ilfattoquotidiano.it, 10 aprile 2025
Gaza, la guerra alle ambulanze: crescono gli attacchi di Israele a medici e ospedali. Msf: “Ci sparano e nessuno dice nulla”
I primi furono un’infermiera e l’autista di un’ambulanza. Caddero sotto ai colpi dei soldati davanti al Nasser Hospital di Khan Younis e a quello indonesiano, a Beit Lahia. Erano passate poche ore dal massacro che il 7 ottobre 2023 Hamas aveva inflitto a Israele, il peggiore della storia sul suolo patrio. Gli ultimi invece sono morti la notte del 23 marzo: erano scesi dalle ambulanze per effettuare un soccorso poco fuori Rafah, quando i soldati hanno aperto il fuoco su di loro. Li hanno ritrovati sette giorni dopo sepolti insieme ai loro mezzi in una fossa comune scavata sul posto.
“Erano 15, lavoravano per la Mezzaluna Rossa palestinese – ha raccontato il 2 aprile Jonathan Whittall, responsabile per i Territori occupati dell’Ufficio Onu per gli affari umanitari, che ha rinvenuto i corpi – Avevano ancora addosso le uniformi, i guanti alle mani. Le ambulanze sono state bersagliate l’una dopo l’altra. Loro sono stati colpiti alle spalle. Nella buca in cui li abbiamo trovati c’erano anche un camion dei vigili del fuoco e un mezzo delle Nazioni Unite. Quello che sta accadendo sfida la morale, la dignità umana e la legge. Nessuno è in salvo, in nessuna parte di Gaza“.
Meinie Nicolai conosce quella sensazione. In questi anni di guerra è stata direttore generale di Medici senza Frontiere, che tra l’ottobre 2023 e il dicembre 2024 ha subito oltre 50 attacchi e fino a oggi ha visto morire 11 suoi membri. “L’attacco del 23 marzo è scandaloso – spiega al fattoquotidiano.it -. Le ambulanze sono protette dal diritto internazionale come gli ospedali. Se le Idf credono che un mezzo di soccorso costituisca un pericolo devono provarlo. Se aprono il fuoco senza averlo fatto infrangono la legge. Invece sparano lo stesso, senza che nessuno intervenga”.
È solo l’ultima goccia dello stillicidio a cui ospedali e sanitari sono sottoposti con la motivazione che dietro di loro si nascondono i terroristi di Hamas. Tra il 7 ottobre 2023 e il 30 giugno 2024 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha documentato raid “su almeno 27 dei 38 ospedali dell’enclave e attacchi su altre 12 strutture mediche (cliniche), per un totale di 136 attacchi“. Se uno di questi, ragiona l’Alto commissariato, “avesse deliberatamente preso di mira civili, tra cui dottori, infermieri e paramedici che non partecipano direttamente alle ostilità, o obiettivi civili non usati per commettere atti dannosi per il nemico, piuttosto che obiettivi militari, ciò costituirebbe crimini di guerra“. Ma le inchieste indipendenti non ci sono, e i numeri salgono.
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Insecurity Insight – istituto di ricerca svizzero che collabora con diverse agenzie umanitarie – dal 7 ottobre 2023 e al 17 marzo 2025 nella Striscia di Gaza sono stati registrati “1813 episodi di violenza (non solo attacchi agli ospedali, ndr) o ostruzione all’accesso all’assistenza sanitaria, le strutture sanitarie sono state danneggiate 354 volte, almeno 623 operatori sono stati uccisi e 353 arrestati”. Nello stesso periodo in Cisgiordania e a Gerusalemme Est “sono stati registrati 685 episodi, 12 operatori sanitari sono stati uccisi e 139 arrestati”. Il picco è stato registrato nel quarto trimestre del 2023, quando è partita l’operazione nella Striscia come risposta alle stragi perpetrate da Hamas, poi il numero dei raid è andato progressivamente calando ma da ottobre 2024 la curva è tornata a salire: nel quarto trimestre dello scorso anno gli attacchi sono stati più del doppio rispetto a quelli registrati nei 3 mesi precedenti.
Una strategia? “Non lo sappiamo – spiega Nicolai -. Noi sappiamo solo che medici e strutture vengono colpiti mentre l’offerta sanitaria si sta riducendo, il sistema è vicino al collasso e il numero dei feriti cresce”. Secondo gli ultimi dati dell’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, al 25 marzo solo il 66% degli ospedali (23 su 35) era ancora “parzialmente funzionante”; appena 4 delle 9 strutture da campo presenti era in grado di operare; su 155 centri di assistenza primaria ne restavano in funzione 78 (il 50%), ma soltanto uno lavorava a pieno regime; e “tra gli 11mila e i 13mila pazienti, tra cui 4.500 bambini, necessitano di evacuazione”.
Spesso, però, anche chi viene si sposta per salvarsi la vita finisce nel mirino. “Ero a Khan Younis il 20 febbraio 2024 – racconta la dirigente di Msf -. Avevamo evacuato 64 persone tra staff e le loro famiglie e le avevamo trasferite in un rifugio che avevamo affittato e che ci dicevano era sicuro. Avevamo comunicato le nostre coordinate Gps all’esercito e avevamo esposto una grande bandiera con il nostro logo sul muro esterno. Non servì a nulla: la sera arrivò una colonna di tank israeliani e prese a sparare contro l’edificio. Uno shrapnel colpì una bombola di gas nella cucina che esplose uccidendo due donne: la moglie di uno dei nostri morì bruciata viva, morì anche la nuora di un altro collaboratore. Altre due donne si ritrovarono la faccia sfigurata da un’esplosione, ma sono sopravvissute. Chiedemmo all’Idf perché avessero attaccato nonostante sapessero che eravamo lì, ma non c’è mai stata data risposta”.
Qualcuno la chiama guerra agli operatori sanitari. “Non ho elementi per dirlo – conclude Nicolai -. Quello che vediamo è una guerra totale e che comprende attacchi a ospedali e sanitari. Ma non ci sono solo i raid: in questo anno e mezzo medici e operatori sono finiti in carcere e il loro lavoro viene continuamente ostacolato”. A Gaza come in Cisgiordania: “La Striscia è una distesa di macerie. Ma anche nel West Bank ci sono 40 mila rifugiati, le Idf rendono difficili i soccorsi, i coloni attaccano di continuo i villaggi. La situazione sta precipitando rapidamente anche lì”.