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 2025  aprile 10 Giovedì calendario

Intervista a Marco Morricone

L’uomo prima del musicista. La persona prima del personaggio. Semplicemente un padre. È questo il cuore di Ennio Morricone, il genio, l’uomo, il padre ( Sperling & Kupfer), racconto scritto a quattro mani da Marco Morricone, figlio primogenito del grande compositore e dal giornalista e scrittore Valerio Cappelli, divenuto amico di Ennio all’età di sedici anni nel singolare ruolo di giovane appassionato di musica e “voltapagine” del maestro. Ieri il libro, che arriva a cinque anni dalla scomparsa del musicista due volte premio Oscar, è stato presentato a Firenze nella storica sede della Fondazione Zeffirelli. Ne abbiamo parlato con uno dei due autori, tra i figli di Morricone quello che è stato più vicino al papà. «Ho vissuto sempre dietro le quinte dei suoi concerti, nella postproduzione dei suoi lavori, l’ho seguito in tutti i suoi viaggi» racconta a Libero.
Marco, dunque Ennio Morricone che padre è stato?
«Un padre atipico, nel senso che non era il papà che usciva tutte le mattine per andare a lavorare e tornava la sera. Lavorava molto a casa, chiuso nella sua bolla impenetrabile».
Quella che lei ha definito nel libro addirittura “la tana del dio”. Era davvero così che lo vedeva?
«Si immagini me a cinque anni. Vedevo questo padre che se ne stava per ore curvo su un pentagramma a fare scarabocchi. Consideri poi che lui non era in realtà una persona così gioviale. Anzi, viveva chiuso nei suoi pensieri. La mia vita è stata un po’ tutta una rincorsa per cercare di rompere, scalfire questo suo mondo per entrarci un pochino, sia pure con difficoltà…».
Il suo studio-tana del dio peraltro era precluso a voi familiari. Nel libro ha scritto che addirittura portava la chiave sempre con sé… Ma perché tanta gelosia?
«Perché si era convinto che io gli avessi rubato dei dischi per regalarli ai miei amici (sorride). Cosa accaduta una volta soltanto. In realtà era mia madre che li prendeva e li regalava ai professori di scuola miei e dei miei fratelli per ingraziarseli».
Ennio Morricone è stato al tempo stesso genio mondiale e icona del romano tipico, bonario, innamorato perso della città e della squadra giallorossa. Voi familiari immagino abbiate vissuto all’ennesima potenza questo suo essere romano de Roma. È così?
«Papà è stato certamente un grande romano ma non di quelli tipici che lasciano un po’ andare, cadere le cose. Lui era estremamente metodico. Casa nostra era piena di block notes e penne in ogni angolo, pronti per appuntare idee nel momento stesso in cui gli arrivavano per evitare così che gli scappassero... La sua giornata era organizzata quasi in maniera maniacale. Si svegliava alle 4 del mattino, faceva ginnastica, faceva i suoi esercizi, le sue camminate, usciva alle 6 per andare a prendere i giornali, li leggeva e poi iniziava a lavorare».
Suo papà è mancato in un’età molto adulta. Al di là del genio, lei e la sua famiglia come avete vissuto il naturale invecchiamento dell’uomo?
«L’abbiamo vissuto con dolore ma nello stesso tempo con la consapevolezza che è qualcosa a cui nessuno può sfuggire. La vita, del resto, è una consolazione amara…».
Ecco ma allora, a proposito ancora della vostra vita familiare. Quand’è che Ennio svestiva davvero gli abiti del maestro per restare semplicemente un uomo comune?
«Sicuramente quando vedeva le partite della Roma. Lì svuotava il cervello. Poi quando giocava a scacchi che lui identificava come la battaglia della vita e poi quando si divertiva con gli anagrammi che amava follemente. Pensi che il primo libro scritto su di lui dal musicologo Sergio Miceli si intitolava Norme con ironie che è proprio l’anagramma di Ennio Morricone».
Alla moglie Maria suo padre ha dedicato entrambi i premi Oscar e, nel necrologio che lui stesso aveva scritto da sé, ha voluto dare proprio a lei l’addio più doloroso. Ma cosa è stata, più nel privato, sua mamma per suo padre Ennio?
«È stata una compagna di enorme supporto anche per la sua professione. Col passare degli anni papà era diventato anche abbastanza pigro. Non gli andava più nemmeno di leggere i copioni. Mia madre li leggeva per lui e glieli raccontava».
Tra i figli lei è stato di sicuro il più vicino fisicamente a suo padre. Ma spiritualmente chi è stato il prediletto?
«Beh, forse Andrea perché ne ha seguito le sue orme diventando un direttore d’orchestra come lui. Poi anche Andrea ama gli scacchi. Giovanni il più piccolo è nel mondo del cinema...».
E invece con l’unica figlia che rapporto ha avuto?
«Particolare, sì. Mia sorella è un medico. È dermatologa e nefrologa, quindi ha seguito un percorso che non c’entra proprio nulla con la vita di papà. Ha un carattere chiuso come era lui. Però, anche se sembra strano, tra loro riuscivano a comunicare bene. Avevano un buon rapporto».
Il mondo dell’accademia musicale italiana non ha trattato sempre coi guanti suo padre. Come la viveva questa cosa?
«Lui era tormentato da questa contraddizione. Perché aveva studiato Frescobaldi, Bach, Stravinskij. Nella composizione era stato allievo di Petrassi. In famiglia, però, non ci ha fatto vivere tutto ciò in maniera angosciosa. Tra l’altro lui avrebbe voluto lasciare il cinema molte volte ma non gli è riuscito perché era il cinema che lo rincorreva di continuo! Lui non ci ha fatto pesare nemmeno il furto subito per l’Oscar mancato alla musica di The Mission. Una cosa che noi per primi abbiamo vissuto con dispiacere. Lui invece ci diceva che non gliene fregava niente perché tanto era un premio americano (Sorride). L’Oscar alla carriera e quello al film di Tarantino arrivati dopo sono stati di fatto un risarcimento».
The Mission parla dei gesuiti. Suo padre ha avuto modo di incontrare Papa Francesco?
«Sì, incontrò Papa Francesco. L’abbiamo incontrato più volte in realtà. La prima ricordo che lui e mamma scoppiarono a piangere come due bambini di fronte a lui. Questo perché per loro fu come ripercorrere un percorso di vita. Pensarono di rivedere Papa Pacelli, Pio XII, quando scese sulla piazza di San Lorenzo dopo il bombardamento e si macchiò la veste bianca di sangue. Qualcosa che li lasciò fortemente turbati».
Cosa le manca di più di suo padre?
«Mi mancano i suoi silenzi, perché quando andava tutto bene lui stava sempre zitto».