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 2025  aprile 10 Giovedì calendario

Morituri te salutasnt

Claudio La frase “Morituri te salutant” è testimoniata solo una volta, dal biografo latino Gaio Svetonio Tranquillo, nella Vita dell’imperatore Claudio. A pronunciarla non furono gladiatori ma condannati a morte che erano stati portati sul lago Fucino, e che avevano il compito di riprodurre la cruenta battaglia navale tra rodiesi e siciliani. Claudio, al grido di quella folla di disgraziati, rispose «aut non», «forse no», al che quelli, come se fosse stata concessa loro la grazia, non vollero più combattere. L’imperatore, pur notoriamente claudicante, corse allora qua e là intorno al lago, in parte minacciando e in parte supplicando, e li costrinse alla fine a combattere e a morire.
Caligola/1 Caligola, invidioso di tale Esio Proculo, detto Colossero, bello e aitante figlio di un centurione di alto grado, lo fece combattere senza preavviso contro due gladiatori consecutivamente, e poi lo fece giustiziare, benché il giovane avesse sconfitto entrambi gli avversari.
Caligola/2 Caligola costrinse a battersi come gladiatore un illustre cavaliere che aveva insultato la memoria di sua madre Vipsania Agrippina. Pure in questo caso fece trucidare il malcapitato, che era uscito vittorioso dallo scontro.
Caligola/3 Caligola mise a morte nel circo persino il proprio cugino, Tolomeo re di Mauretania, che in quei giorni era ospite a Roma con tutti gli onori. In un’altra occasione, in mancanza di condannati da gettare alle belve, Caligola ordinò di dar loro in pasto alcuni spettatori, ai quali fece tagliare preventivamente la lingua perché non potessero protestare.
Condannati Le condanne a morte come spettacolo. Obiettivo: non annoiare lo spettatore, ed educarlo. Per esempio: si metteva il condannato su una carrozzina, lo si legava e tramite una pertica si spingeva poi la carrozzina tra le belve. Altro sistema: consegnare agli animali feroci il condannato chiuso in una camicia di forza.
Asino Forse non è solo frutto dell’immaginazione di Apuleio la storia dell’avvelenatrice condannata a essere stuprata a morte da un asino. Apuleio dice che l’asino, all’ultimo, si tirò indietro.
Schiavi Un migliaio di schiavi superstiti della seconda rivolta servile di Sicilia, presi prigionieri dal proconsole Manio Aquilio nel 100 a.C., prima di essere esibiti nel circo per combattere contro le belve preferirono darsi la morte l’un l’altro.
Suicidi Seneca ricorda tre casi di captivi che si tolsero la vita per non esporsi al ludibrio della folla, e li elogia come esempi di coraggio e di aspirazione alla libertà di fronte a una morte inevitabile. Il primo era un prigioniero germanico destinato all’esecuzione ad bestias: finse di avere bisogno della latrina, allo scopo di liberarsi dei suoi guardiani per qualche minuto, poi afferrò il bastone dotato di spugna all’estremità, fornito per la pulizia personale dopo l’espletamento dei bisogni corporali, e se lo infilò in gola fino a morire soffocato. Il secondo, anche lui condannato ad bestias, infilò la testa tra le ruote del carro che lo stava trasportando al luogo del supplizio, e si troncò l’osso del collo. Infine un barbaro, durante una naumachia, si uccise con la lancia che gli era stata fornita per combattere.
Volontari/2 Chi volesse diventare gladiatore era tenuto a farne dichiarazione ufficiale di fronte a un tribuno della plebe o a un magistrato municipale. Pronunciava una formula con cui accettava «di essere bruciato, legato, fustigato e ucciso». Il gladiatore volontario era considerato feccia sociale.
Notizie tratte da: Luca Fezzi e Marco Rocco Morituri. La vera storia dei gladiatori Garzanti, 352 pagine, 19 euro
 
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