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 2025  aprile 11 Venerdì calendario

Il lato oscuro delle liste d’attesa

Il caso da film horror è quello della Asl di Trapani, dove un migliaio di esami istologici attendono da mesi di essere refertati. Come è accaduto a Maria Cristina Gallo, che dopo otto mesi di attesa ha visto il suo tumore degenerare in metastasi. Casi limite, si dirà. Mica tanto, vien da pensare quando si scopre che proprio in Sicilia i Nas hanno scoperto l’esistenza di quello che definiscono “SovraCup” regionale, che non raccoglie le richieste dei Cup dalle singole aziende sanitarie ma che in pratica serve a immettere in una corsia preferenziale gli amici degli amici.
Ma gli esempi di mala gestione delle liste di attesa si trovano a Sud come al Nord: sfogliando quel libro degli “orrori e degli errori” che sono le inadempienze regionali nell’applicare il decreto taglia liste di attesa della scorsa estate, l’Agenas segnala irregolarità nel 27% delle 2.836 strutture ispezionate dai Nas. Irregolarità che vanno dalle prenotazioni più rapide per i pazienti che prima si sono fatti visitare privatamene da medici pubblici alle agende illegalmente chiuse, accertate in 184 strutture ispezionate da Nord a Sud. Ma le zone grigie dove inefficienza e illegalità si sovrappongono sono molte. In Lombardia, quattro medici di famiglia sono stati denunciati per aver “moltiplicato” le prescrizioni per lo stesso esame, permettendo ai loro assistiti di «prenotare più appuntamenti» e scegliere il più conveniente.
In Toscana, dieci oculisti sono finiti sotto inchiesta per «saturazione dolosa delle liste d’attesa con fittizie prenotazioni». A Milano, un’inchiesta è stata avviata su presunti «abusi nella gestione delle liste d’attesa» in un’azienda sanitaria locale, dove pazienti già visitati in libera professione sarebbero stati «illecitamente agevolati nella calendarizzazione di prestazioni sanitarie erogate dal Ssn».
Il doppio lavoro dei medici sfocia nel conflitto di interesse perché fatta la legge in molte strutture si è trovato l’imbroglio. I dottori non possono infatti erogare più prestazioni nel privato che nel pubblico, ma in diversi ospedali si è scoperto che il calcolo non veniva fatto sulle ore del singolo medico bensì su quelle dell’intero reparto. Così il più gettonato primario che, ad esempio, di visite private ne fa 100 risulta in regola grazie alla media dei medici del suo reparto che magari ne fanno zero. E quanto questo possa influire sulla buona gestione dei servizi offerti è facile intuirlo quando si vede che oltre il 50% della spesa sostenuta privatamente dagli assistiti è una scelta obbligata dalle liste di attesa. Per abbattere le quali il decreto ha anche remunerato a 100 euro l’ora gli straordinari dei medici. Peccato che dai dati Agenas risulti che dove i soldi extra sono stati incassati si è spesso verificato un calo delle prestazioni erogate nel normale orario di lavoro. Insomma, al fine della riduzione dei tempi di attesa il risultato è stato nullo. Resta comunque il fatto che nonostante 40 mila professionisti sanitari assunti a vario titolo durante la pandemia la produttività, secondo i calcoli dell’Agenzia, risulta essere rimasta immutata.
Per ridurre i tempi c’è anche chi continua ad appoggiarsi ai “gettonisti” remunerati fino a 100 euro l’ora. Pratica che il ministro Schillaci aveva bandito ma che nel Lazio ha finito per sfociare anche nella denuncia di sei medici «sprovvisti di specializzazione», mentre un settimo è risultato persino privo di laurea. In Puglia alla ginecologia dell’ospedale di San Severo su 11 medici 8 erano gettonisti, di cui quattro ultrasettantenni, mentre al pronto soccorso di Lecce sono stati arruolati persino nonni medici di 80 e passa anni.
In Puglia, Emilia Romagna e a macchia di leopardo anche in altre aree del Paese è emerso un errato utilizzo delle classi di priorità inserite dai medici di famiglia nelle prescrizioni, segnando per urgente quello che non lo è e viceversa. Ma desta più di un sospetto quanto emerso in Campania, dove su 21.962 prime visite cardiologiche, che di solito non andrebbero rimandate troppo in là, a 19.288 è stato assegnato il codice P di “programmabile”, che dà tempo alla Asl fino a 120 giorni per erogare la prestazione. Stessa percentuale bulgara si riscontra per le mammografie. Un modo per risultare in regola quando non lo si è.
Di fronte a questo panorama desolante però le Regioni fanno melina non calendarizzando nella loro Conferenza il decreto che in caso di loro inadempienze farebbe scattare i poteri sostitutivi del ministero di Schillaci. Che a questo punto potrebbero essere imposti direttamente con un Dpcm del governo.