Avvenire, 11 aprile 2025
Antibiotici prescritti in modo insensato «Il governo corra ai ripari o sarà strage»
La palestra che rende invincibili i batteri siamo noi: l’uso abnorme di antibiotici li ha allenati ad essere più forti dei farmaci. Che cosa significa? Che alla prossima pandemia causata da uno dei “super batteri” l’umanità si troverà disarmata. Non solo: sempre più spesso accade che entriamo in ospedale per una banale operazione, l’intervento va bene ma il paziente muore per un’infezione presa in sala operatoria, dove i batteri farmaco- resistenti circolano di più. E l’Italia? È maglia nera su entrambi i fronti: sia per l’abuso di antibiotici, sia di conseguenza per le infezioni ospedaliere causate da batteri che non rispondono più ai trattamenti.
Di fronte a un allarme così serio il mondo sanitario italiano sta cambiando i suoi comportamenti? No, la situazione è ulteriormente peggiorata. Lo dimostra il rapporto Aifa di marzo 2025: consumi di antibiotici ancora in aumento, con picchi del 40% in inverno, il che ne indica l’uso improprio contro il virus influenzale (gli antibiotici servono solo contro i batteri, contro i virus sono acqua fresca). O si inverte la rotta, avverte Aifa, o “la pandemia silente di batteri sempre più resistenti” ucciderà ben più dei 12mila decessi già stimati (per difetto) in Italia in un solo anno. Perché allora non si fa niente? Incompetenza o follia?
Evelina Tacconelli è professore ordinario di Malattie Infettive all’università di Verona. Alla scienziata italiana l’Oms da anni ha affidato il coordinamento del gruppo tecnico di 22 nazioni per sorvegliare i batteri killer nel mondo.
Professoressa, il rapporto Aifa 2025 mostra un aumento del consumo di antibiotici in Italia sia sul territorio che negli ospedali. Nonostante due Piani nazionali per il Controllo della resistenza agli antibiotici (Pncar). Possibile?
Da oltre dieci anni i dati attribuiscono all’Italia la maglia nera non solo per la quantità di antibiotici usati, ma anche per la bassa qualità delle prescrizioni: esiste un rapporto che misura il tipo di antibiotici prescritti (i più potenti vanno dati solo in rarissimi casi), e se in quella scala l’Europa è a livello 14 l’Italia è a 5. Nel 2023 il consumo è aumentato più al Centro-Sud che al Nord e nella maggior parte dei casi su prescrizione dei medici di base, il che è demoralizzante. È evidente che i Piani nazionali finora adottati non hanno sortito effetto. È molto preoccupante perché la resistenza agli antibiotici è in continua evoluzione, se non agiamo con decisione ci troveremo in una situazione ancora più critica.
Perché è così difficile per la popolazione capire il rischio che stiamo correndo?
Estenderei la domanda più ai medici specialisti e di base. Le infezioni da batteri resistenti ai farmaci hanno anche fortissimo impatto sulla qualità della vita di numerosi pazienti e allungano i tempi della degenza ospedaliera (dovresti essere già dimesso, invece sei costretto a ricoveri anche di mesi), aumentano i costi sanitari, rendono molto più rischiosi gli interventi chirurgici anche semplici. Arrivo a diverno re che oggi il rischio di morire per un’infezione resistente ai farmaci dipende dal Cap...
Il Codice di avviamento postale?
Intendo dire che la sopravvivenza post-operatoria non dipende più solo dalle capacità del chirurgo, ma dal luogo in cui vieni curato: il divario tra Nord e Sud Europa è drammatico. Comunicare questi aspetti alla popolazione è fondamentale per creare consapevolezza e mutare i comportamenti, bisogna far capire che la resistenza dei batteri agli antibiotici non è un problema che riguarda solo il malato ma l’umanità intera. Poi spetta alla politica risolvere.
Che strumento può adottare il gone per costringere gli ospedali a comportamenti sensati?
Gli ospedali devono essere accreditati solo se possono provare un uso coerente degli antibiotici, come avviene nei Paesi più sviluppati: all’estero le strutture che – da severi controlli – risultano incapaci di fornire ai pazienti terapie corrette, o si adeguano o non possono lavorare. Allo stesso modo, è dimostrato che confrontare tra loro i medici di medicina generale sulle prescrizioni aiuta a ridurre l’abuso. La corretta gestione degli antibiotici dovrebbe insomma essere inserita come indicatore di qualità. In questo modo i chirurghi, le terapie intensive e le altre numerose eccellenze italia potrebbero finalmente operare senza rischiare che il loro lavoro venga annientato da una infezione resistente. Naturalmente bisogna definire standard chiari e misurabili, implementare la formazione, monitorare costantemente e adottare misure correttive in caso di non conformità. Ma l’emergenza è tale che il governo deve agire subito, non ci sono i tempi per la riflessione, occorre un decreto che dia attuazione immediata. Quando un problema è così incancrenito, non basta più dare solo delle indicazioni alle strutture sanitarie, è ora di pretendere l’applicazione concreta della teoria. In Australia l’accreditamento degli ospedali basato sul corretto uso degli antibiotici funziona dal 2013 e già dopo quattro anni si erano estremamente ridotti l’abuso e le infezioni ospedaliere.
Però ha dell’incredibile. Possibile che il personale sanitario non sia preparato?
Non è preparato perché la formazione e gli aggiornamenti sono rivolti alle persone sbagliate. Mi spiego: gli eventi educazionali sono trattati esclusivamente nei congressi di infettivologi, ma chi prescrive gli antibiotici non sono loro, se non in piccola percentuale, sono i medici di famiglia. Allora già all’università ci dovrebbe essere l’obbligo di un esame di “Prescrizione corretta delle terapie” e poi di un secondo esame prespecializzazione. È fondamentale investire sulla formazione di tutti i medici, per saper distinguere tra infezioni batteriche e infezioni virali, così da capire se occorra o meno l’antibiotico, saper scegliere quello appropriato e dosare la durata.
Questo per il futuro. Ma intanto perché non si riesce a fare formazione a chi è già medico?
La domanda è delicata. Gran parte dell’educazione scientifica dei medici è organizzata dalle case farmaceutiche o diagnostiche, quindi interessate, e i medici relatori non dichiarano con la dovuta trasparenza se ricevono un (seppur lecito) compenso, quanto e da chi. Io mi rifiuto di far parte di questo sistema: gli eventi educazionali dovrebbero essere organizzati dal ministero della Salute, è assolutamente necessario garantire l’indipendenza della formazione medica continua, impedire che sia influenzata da interessi commerciali.
All’estero come funziona?
Ad esempio in Australia i medici hanno un budget di 28.000 dollari l’anno per partecipare a eventi educazionali, proprio per evitare l’influenza delle ditte farmaceutiche. Ma potrei citare molti altri casi.
Per l’Italia ci sono speranze o la strada è senza ritorno?
La situazione è grave, ma non disperata. Le evidenze scientifiche indicano che in Italia è ancora possibile invertire la rotta, purché agiamo immediatamente e in modo radicale. I Piani Nazionali, che non hanno richiesto alcuna azione obbligatoria alle Regioni, hanno dimostrato di non essere efficienti, dobbiamo quindi abbandonare le pratiche obsolete e adottare misure coercitive: ridurre le terapie antibiotiche inutili per infezioni inesistenti e le profilassi chirurgiche prolungate dopo un intervento, ottimizzare le misure pre-chirurgia che possono ridurre di oltre il 60% le infezioni da stafilocco, e implementare protocolli diagnostici rapidi. Parallelamente dobbiamo realizzare corsi obbligatori per tutti i medici In un momento drammatico come questo, con migliaia di ricercatori licenziati senza preavviso negli Usa, com’è la situazione della ricerca in Italia? Sta facendo la sua parte nella battaglia contro la farmaco- resistenza?
I fondi disponibili sono irrisori rispetto agli altri Paesi europei, dunque non siamo assolutamente attrattivi (gli scienziati licenziati da Trump non prenderanno in considerazione offerte dall’Italia...). Esportiamo cervelli ma non ne importiamo nessuno. Le cause? Salari bassissimi ed enormi difficoltà amministrative nella gestione dei fondi nelle università pubbliche. Occorre urgentemente una lettura critica di quanto fatto finora e un cambio radicale: un Paese come il nostro non può più permettersi l’inerzia, il futuro della nostra salute dipende da azioni immediate.