Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  aprile 09 Mercoledì calendario

Il centrodestra torna all’attacco: determinati ad abolire i ballottaggi

Il centrodestra insiste. Alle elezioni comunali il candidato sindaco che prende più del 40 per cento (ma non il 50) verrà eletto direttamente, senza ballottaggio. Stoppato dal presidente del Senato Ignazio La Russa il tentativo di inserire la modifica della legge in vigore con un emendamento al dl elezioni, i partiti di governo rilanciano imboccando un’altra strada.
Lo annunciano in una nota congiunta i capigruppo a Palazzo Madama Lucio Malan (FdI), Massimiliano Romeo (Lega), Maurizio Gasparri (FI) e Michaela Biancofiore (Nm): «Il ballottaggio alle amministrative sarà abolito. Il centrodestra su questa scelta è unito e determinato. Abbiamo posto il problema in varie sedi. Ci è indifferente lo strumento con cui raggiungere questo traguardo e siamo ben consapevoli che questa scelta non può riguardare il turno elettorale, peraltro non molto esteso, del 25 maggio prossimo». Per questo è stato depositato un disegno di legge ad hoc.
«La motivazione è ben chiara – spiegano —. Al ballottaggio partecipa un numero limitato di elettori e spesso chi vince prende meno voti del candidato che si classifica secondo al primo turno. C’è, quindi, un problema di legittimazione democratica e di partecipazione». Di parere opposto i partiti di centrosinistra che gridano alla forzatura delle regole democratiche.
Dentro il centrodestra, invece, resta aperta la questione della richiesta di un ritorno di Matteo Salvini al Viminale. Guido Crosetto è tranchant: «Non mi occupo di politica interna, ma di Difesa. Ne ho già abbastanza». Da parte degli alleati non arrivano aperture su una questione che la stessa premier Giorgia Meloni aveva giudicato inesistente solo tre mesi fa.
Salvini nel pomeriggio di lunedì aveva lasciato trapelare di non voler tirare la corda più di tanto, anche per i buoni rapporti con Matteo Piantedosi. E ieri ha chiarito: «Con lui parlo tutti i giorni e lavoriamo benissimo». Così, tocca ad altri esponenti del vertice leghista tenere in piedi la richiesta. Dopo il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, ecco il vicesegretario Claudio Durigon: «Salvini ha subito delle ingiustizie. Si ricordino le chat di Palamara con i giudici che chiedevano di fermarlo, e poi ha dovuto subire non un processo ma due. Per l’ingiustizia che abbiamo patito dobbiamo trovare la soluzione per portarlo al ministero, ma non significa che Piantedosi stia facendo male, anzi. Questa è una cosa che comunque valuteranno i due Matteo con Meloni quando e se sarà il momento».
Ma le risposte che arrivano non sono confortanti per la Lega. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (FdI) lo dice in modo cortese: «Ma noi contiamo che il ministro, vicepremier, continui a fare benissimo il lavoro che sta facendo». Il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri è più asciutto: «Il Viminale è già assegnato a un’altra persona».
La Lega, intanto, non abbandona la linea di contrapposizione alla Commissione Ue, anche se questo va a sbattere con le posizioni degli alleati di centrodestra. Sintomatica la mozione che i leghisti presenteranno negli enti locali e a Bruxelles che invita a bocciare il piano presentato da Ursula von der Leyen (approvato da Forza Italia, mentre FdI si è astenuta). Consapevoli dei possibili attriti, fonti della Lega hanno fatto circolare una nota che dice che la mozione «a Roma servirà da spunto di riflessione con gli alleati per arrivare ad una sintesi comune all’insegna del buon senso e della critica costruttiva alla burocrazia europea». Una perifrasi che non riesce a nascondere le differenze che permangono.