi Stati membri, raggiungendo quote di mercato del 100% in Finlandia, Irlanda, Olanda, Polonia, e ancora del 99% in Svezia e del 98% in Spagna. In Italia, invece, la quota combinata di Visa e MasterCard arriva al 62%, dividendo il mercato con l’operatore nazionale Bancomat (37%). Le percentuali di Visa e MasterCard sono più basse in Germania, 12% e 10%, dove al primo posto si posiziona Girocard (76%). Mentre in Francia e Belgio sono dominanti i circuiti nazionali, rispettivamente Cartes Bancaires e Bancontact.
"I dati dimostrano che i circuiti di carte domestici stanno perdendo quote di mercato in tutta Europa mentre quelli internazionali applicano commissioni elevate alle banche e ai commercianti europei”, ha spiegato Cipollone. A pesare anche la frammentazione che caratterizza il mercato dei pagamenti del continente: “I prestatori di servizi di pagamento europei spesso non possono operare su una scala sufficiente a offrire i propri servizi in tutta l’Ue. Questa situazione fa il gioco dei fornitori non europei che possono offrire i loro servizi a livello europeo, e anche su scala internazionale”.
A questo scenario si aggiunge poi un altro dato, illustrato dal membro del board Bce: “Sempre più persone stanno usando wallet digitali come PayPal o Apple Pay sui loro smartphone. Si prevede che entro il 2027 queste piattaforme arriveranno a gestire il 27% dei pagamenti in negozio e il 40% di quelli effettuati sugli e-commerce in Europa”. In generale, i pagamenti al dettaglio sono sempre più digitali: i consumatori acquistano online o scelgono soluzioni alternative al cash nei negozi. Anche in Italia cresciamo sempre più in termini di transazioni con strumenti elettronici: come mostrano i dati dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, per la prima volta nella Penisola i pagamenti digitali hanno superato il contante in termini di valore transato, con 481 miliardi di euro (+8,5% rispetto all’anno precedente) registrati nel 2024, pari al 43% dei consumi.
"L’Europa ha sempre faticato a trovare una propria soluzione. Per anni si è provato a discutere di un sistema di circuito europeo, ma le difficoltà implementative e operative hanno spinto la Banca centrale europea a optare per un’altra soluzione, andando nella direzione dello sviluppo dell’euro digitale, di una moneta nativamente digitale – spiega a Repubblica Valeria Portale, direttrice dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano – L’Euro digitale è stato annunciato nel 2020, ora siamo in una fase di analisi che dovrebbe terminare nel novembre di quest’anno. E dal 2026 dovremmo capire quanto e come la Bce deciderà di promuovere questo strumento. Una soluzione che ha una duplice valenza – chiarisce – Da un lato, rafforzare l’indipendenza europea sul piano finanziario; dall’altro, creare uno strumento più innovativo”.
Recentemente, il capo economista della Bce Philip Lane ha spiegato l’importanza di puntare su questa soluzione alternativa, sottolineando che “la dipendenza dell’Europa dagli operatori di pagamento stranieri ha raggiunto livelli impressionanti. Questa dipendenza espone l’Europa a rischi di pressioni economiche e di coercizione, e ha implicazioni per la nostra autonomia strategica, limitando la nostra capacità di controllare aspetti critici della nostra infrastruttura finanziaria”. In particolare, l’euro digitale dovrebbe permettere alle persone di effettuare pagamenti diretti senza aver bisogno di carte: un wallet digitale, ad esempio un’app sul telefono, permetterebbe di trasferire i fondi senza passare attraverso Visa e MasterCard.
Oltre alle carte, ci sono poi tutti quei pagamenti che avvengono attraverso SCT (SEPA Credit Transfer), vale a dire i bonifici che si basano sul sistema Swift, un’organizzazione internazionale che ha sede in Belgio ma che ha una governance globale, con partecipazioni di banche in tutto il mondo, ci spiega Portale. Un sistema soggetto a pressioni geopolitiche e sanzioni internazionali: ad esempio, nel 2022, alcune banche russe sono state escluse da Swift in risposta all’aggressione militare russa in Ucraina.
Le commissioni dei circuiti internazionali
Nel modello a quattro parti dei sistemi di pagamento, ci sono quattro attori principali. “Il consumatore, che usa la carta per effettuare acquisti; l’issuer (emittente), ad esempio una banca che fornisce la carta ai clienti; l’esercente, che accetta le carte per effettuare le vendite; e l’acquirer, una banca che permette agli esercenti di accettare pagamenti con carta per beni e servizi, e che fornisce il pos. Nel mezzo c’è il circuito internazionale, che definisce gli standard e le regole, e che permette la transazione tra operatori diversi”, spiega Portale.
La prima commissione sulla transazione da considerare è la merchant fee, a carico dell’esercente e che serve a remunerare l’acquirer. Il valore di questa commissione varia a seconda di diversi fattori: può dipendere dalla carta utilizzata nel pagamento (di credito, di debito o prepagata), dai circuiti utilizzati (che possono avere costi diversi), e dalla modalità di acquisto (online o offline). “In media comunque in Italia siamo su circa l’1% del valore della transazione – dice l’esperta – in genere ha un valore percentuale o misto (commissione fissa più parte percentuale), ma non sono mancati i casi di commissioni fisse poco convenienti per l’esercente. Poi bisogna considerare anche un’altra variabile, vale a dire la dimensione del merchant: se ha un grande volume di transazioni, potrebbe riuscire a negoziare una percentuale più bassa con il suo acquirer”.
Un’altra commissione è la interchange fee, regolata dall’IFR (Interchange Fee Regulation), che serve a remunerare un altro attore che consente la transazione, cioè l’issuer: l’acquirer infatti dovrà girare all’emittente una percentuale dell’importo della transazione, circa lo 0,2%, più un piccolo valore fisso. Anche in questo caso, però, bisogna considerare le diverse variabili in gioco, che possono influire sulle commissioni d’interscambio, tra cui tipologia di carta e di transazione, e il circuito utilizzato.
A quel punto, c’è poi da considerare la quota che le due banche devono pagare al circuito, che ha permesso il servizio di pagamento, che può dipendere da diversi fattori. “Sia issuer che acquirer devono remunerare il circuito con una quota che non viene calcolata per ogni singola transazione ma per lotti di transazioni: in altre parole, gli operatori dei circuiti andranno a negoziare con i vari issuer e acquirer”. Per dare un ordine di grandezza, in Italia le società emittenti sono tante quanto le banche; gli acquirer invece sono molti meno: “Una differenza legata alla maggiore complessità della filiera: ad esempio, la banca deve fornire il pos all’esercente, e quindi avere un fornitore, e intervenire in caso di eventuali problemi tecnici – spiega la direttrice dell’Osservatorio – L’introduzione dell’euro digitale potrebbe permettere di fare a meno di questo attore intermedio, riducendo i costi; comunque l’obiettivo principale di questa soluzione resta quello di accrescere l’indipendenza dell’Unione dai circuiti di pagamento di operatori extra Ue”.
Un passaggio che però potrebbe richiedere molto tempo. “Ora siamo dipendenti dai circuiti, e lo saremo per un bel po’ – continua Portale – Anche quando sarà finita questa fase nel 2025, non avremo la tecnologia pronta nel 2026, bisognerà aggiornare i sistemi di pagamento, serviranno anni per arrivare ad avere un euro digitale pervasivo”.
Le stablecoin
In questo contesto, bisogna poi ricordare che in un ordine esecutivo del 23 gennaio scorso Trump ha vietato l’uso dell’euro digitale negli Usa. Inoltre, come ha ricordato Cipollone, “le recenti misure adottate dalla nuova amministrazione statunitense per promuovere le criptoattività e le stablecoin basate sul dollaro destano timori per la stabilità finanziaria e l’autonomia strategica dell’Europa. Potrebbero infatti determinare non solo altre perdite di commissioni e dati, ma anche il trasferimento di depositi in euro verso gli Stati Uniti e l’ulteriore rafforzamento del ruolo del dollaro nei pagamenti transfrontalieri”.
Le stablecoin sono un tipo di criptovaluta il cui valore è ancorato a un altro asset, come una valuta fiat. Sono digital asset stabilizzati, che si distinguono dalle tradizionali criptomonete, caratterizzate da alta volatilità e non considerate strumento di pagamento per la mancanza della componente di riserva di valore. Esempi sono la stablecoin di Tether USDT e la USDC emessa da Circle: sono quelle che hanno la capitalizzazione più alta. “Con il Micar (Markets in Crypto-Assets Regulation), l’Ue ha definito la normativa che regola questi asset, ponendo diverse limitazioni, ma ha reso poco remunerativo fare una stablecoin in Europa – conclude Portale – In ogni caso, anche questo strumento potrebbe richiedere anni, il mercato deve prepararsi al nuovo ecosistema, ci sarà bisogno di una lunga fase di implementazione”.