La Stampa, 10 aprile 2025
Adescate sui social e abusate a 13 anni in cambio di droga
L’annotazione conclusiva sull’attività tecnica e investigativa è lunga una pagina. C’è una data: 23 ottobre 2024. E un numero in alto, che corrisponde al nome dell’indagato. Un uomo di 35 anni accusato di avere violentato una ragazzina di 14 dopo averla drogata. Sono state le sue amiche a telefonare ai servizi sociali e a raccontare tutto.
Perché lei è terrorizzata. Lui ha le foto di lei nuda. E le usa per minacciarla: «Se parli, le metto su tutti i social». L’uomo è stato indagato almeno altre tre volte per reati dello stesso tipo: nel 2021 per abusi su una tredicenne.
Nello stesso anno, per violenza sessuale su una quattordicenne. C’è una quarta indagine, aperta da poco, in cui la parte offesa ha la stessa età. Le adesca su TikTok e Instagram. O si presenta davanti alla scuola che frequentano. Sono tutte studentesse. Vivono nel Vercellese.
Lui prima offre alcol, droghe, cibo. Forse soldi. Poi chiede foto intime. Con il passare dei giorni, offre droghe più pesanti, come la cocaina. Le fa spogliare. Le filma. Gli abusi sono l’apice di un iter di mesi.
In questo verbale di una pagina, la squadra mobile di Vercelli scrive, in sintesi, che non è possibile approfondire le indagini, perché l’indagato non avrebbe un proprio cellulare. Anche analizzando i profili social della studentessa che è parte offesa e delle testimoni, non sarebbe possibile rintracciarlo. Né raccogliere prove.
L’indagine, quindi, può andare verso la chiusura. Basta il verbale della quattordicenne, che alla fine, in parte denuncia, e delle amiche che hanno trovato il coraggio di fare emergere cosa succede nei paesi delle risaie.
Una realtà tenuta nascosta, di sesso virtuale e reale, o di gruppo, droghe, abusi che si protraggono da quattro anni. La polizia tiene a precisare un punto, messo nero su bianco in quel verbale: «Dall’attività tecnica è emerso lo stile di vita dissoluto che tutte e tre le ragazze sono solite adottare, tipo come assumere sostanze stupefacenti ed essere inclini ad avere rapporti intimi promiscui, tanto da ritenersi poco affidabili e con una percezione della loro sfera intima poco attenta, senza tenere conto della conseguenza delle loro azioni scellerate».
Niente altro da aggiungere. Seguono le firme. L’uomo era libero e resta libero. Nessuno lo va ad arrestare. Le ragazzine «dissolute» sono tre amiche di 13 e 14 anni. Dopo la violenza sessuale di una di loro si sono strette.
Non si sono lasciate. Una delle tre, con coraggio e senso di civiltà, ha chiamato un’assistente sociale. La telefonata dura 50 minuti. Lei alla fine dice: «La mia amica era sotto effetto di droghe. Non sa quali. Lui le dava da fumare e la toccava. Non è la prima volta che abusa di una ragazzina. Sui social lui ha cercato di contattare anche me. L’ho bloccato. So che lui ha minacciato la mia amica di divulgare le sue foto intime se lei non lo avesse assecondato. Ho visto nello sguardo della mia amica tanta paura. L’ho vista piangere».
Una coetanea sentita come testimone: «Conosco quell’uomo. So che ha avuto una denuncia da una scuola perché ricatta le ragazzine dopo che ottiene foto intime su Instagram. Ho accompagnato io la mia amica il giorno dopo lo stupro a fare il test di gravidanza. Lui fa così con altre. Dà anche la cocaina. Una volta l’ho visto che andava a prenderla a scuola. Lei mi diceva piangendo che mi voleva raccontare tutto perché si voleva liberare. Si sentiva sporca e colpevole. Cosa che non è, perché lei non ha colpe. Io voglio aiutarla. Voglio che quello vada dentro. Parlo per questo».
Lui è libero, dalla prima denuncia. Andrà a processo a maggio, difeso dall’avvocatessa Francesca D’Urzo, perché la pm di Vercelli che era di turno quando è arrivata l’ultima notizia di reato, quella fatta grazie all’amica della 14enne, che si costituirà parte civile al processo, ha fatto riaprire alcuni procedimenti archiviati.
Forse ci sarà giustizia anche per una tredicenne abusata nel 2021. Erano stati i suoi professori a denunciare. Era un’indagine che apriva lo squarcio su cessioni di droghe, violenze sessuali, tentati revenge porn. Per il pm che l’ha fatto chiudere non era possibile procedere perché la bambina, terrorizzata, non aveva denunciato il suo aguzzino, che l’aveva minacciata di morte.
E poi sarebbe mancata la «abitualità». Tradotto: l’indagato non l’avrebbe violentata in maniera abituale. E siccome lui non avrebbe un cellulare, sarebbe difficile trovare le prove che lascia sui social. È stato facile invece trovare le tracce che hanno lasciato le ragazzine abusate. Che per questo sono state giudicate. «Dissolute». E «scellerate».