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 2025  aprile 09 Mercoledì calendario

Lino Banfi e il corto sull’Alzheimer: «Mia moglie Lucia aveva il terrore di non riconoscermi più. Voleva che morissimo insieme, lo dissi anche al Papa»

Accettarlo è dura.
«Quando capisci che il tuo amore se ne sta andando, che devi soltanto accompagnarla alla morte, allora in quel momento perdi anche la fede e ti inchezzi forte. Ma poi ti rendi conto che non serve a niente, anzi. E preghi la Madonna che se la prenda presto, prima possibile, così smetterà di soffrire e tu con lei».
Lino Banfi, 88 anni, il re delle commedie all’italiana che per farci ridere ha spezzato tante noci del capocollo, stavolta ha girato un cortometraggio struggente per la canzone di Michele Bravi: Lo ricordo io per te. Il cantautore parla di Alzheimer e dei suoi nonni, Graziella e Luigi. Ma in fondo anche di Lucia, l’amatissima moglie di Lino, che di quello si ammalò nel 2016 e (anche) di quello morì, il 22 febbraio 2023.
C’è di mezzo la sua amica Mara Venier.
«Sì, mi ha parlato lei di Michele e del suo progetto. L’ho invitato a casa mia. “Lino, sono cresciuto con i tuoi film”. E io: “Beh, sei cresciuto bene, sarai alto due metri”. E ha un vocione bello forte. Per ridere gli ho raccontato che avevo molti impegni internazionali. Allora mi ha chiesto: “Quanto vuoi di cachet?”. E io: “Senti, raghezzo, io già prendo otto pillole al giorno, non voglio pure il tuo cachet, mi basta un cucchiaio di citrosodina».
Lei ora scherza, ma so che non è stato facile recitare questa parte.
«No. Perché è stato come rivivere l’ultimo anno della nostra vita insieme. Ogni tanto mi dimenticavo che accanto a me c’era un’attrice: Lucia Zotti, pensi, lavorava con me 60 anni fa alla radio di Bari, prendevo il pullman da Canosa. Ma io davanti agli occhi rivedevo la mia Lucia».
I primi segnali della sua malattia.
«Un giorno stavamo parlando, ad un tratto lei si bloccò, lo sguardo perso nel vuoto. “Beh, allora?”, la spronai, pensando che si fosse solo incantata. “Allora cosa?”. “Che mi stavi dicendo?”. Rimase in silenzio a lungo. Poi riprese il discorso».
Ma lei, Lino, intuì.
«Ne parlai con i miei figli. Rosanna mi rivelò: “Sai che giorni fa le è successo anche con me?”».
Anche Lucia sapeva.
«Sì, era cosciente di cosa le stesse capitando. “Questo te l’ho già chiesto, vero?”. Il professor Di Lazzaro, grande neurologo, mi raccomandò di non arrabbiarmi. “Finga che sia la prima volta che sente quella frase, anche se gliela ripete ogni giorno”. Col tempo sono diventato un luminare pure io».
Aveva paura.
«Di non riconoscermi più, era la sua preoccupazione più grande. La consolavo scherzando. “Non importa, vuole dire che ci ripresenteremo un’altra volta. “Molto lieto, Lino”. “Piacere, Lucia”. “Poi ci fidanziamo, diventiamo amanti, ci vediamo di nascosto e facciamo la fuitina”».
Come andò il vostro vero primo incontro?
«Eravamo due ragazzini. Io appena uscito dal seminario, lei faceva pratica da parrucchiera e rammendava le calze. La avvicinai: “Signorina, ti posso parlare?”. “Ma vattìnn”. Mi cacciò, invece le ero piaciuto, lo confessò dopo. Siamo stati sposati 61 anni, più 10 di fidanzamento».
Il momento più terribile.
«Quando da Alzheimer il male diventò un tumore al cervello, con crisi epilettiche, fino alla fine. Lucia a quel punto non riconosceva più nessuno, non parlava più, la imboccavo come una bambina piccola. Non viveva, vegetava. I medici dell’hospice più che i malati devono aiutare i familiari a convivere con la disperazione».
Le ultime parole.
«Non ci fu più tempo per parlare, solo dei lunghi sguardi, delle strette di mano, delle lacrimucce».
Lucia le chiese un favore.
«“Se vai dal Papa, che sta più vicino a Dio, domandagli di farci morire insieme, nello stesso momento. Perché io senza di te non ci so stare e tu che faresti senza di me?”».
La accontentò.
«Quando andai da papa Francesco, gli confidai il desiderio di Lucia. Rispose. “Magari avessi questo potere, Lino. Però pregherò per voi”».