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 2025  aprile 10 Giovedì calendario

Springsteen mette dazi ai fan tra cd e biglietti (troppo) cari

Ci mancava il dazio del Boss. Molti tra gli irriducibili springsteeniani leggono come un tradimento il salasso per l’acquisto del cofanetto Tracks II, che uscirà il 27 giugno. Il prezzo ufficiale? 289 euro per la versione in 9 vinili e 269 per i 7 cd. Fate le divisioni e valutate se non sia lunare il costo dell’operazione di scavo nel materiale largamente inedito che copre un arco di tempo controverso, dal 1983 al 2018, per la creatività di Bruce: 83 brani, solo una decina già noti in altra veste. Una tentazione irresistibile per i filologi come per i fan identitari, gli uni e gli altri costretti a svenarsi per gettare un fascio di luce nei sotterranei dove erano rimasti custoditi per 35 anni gli impolverati tesori del rocker. Ben 7 Lost albums completi e missati, pronti per la pubblicazione. Ma rimasti nell’ombra sino a ora, più o meno. Perché i cacciatori di rarità conoscono, ad esempio, tutti i pezzi delle LA Garage Sessions 83, quando nella casa-studio Thrill Hill West Springsteen si sbizzarrì con una drum machine e poco altro, salvo registrare di nuovo alcune cose con il gruppo: era il periodo, fertile e cruciale, a cavallo tra la solitudine di Nebraska e la potenza di fuoco di Born in the USA. Poi, di anno in anno, il Nostro ha sperimentato, esplorando la sua personale visione di narrativa americana. Con le Street of Philadelphia Sessions; la colonna sonora del film mai realizzato Faithless; la coloritura country del repertorio di Somewhere North of Nashville; i bozzetti di frontiera nel progetto Inyo; l’epica western di Twilight Hours; infine un disco a tutta manetta rock (Perfect World) con l’inconfondibile mescola della E Street Band. Una messe rigogliosa, a perdita d’occhio: pur separando il grano dal loglio e tenendo in mente la certezza che di capolavori assoluti il Boss ne abbia sfornati pochi in questa seconda parte di carriera (l’ultimo The Rising dopo l’11 settembre) in Tracks II ci si sazia a volontà con il buon pane del New Jersey.
Sì, ma a che prezzo? I devoti mugugnano. L’alfiere della working class da miliardario ci svuota le tasche? Occhio: Springsteen ha ceduto nel 2021 i diritti sul catalogo alla Sony per 500 milioni di dollari, cifra molto più alta di quella ottenuta da Bob Dylan (300 milioni). Allora chi è che lucra con questo superbox deluxe? La major che deve rientrare da un investimento monstre o anche il musicista, che ha messo la faccia sull’iniziativa? Chi ha deciso per una speculazione che certo non giova all’immagine di un “eroe” liberal in cui la common people (non solo quella a stelle e strisce) insiste nel volersi testardamente, romanticamente riconoscere? In quanti cederanno comunque alla mozione degli affetti, senza ripiegare sull’economico bignamino da 2 LP o 1 CD, con dentro 20 canzoni? Agli studiosi la minicompilation non basta, e neppure agli integralisti che si sono sempre svenati dietro a bootleg con scarti di studio o incisioni precarie. “Springsteen è una fede”, dicono. E sia. Ma lui se ne sta comodo nell’occhio del ciclone di un business faraonico: lo stesso che attraverso l’algoritmo del “dynamic pricing” ha fatto lievitare oltre i 3-4.000 dollari i biglietti gold del suo tour Usa. Lecitamente, ricordano dalla piattaforma Ticketmaster: è la regola di quanto il pubblico è disposto a pagare. A metà maggio Bruce torna sul palco in Europa (suonerà per la prima volta pure a Liverpool, casa dei Beatles), mentre il recupero delle date di San Siro dal forfait 2024 sarà il 30 giugno e il 3 luglio. Con scalette che verosimilmente pescheranno dalle novità di Tracks II. Qualcuno ancora ipotizza l’uscita a breve di un nuovo album di veri inediti, Resurgence. Come sia, la “rinascita” di Springsteen non sarà sul piano della perfomance live o dell’inventiva, bensì su quello della credibilità, sull’adesione a ciò che canta. A Ferrara non hanno dimenticato il suo mancato sostegno dal palco nel concerto post-alluvione. In America i detrattori gli ricordano perfidamente il flop del sostegno elettorale a Kamala Harris: “Trump è un tiranno, non votatelo”. Il tycoon se la ride. Mentre il Boss e la Sony impongono le loro provocatorie gabelle discografiche.