la Repubblica, 10 aprile 2025
Micaela Ramazzotti: “Se una cosa importante va in frantumi, non puoi rimettere insieme i cocci”
Micaela Ramazzotti, in “30 notti con il mio ex” di Guido Chiesa (in sala il 17 con PiperFilm), interpreta una delle sue “pazzerelle”, ma in versione commedia per famiglie.
«Nella mia filmografia ce ne sono tante, di pazzerelle. Questa non è depressa, chiusa, è attiva, aperta e fa coming out della sua follia. Dice a tutti “vabbè, io sento le voci”. Quando si parla di disagio mentale si tende a tenerlo chiuso tra quattro mura. Chiunque abbia un matto in famiglia non lo dice perché ha paura, ma così lo stigma aumenta. Non bisogna temere i propri “pensieracci”, le debolezze, perché c’è sempre una via d’aiuto, una rete, con il mio personaggio ci sono la figlia, la psicologa, il centro diurno e la comunità dove è stata».
Di disagio mentale aveva parlato nel suo “Felicità”.
«Il confine tra la normalità e il cadere in quello che è chiamato disagio mentale è sottile. Quando non riesci a stare nella società devi farti aiutare. Per me anche i film sono stati terapeutici. Mi piace parlare di disagio, delle peculiarità mentali delle persone, perché penso che chi si cura stia meglio di chi è fuori e vive in una società di folli veri».
Tra le qualità di questo personaggio c’è quella di dire la verità. Lei ha affrontato le sue questioni familiari in pubblico, litigi, denunce, ha annunciato di voler sposare il suo compagno Claudio Pallitto. C’è un prezzo da pagare per questo?
«La verità è bella perché è libera e ti mette in pace con te stessa. Non amo le bugie, non amo sentirmele dire perché riconosco la menzogna. E non le so dire perché si vede lontano un miglio quando ne sto dicendo una. Non si deve avere paura di mostrarsi per come si è. Poi, certo, c’è il giudizio degli altri... ma insomma, dopo tanti anni uno un po’ di corazza se l’è costruita».
Nel film l’ex, Edoardo Leo, cerca di rimuovere il ricordo del passato insieme. Lei che rapporto ha con le cose andate male?
«Il passato non lo puoi cancellare. È fondamentale amarlo, con gli errori e i rimpianti. O sarebbe come dire: non amo un pezzo di me, le mani, gli occhi, la pancia. Il passato siamo noi, è la nostra storia. Siamo ciò che abbiamo vissuto».
Nel film i due ex ritrovano un modo per stare insieme. Lei e Paolo Virzì siete stati una bella famiglia. È possibile nel tempo ricostruire un legame, trasformandolo in qualcosa di diverso, proprio come la protagonista crea arte con le cose rotte seguendo la filosofia giapponese del kintsugi?
«Il kintsugi è poetico, lo capisco, ma non ci credo. Se si rompe qualcosa di profondo puoi pure metterci l’oro, l’argento, i diamanti, ma resta rotto. Certo, se si rompe una cosa piccola magari ci provi, ma se si rompe una cosa grande… chi sta li a rimettere insieme i frantumi? No. I cocci a Roma finiscono al monte de’ cocci».
I suoi figli come hanno reagito a questa sua versione dei fatti a mezzo stampa?
«Sono una madre senza filtri, con i miei figli c’è sempre stata onestà intellettuale. Ci si scontra, si va avanti. Sono veloci e brillanti. Non c’è niente che non capiscano, anche riguardo alla vita privata».
Perché ha sentito il bisogno di raccontarsi pubblicamente?
«Per riequilibrare una situazione. Quando c’è stata quella bufera, ho sentito cose brutte sul mio compagno. Mi hanno fatto male. I miei figli lo conoscono, sanno chi siamo. Ho voluto difenderlo. Non si attacca una persona per il fisico, per come è. Difendendolo, ho difeso anche me. Basta, se ne parla una volta sola. Colpo secco, stop. Ora si va avanti».
Questa vicenda l’ha cambiata anche come artista, nel tipo di storie che vuole raccontare?
«Sì, mi ha dato forza. Perché la maturazione è stata lunga, difficile. Ho attraversato molte cose. Mi sentivo fragile, ho scoperto di essere una lottatrice. Ora racconto cose diverse, forse con più profondità».
Che ha scoperto di sé nel tempo?
«Che il nostro lavoro è uno studio continuo, non solo emozione. Amo i film che faccio. Ho una storia in mente, per ora è un bel pensiero che mi accompagna».
Ha girato un film su Elena Di Porto,“la matta di Piazza Giudia”.
«Una donna forte, anticonformista. Andava in giro con i pantaloni negli anni Trenta, difendeva i deboli, picchiava i fascisti, è andata al confino più volte. Mi ha ispirato il suo coraggio. Quando mi hanno proposto il film avevo paura, ma ho pensato: sta arrivando l’ansia, prendila, e trasformala in coraggio».