la Repubblica, 11 aprile 2025
Veneto, lite a destra sul dopo Zaia. FdI cede se ottiene la Lombardia
Bocciato il terzo mandato, che poi per Luca Zaia sarebbe stato il quarto, la partita del Veneto – unica regione al voto quest’anno, a meno che non si slitti al 2026, con il centrodestra sicuro di (ri)passare all’incasso – continua ad agitare la maggioranza. La Lega non ha alcuna intenzione di cedere la guida della Regione, Fratelli d’Italia da tempo fa notare i numeri: sia alle scorse Politiche che alle Europee a livello regionale la fiamma ha stracciato il Carroccio.
Come andrà a finire? Probabile che Giorgia Meloni ceda adesso, chiedendo in cambio poi Friuli Venezia Giulia e/o Lombardia, quando sia Massimiliano Fedriga che Attilio Fontana, entrambi leghisti, termineranno i loro secondo mandati. Non che la questione così sarebbe risolta, perché al congresso leghista a Firenze Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato e segretario della Lega Lombarda, era stato netto: tutte le regioni a guida Lega dovranno restare tali. «Penso che sia interesse della coalizione di centrodestra che una forza come la Lega, che ha esperienza di buon governo da tanti anni, voglia riconoscersi ancora nella guida di quelle Regioni», ha ribadito ieri da Milano.
Ora, già domani in provincia di Vicenza alla “Spring school” organizzata dal centrista Antonio De Poli si ritroveranno seduti attorno ad un tavolo i dominus della coalizione in Veneto: Luca De Carlo (FdI), Alberto Stefani (Lega), Piergiorgio Cortellazzo (Fi) e lo stesso De Poli. Tema: “centrodestra a confronto”. «Cambia il bomber ma squadra che vince non si cambia...», spiega De Carlo, già più cauto rispetto al passato quando FdI sembrava voler premere sull’acceleratore. Solo che la Liga veneta rispose subito per le rime agli alleati: se non ci date il governatore, andiamo per la nostra strada. Considerato che nel 2020 la lista Zaia da sola fece il 45 per cento, e un altro 17 la Lega, una minaccia che ha fatto raffreddare le mire dei meloniani. Stefani, l’assessora Elena De Berti o il sindaco di Treviso Mario Conte sono i nomi caldi lighisti. «È legittimo che la Lega chieda la presidenza. Io comunque ho il cuore in pace», commenta Zaia.
Ma neanche uno scambio sarà così semplice. Fedriga ad esempio ha già detto che vorrebbe correre per il suo terzo mandato e che «la Corte costituzionale sancisce che le Regioni a statuto ordinario devono stare dentro i principi della norma nazionale, quindi il limite dei due mandati esclude le Regioni a statuto speciale, quindi anche il Friuli». Probabile che il Consiglio friulano decida quindi di varare una norma ad hoc per sbloccare una nuova corsa di Fedriga nel 2028. In politica altri tre anni sono un’era geologica, gli equilibri possono cambiare e quindi prima Milano (2026) e poi la Lombardia (2028) diventano temi sui quali si può cominciare a ragionare. «È abbastanza sciocco che presidenti apprezzati non possano essere riconfermati anche oltre i due mandati», è l’opinione di Attilio Fontana. Si sapeva già che l’avvocato di Varese non si sarebbe ricandidato, a prescindere dal parere della Consulta. Ma anche qui, la Lega e Matteo Salvini possono permettersi di perdere la guida di un territorio che amministrano dal 2013? «Ovvio, spero che la Lombardia resti alla Lega», dice ancora Fontana.
Le ambizioni del Carroccio sono molte, e dichiarate in chiaro pochi giorni fa proprio al congresso: tornare ad essere la prima forza della coalizione. Non è l’unico attore della coalizione autorizzato a sognare, però. Forza Italia punta al 20 per cento e specie al nord – in Veneto con un ex di lusso, Flavio Tosi – fa campagna di reclutamento sui temi cari alla Lega, cioè autonomia e tutele del mondo produttivo, oggi minacciato dai dazi di Donald Trump, di cui Salvini è supporter. Mentre FdI oggi al Pirellone conta 22 consiglieri, contro i 15 della Lega: di fatto Fontana è già ampiamente condizionato e, anche per questo, i lombardi della fiamma vogliono terminare l’opera di conquista. Così il tavolo di coalizione prima o poi dovrà aprirsi davvero, finora ha riguardato solo i Comuni. In ballo, a stretto giro, ci sono Campania, Puglia, Marche, Toscana, oltre come detto al Veneto dove però non sono state ancora fissate le elezioni. Tranne l’ultima, tutte regioni dove il centrodestra non è affatto favorito. Grandi appetiti contrapposti e il rischio di finire tutti a bocca asciutta