la Repubblica, 10 aprile 2025
Sull’ottovolante di Donald Trump, dagli insulti al dietrofront
«Ma chi c… è al governo qua?»: il grido, con tanto di parolaccia, del deputato democratico Steven Horsford, eletto nel Nevada, interrompe in diretta, alla Camera Usa, il compunto discorso di Jamieson Greer, l’ex capitano dell’Aviazione messo a capo del Commercio americano dal presidente Donald Trump. Greer si arrabattava a spiegare ai parlamentari come i dazi della Casa Bianca repubblicana fossero manna dal cielo, malgrado i 6.700 miliardi bruciati dalle Borse, lo spettro della recessione temuta dal presidente Powell alla Federal Reserve, Pechino sul piede di guerra e la buona fede europea scossa per una generazione, quando le notifiche di Whatsapp accendono gli iPhone, totem digitale della globalizzazione assemblato in 40 paesi: il presidente fa imprevista, rassegnata, disordinata e umiliante inversione a U.
Horsford smania contro il malcapitato Greer, «Lei sapeva dunque?», per capire come sia possibile che si presenti agli onorevoli deputati a predicare le virtù dei dazi, mentre il suo capo li azzera. Greer si affida al virtuosismo degli eufemismi, («Sapevo che se ne parlava ma…»), mentre poche ore prima, senza troppo galateo, Trump assicurava sicuro di sé: «Le nazioni mi baceranno il culo». E con vocina petulante mutuata dai Simpsons irrideva europei e cinesi: «Vengono a dirmi Signor presidente la preghiamo faccia un accordo, le daremo tutto».
All’ex gemello Elon Musk che lo invitava a ripensarci, definendo il consigliere trumpiano Peter Navarro “Mister Ritardato, più cretino di un sacco di mattoni”, a Bill Ackman, miliardario del fondo Pershing, agli amici del golf in Florida che lamentavano il bagno di sangue degli investimenti, Trump rispondeva tetragono: «Io sono il campione di Main Street, la strada della gente qualunque, non di Wall Street di voi ricchi», concentrandosi sulla crociata contro le università d’élite, Harvard, Cornell, Princeton, Columbia.
Non è durata, come aveva previsto su Repubblica il vicepresidente esecutivo di Pirelli Marco Tronchetti Provera. Stretto fra la risposta articolata degli europei di Ursula von der Leyen, prime misure ma via via incremento graduale, e il muro contro muro senza appello del presidente cinese Xi Jinping, Trump abbozza: goodbye Main Street, rieccomi Wall Street. Milioni di americani, dai ricchi del club di Manhattan, ai lavoratori che comprano titoli di Stato e azioni per mandare i figli al college, acquistare la casa o integrare la magra pensione Social Security, stavano perdendo troppi soldi, il 62% dei cittadini, 162 milioni di persone, hanno visto i risparmi liquefarsi, poi cedere anche i titoli di Stato dello zio Sam, più fedeli dei marines, e infine Re Dollaro umiliato, cedendo a 0,91 contro l’euro dell’arcaica Bruxelles.
Eppure a persuadere Donald Trump alla resa, precaria, provvisoria, limitata ma pur sempre resa, non sono i soloni dei mercati, le telefonate imploranti degli elettori, i sermoni dell’ex ministro del Tesoro Summers, i moniti del governatore Powell e neppure i fondi del costernato Wall Street Journal («Guerra cretina sui dazi… abbiamo perso il Canada alleato fedele… i mercati rovinati… impossibile ricostruire la manifattura Usa, non abbiamo operai né ingegneri, la spesa al supermercato raddoppierà entra Natale»), con i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse economica nei titoli: «Inflazione, recessione, disoccupazione, protezionismo!».
Contro la gente comune, che fino al novembre del 2027 – cioè alle elezioni di midterm – non tornerà alle urne, contro i patrizi delle borse, contro i “Pundit”, i commentatori famosi, Trump avrebbe tenuto duro, con la grinta sfrontata appresa dal suo mentore Roy Cohn. Ma, invisibili ai media d’Europa, sono scesi in campo i compagni di strada che venera, il conduttore radio di destra Joe Rogan, patrono dei maschi bianchi senza laurea, che lo critica sulle tariffe al Canada; Dave Portnoy, influencer dalla tribuna online “Sgabello del bar”, nata per parlare di sport e scommesse e finita in politica, che urla di «aver perso tra 7 e 15 milioni in criptovalute»; lo youtuber con 7 milioni di followers Ben Shapiro, a denunciare «tariffe mal pensate che mai ci arricchiranno». Sono i fratelli trumpiani del “Bromance”, comunità macho del pensiero chiuso, economia chiusa, anima chiusa, a far alzare bandiera bianca a Donald Trump.
Troppo tardi. I mercati si aggiusteranno, i governi tratteranno, i guru muteranno narrativa, ma Xi Jinping, duro formatosi da deportato nei campi di rieducazione di Mao, gli amici del Pacifico e dell’Atlantico, i paesi terzi, hanno mangiato la foglia, Trump è imprevedibile ma indeciso, capace di citare il cannibale Hannibal Lecter ma incapace di portarci alle promesse tregue da Gaza a Kiev, nemico friabile e alleato inaffidabile. La mano va dunque a Pechino che aprirà in ogni continente un’offensiva economica, militare e diplomatica per rispondere, a modo suo, all’irrituale domanda del deputato Horsford del Nevada, regno del gioco d’azzardo a Las Vegas: «Chi c… governa qua?».