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 2025  aprile 09 Mercoledì calendario

Tra le tombe di Gramsci e poeti Tutti a lezione di cimiterologia

Se sapessimo come dialogare con i gatti che abitano il cimitero acattolico di Roma, avremo ben chiara l’importanza di frequentare questo luogo, e i cimiteri in generale. Ma non siamo felini assopiti sulla tomba di Antonio Gramsci e tantomeno possiamo vantarci di essere il suo illustre vicino Andrea Camilleri, sepolto qualche metro più in là. Poco distante, Giorgio Napolitano.E allora varchiamo l’ingresso di questo cimitero privato che vanta più di trecento anni di storia e di cui oggi è direttrice Yvonne A. Mazurek e ci ritroviamo a passeggiare tra le tombe con il filosofo Andrea Colamedici, fondatore insieme a Maura Gancitano del progetto culturale Tlon, per interrogarci sul perché sia così importante rompere il tabù della morte, capire perché non se ne parli, o se ne parli quasi sempre in termini tragici. Eppure la mitologia greca e romana prima, con il nocchiero dell’oltretomba Caronte, le immersioni nel fiume Lete, le cui acque permettevano ai dannati di rigenerarsi per aspirare alla reincarnazione, la storia dei Santi poi e infine la vita di Gesù avrebbero dovuto collocare dentro di noi uno spazio privilegiato sia temporale che fisico per pronunciare la parola “morte” senza abbassare il tono della voce. 
Almeno una tra le persone che sta leggendo questo articolo ha avuto una nonna che si raccomandava di tenere in tasca una monetina per quando fosse arrivato il momento di chiedere un passaggio a Caronte. Per avere una distanza oggettiva e libera da ogni punto di vista religioso, ci siamo iscritti al corso di “cimiterologia” di Tlon per analizzare le ragioni di questo tabù (e sostenere con un piccolo contributo l’esistenza e la cura del cimitero acattolico). 
Se è toccato a Gramsci...
Quello che sappiamo è che è difficile parlare «di cosa ci sarà dopo», perché tutti noi abbiamo un vissuto con la morte: persone care salutate o che dovremo salutare per sempre, rapporti rimasti in sospeso. Ma, se da una parte è difficile riassumere in una brevità di riflessione un dialogo che ha bisogno di tempo, di un pensiero largo e di molteplici punti di vista, dall’altra il cimitero diventa dunque il luogo in cui, lasciata l’isteria delle città visibili, ci ritroviamo di fronte a uno specchio che non concede superficialità.
Chi siamo? Da dove veniamo? E qui cadiamo noi, e tutte le certezza della vita veloce che non può fermarsi mai, ma che a un certo punto lo farà. Se è toccato a Gramsci e a Camilleri, perché noi no? La presenza imponente della Piramide che svetta tra gli alberi e il verde acceso che spicca tra le panchine e le rotaie del tram ricordano che prima di ogni altra cosa l’erba su cui stiamo camminando era quella dei «prati del popolo romano», parte fino all’inizio dell’Ottocento dell’Agro Romano. Un luogo dove un tempo le tombe dei non credenti venivano profanate e vandalizzate; secondo la legislazione dello Stato Pontificio, nessun acattolico poteva essere sepolto in chiesa o in terra benedetta, e le inumazioni dovevano aver luogo di notte, per non dare fastidio a nessuno. 
Oggi, questo cimitero che ha lo spirito di un giardino pronto a essere casa per tutti è uno dei più antichi d’Europa ancora in uso, si autofinanzia interamente e non riceve nessuna sovvenzione pubblica. È un luogo dove oltre a noi si rifugiano, con più frequenza, merli e altre famiglie di uccelli, gatti. Sempre più spesso ci sono anche i turisti che arrivano qui per scattare foto, a volte senza vivere il cimitero in maniera consapevole, e tanti defunti che hanno scelto questo luogo per l’ultimo sonno. Sono quasi quattromila: tra cui inglesi, tedeschi, americani, russi, greci, scandinavi, e anche qualche cinese, ma anche scrittori, pittori, storici, poeti di fama internazionale.
Oltre al significativo numero di tombe protestanti (un tempo infatti questo luogo veniva chiamato “Cimitero dei protestanti") e ortodosse orientali, qui si possono trovare tombe appartenenti ad altre religioni, come l’islam, lo zoroastrismo, il buddismo e il confucianesimo. Un melting pot che rende giustizia all’anima di Roma e al modo in cui negli anni è cambiata. 
Le iscrizioni sulle lapidi sono in oltre quindici lingue diverse. Tra i nomi più noti, quello del poeta inglese John Keats, sulla cui lapide si leggono le parole degli amici Joseph Severn e Charles Brown: «Questa tomba contiene i resti mortali di un giovane poeta inglese che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua». 
«La morte da bere»
Poco distante, è poggiata la lapide del poeta ribelle Percy Bysshe Shelley, che, in una lettera, aveva descritto così questo luogo: «Un declivio verde vicino alle mura, sotto la tomba piramidale di Cestio, il cimitero più bello e solenne che abbia mai visto». Tanti anche i nomi italiani, a patto che siano riconosciuti come di fede non cattolica. «La morte è un’altra cosa da bere o da fumare», diceva il poeta maledetto della beat generation Gregory Corso, che ha voluto che le sue ceneri fossero poste accanto a Shelley, a cui si era spesso ispirato. 
Lo ricorda lo scrittore ed esperto di genealogia Matteo Trevisani, quando, all’interno della piccola cappella del cimitero dove si svolgono le conversazioni del corso di cimiterologia, inizia a domandarsi e a domandare a noi seduti davanti a lui: perché abbiamo smesso di interrogare i morti? Si parla con i morti spesso per capire il futuro, per ridarsi un posto. E forse, sottolinea Trevisani, abbiamo interrotto questo dialogo perché «non abbiamo visione sul futuro. E anche se i morti non ci rispondono più quello che possiamo fare è attraversare i cimiteri continuando a fare loro domande».
Noi lo facciamo fino a quando non scegliamo di fermarci davanti a una tomba che ha la lapide rotta e una parte coperta da un telo. Lì svolgiamo l’esercizio previsto dal corso per quella giornata: raccontare, a un altro corsista, la storia genealogica della propria famiglia fino al punto in cui la si conosce, anche inventando, perché no, parentele che arrivano da orizzonti diversi dal nostro, generando quindi noi stessi una parte dei nostri avi. 
Diceva Virginia Woolf: «Le illusioni sono tra le cose più preziose e necessarie al mondo. Colei che sa crearne è tra le più grandi benefattrici dell’umanità». Mentre ripercorriamo a parole l’albero genealogico della nostra famiglia, la voce della direttrice esce dall’altoparlante del cimitero: «Gli studenti del corso di cimiterologia devono rientrare nella cappella tra cinque minuti». Una frase che nell’espletare la sua funzione, ovvero riportare una trentina di persone dentro un luogo per salutarle a fine lezione, rende tangibile il perché è stato importante trascorrere un paio d’ore a parlare di morte in mezzo a un cimitero, tra una carezza a un gatto e una su una lapide. Forse è proprio così che, come ripete Andrea Colamedici, «possiamo allargare la vita attraversando la morte». Con i piedi e con le parole. Anche se fa paura, ma va bene così.