Domani, 9 aprile 2025
Alcaraz e le divinità dell’abbigliamento Il tennista è diventato un uomo oggetto
È impossibile non notare in questi mesi la definitiva vittoria delle star sportive su tutte le altre celebrità, che vengano da musica, cinema, serie tv, moda eccetera, mandati a casa dalle divinità dello sportswear. Fatto tutt’altro che nuovo, vero, ma ormai realtà definitiva e non più reversibile. I livelli sono molti, su tutti spicca un fatto indiscutibile: il regno è maschile (tuttora, purtroppo) così come lo è lo sguardo sugli atleti e il loro corpo, specie se passato sotto l’infallibile radar omoerotico.Niente di nuovissimo anche qui, ma fino a un certo punto. Si pensi per esempio allo sbarco sul mercato del cosiddetto shapewear, ovvero tutine molto molto strette (al posto dell’abbigliamento intimo comune), morbide guaine in grado di scolpire il corpo come quello di super-eroi a riposo. Stiamo parlando dell’arrivo della versione maschile del brand Skims, di proprietà di Kim Kardashian, o di Spanx.
Si diceva dello sport, però, anzitutto. A memoria, per iniziare, si dubita che un corpo come quello del tennista Carlos Alcaraz sia stato dissezionato in diretta dai social come sta avvenendo da molti tornei in qua. Torso, gambe, schiena e in particolare il clamoroso sedere dello spagnolo sono oggetto di migliaia di short YouTube e TikTok per milioni di scrollatori e scrollatrici seriali, in confronto ai quali l’ossessione nel decennio scorso per le gambone di Nadal era acqua fresca.
L’adesione dell’abbigliamento Nike in microfibra alla sua muscolatura, i frequenti cambi di maglietta specie senza maniche, l’ossessione per i suoi allenamenti di nuova concezione e la sua oggettiva veemenza hanno trascinato l’atleta in un incubo voyeuristico che durerà finché campa. La copertina acqua e sapone in maglioncino giallo che uscirà il 10 aprile sulla bibbia dello stile finto-etero internazionale, Fantastic Man, pone un sigillo ben marcato sulla questione.
Al secondo posto viene Matteo Berrettini, anche qui eroe dei cambi maglia (in questo caso lo sponsor è Boss) ma dalla bellezza e simpatie da cinema italiano classico, e ben superiori alla freddezza del gelido sicario Sinner (specie quando è avvolto tutto secco e nodoso nei toni di betulla, che l’immancabile Nike forse crea solo per lui). Sulla rampa sta salendo Flavio Cobolli, dalla tenerezza “Sapore di Mare”, incredibilmente fotogenica. Ovviamente superstar da sguardi lubrichi sono Alexander Zverev e soprattutto Jack “Hooker” Draper, oggetto di porno-memi impubblicabili.
La crescita del tenniswear (e del tennis in genere) è stata estremamente significativa negli ultimi anni, ma niente batte le clamorose multiple release delle magliette di calcio delle grandi squadre, in moltissimi casi assolutamente straordinarie quanto a design.
Il calcio
Le vendite sono pazzesche, date anche dal passaggio di molti alti manager di comunicazione pura dentro le alte dirigenze dei club (con solite partnership anche di Adidas, e in più Puma, Asics, Robe Di Kappa e pochi altri). Per non parlare delle quotazioni dell’usato, e dell’usato firmato dagli stessi giocatori in particolare. Grande apprezzamento va ai ragazzetti che a Porta Portese o simili fotografano le maglie vintage senza comprarle, le piazzano al volo su Vinted a 50 euro in più, le vendono al volo e solo dopo le pagano al prezzo iniziale, facendosi la giornata.
In assoluto le microfibre istoriate delle divise e il merchandising a 360 gradi si sono mangiati i giocatori, tra i quali pochi spiccano come identità autonome clamorose (a differenza degli allenatori, neurologicamente potentissimi e totali sex symbol anche oltre i sessant’anni). Le collaborazioni con marchi di nicchia si sprecano (fantastica quella della Roma con Aries due stagioni fa), e così un lavoro certosino sulla fanbase che vede i neo indonesiani miliardari del Como battere tutti. Per precisione della nuova brand identity, eleganza e incredibile marketing territoriale, che vende la destinazione internazionale – luxury e hollywoodiana – come esperienza incorporata al tifo, bicchieri di bollicine millesimate comprese. Genialità pura data dalla lucida vista da fuori, dove tutti vedevano sfiga e rami melanconici che pucciavano sull’acqua ferma. La leggenda vuole che il club mandi a ciascun/a debuttante a scuola in prima elementare uno scintillante quaderno del Como F.C.
Il calcio è sottoposto da tempo a una macelleria gay anonima su vari account – anzitutto brasiliani – capaci di visionare interi match al ralenti per beccare pacchi sporgenti o a penzoloni, muscolose chiappe che si incrociano negli scontri da ammonizione, momenti di spogliatoio trionfali.
Porzioni di corpo, perlopiù indistinguibili, come si diceva. Lo stesso vale per molti altri sport e per il rugby ovviamente, tutto su account quali l’imbattibile @athletejockstraps e simili, con strip pantaloncini in macrodettaglio, sgrovigli di polpacci, deliri di ogni tipo.
Questo il panorama iniziale. Pazzia, ma molto divertente e soprattutto oggettificante del maschio come mai era accaduto.
La vita attiva delle masse
A tutto questo si affianca in parallelo la crescita esponenziale (già segnalata su queste pagine almeno tre anni fa) dell’ activewear, specie legato al mondo più allargato dell’avventura, quasi esclusivamente di terra (a eccezione di quella velistica alla Luna Rossa, che regge bene). E che vede – con The North Face ormai uscito da secoli dalla natura – una crescita di Arcteryx senza precedenti, ormai passato ad abbigliamento urbano quotidiano chic. La stagione di Salomon continua solidissima. Seguono La Sportiva e, con progressione da capretta montana capocciona, Scarpa.
Esistono ovviamente realtà come Mammut in evidente crescita, ma in generale tutti i microbrand stanno migrando verso l’alto. Non ci sono star umane di rilievo: la suggestione active è progressismo di eleganza understated (come è sempre stato) privo di corpi noti. E infatti la passione del trekkingwear al posto dello sportswear tra ventenni e trentenni è in impennata (vedi dopo).
Fuori di ogni buon senso è il decollo ormai quinquennale della nordica Hoka, scarpe ammortizzate e coloratissime per il movimento in genere, assolutamente egemoni nella terza età che non molla.
Stessa cosa, ma meno potente, vale per Brooks, scarpe nate per correre ma deviate verso una sorta di Valleverde cool.
Niente batte il running, a proposito. È delirio vero. E felicemente unisex. Ovunque perfezionismo di stile e spesso corpo fasciatissimo, quindi nudo, ormai allontanatosi dalle pagliacciate fluo per approdare quasi a un monocromo per garantirsi una sorta di invisibilità urbana.
Ma, per fortuna, i punk anarchici della meravigliosa testata Mental Athletic stanno gettando solide basi tra chi invece crede nella fatica che potrebbe non portare a niente, nello stremo, nei piedi distrutti a causa di maratone. I running club, prima dignitosi, in qualche caso si stanno trasformando in bande di autocoscienza tra semidisgraziati. Nel complesso costruiscono un mondo reale e nel contempo un nuovo stile sportivo, sottile e bastardo, veramente straordinario.
Questo mondo complesso – ma dal volto estetico estremamente colto – corre di pari passo con la gravissima crisi economica e la decrescita dei consumi. Il che porta – come negli anni Settanta – a divertimenti a basso o nullo costo. In qualche caso l’investimento pur ingente è solo negli attrezzi di base ( la bicicletta in particolare, anche questo settore in vetta esponenziale, da due decenni ). Da qui il ritorno pur stiloso alle camminate e alle gite, unito a una forte consapevolezza dei fattori della salute, della nutrizione, della conoscenza del microbioma e dell’intelligenza di interi organi interni ormai acquisita.
La parte luxury
Esiste tuttavia un enorme segmento dello sportswear che ha dominato negli ultimi anni: la parte luxury, in mano ai soliti noti conglomerati francesi di ricconi e alla trita banda di mogul del settore sport: vedi la fascia alta delle sneaker di Nike in particolare, la potenza totale planetaria da secoli che tuttavia, dopo secoli di dominazione, scende di più del 10% da parecchi trimestri. Adidas sale in assoluto (grazie alle riedizioni di classici, essenzialmente) ma non ha grandi bestseller di alta gamma.
Uno sguardo alla strada sembrerebbe privilegiare le solite Balenciaga, soprattutto, D-Squared, qualcosa ancora di Gucci, persino McQueen, ecc. Ma la realtà è che si tratta di specchietti per vecchie/giovani allodole che i kids di periferia ancora cercano (ma per poco ancora) pronti a fare di tutto – furti di abbigliamento al volo compresi – per fare gli spacconi. Il mercato, da segnalazione recente e inequivocabile dell’affidabile bulletin Business of Fashion, è in perdita. Punto.
La verità – stante le previsioni di crescita degli analisti di mercato di quello che non a caso chiamano ormai sport&activewear – è che il mercato poveraccio ha buttato da tempo la spugna per trovare la sua immensa dignità da Decathlon. Un segreto di Pulcinella, chiaro a chiunque. Il gigante francese ha cose per tutti, e infatti montano in modo sano con progressione costante. E già dal punto di vista del design (brutale ma micidiale) del punto vendita è da tempo preparato/a alla Terza guerra mondiale e alle sue necessità, bunker compresi.
Oltre a questo, altrettanto consapevole, è ripreso tra i ragazzi il mercato dei mocassini di cuoio e in qualche caso degli stivali.
Basta gomma, dopo quasi quarant’anni di Do the right thing. Ce le si rimetteranno al volo, le scarpe da sport, quando ci sarà presto da correre per scappare agli Squadroni della Morte. O per darsi alla macchia, neo partigiani, su per le montagne.