repubblica.it, 9 aprile 2025
Non sparate sull’unicorno
Oggi è la Giornata mondiale dell’unicorno, una delle poche meraviglie di questo e dell’altro mondo che non fa paura. Cosa rara visto che, solitamente, le meraviglie somigliano alle catastrofi.
È Lord Voldemort che, in Harry Potter e la pietra filosofale, attaccandosi come un fungo al corpo di un fedele servitore, un accolito, viola i confini della Foresta Proibita e cerca e uccide gli unicorni per berne il sangue. Il sangue degli unicorni è denso, ed è argentato. A Harry Potter ne verrà rivelato il segreto: «Soltanto uno che non ha niente da perdere e tutto da guadagnare commetterebbe un delitto del genere. Il sangue dell’unicorno ti mantiene in vita anche se sei a un passo dalla morte, ma il prezzo da pagare è tremendo. Poiché hai ucciso una cosa pura e indifesa per salvarti, dall’istante che il sangue tocca le tue labbra non vivrai che una vita a metà, una vita maledetta». Tra i tanti delitti di cui si è macchiato Voldemort, c’è anche aver ucciso l’unicorno.
Se J.K. Rowling, la geniale autrice della saga dei giovani maghi di Hogwarts, pensasse a ciò che ha scritto sugli unicorni – e noi le abbiamo creduto, non si uccidono – e a ciò che gli unicorni rappresentano per la comunità queer, probabilmente non sosterrebbe posizioni transfobiche. Ironia o conferma che gli autori non sono sovrapponibili alle loro opere. E infatti, i libri di Harry Potter rimangono irresistibili, intelligenti, magici, il sangue di unicorno un antidoto a qualsiasi veleno, il crine di unicorno sostanziale per le bacchette magiche e il corno per le pozioni.
È chiaro che la maledizione dell’unicorno in Harry Potter somiglia alla maledizione dell’albatro ne La ballata del vecchio marinaio di Coleridge ma ciò non deve stupire giacché la grande letteratura si somiglia e si appartiene. L’unicorno, tra gli animali fantastici sta tra le chimere, le arpie, le sirene, Falkor de La storia infinita che è cane, scimmia e drago (prima di Fratelli d’Italia e Gioventù Nazionale c’è l’ibrido, l’indefinito, il mescolato, lo straniero, lo straniato).
L’unicorno è un cavallo con lungo corno sulla fronte, barba di caprone, coda di leone e zoccoli bovini. Il corno sulla fronte è tortile e acuminato, somiglia a quello dei narvali che nuotano nei mari. È tutto e il contrario di tutto. L’unicorno non ha contorni certi e così è ragionevole che sia una delle immagini associate alla comunità queer. D’altronde o l’identità è un unicorno o è asfittica. O si riesce a vivere nelle contraddizioni, le proprie, o non c’è speranza di vita.
Gli unicorni esistono perché esistiamo noi quando compariamo davanti a un altro e, anche se non sappiamo cosa fare, scegliamo di non far paura. Gli unicorni tendono a estinguersi in un mondo che vuole spaventare. Nonostante le magliette, i pupazzetti, le caramelle gommose, ci sono pochi unicorni in questo nostro presente, meglio pensare che da qualche parte, essi pascolano.
Scrive Marco Polo – anzi detta a Rustichello da Pisa, sono gli anni Novanta del Duecento e sono in galera, a Genova – che arrivato nell’isola di Giava si trova davanti a elefanti e rinoceronti (non meno grandi nei primi) e «i loro rinoceronti hanno la pelle simile a quella dei bufali, le zampe come gli elefanti, un grosso corno nero al centro della fronte, ma non è con questo che possono far male, ma con la lingua, che è coperta di lunghissime spine, perciò è servendosi della lingua che infliggono le ferite più sanguinose. La testa assomiglia a quella del cinghiale selvatico, e la tengono costantemente abbassata a terra, preferendo sguazzare nelle paludi e nel fango: a vederla, è davvero una bestia molto sozza, di una specie completamente diversa da quella che raccontano dalle nostre parti, di cui si favoleggia che una fanciulla la possa prendere in grembo! Proprio il contrario!». A Giava, insomma, Marco Polo si rende conto che l’animale con il corno simbolo di purezza (o irrequietezza domata), è in realtà il suo opposto, sguazza nelle paludi e nel fango. Perché la purezza, si sa, può vivere anche di queste manifestazioni.
La fanciulla che tiene tra le braccia, oltre duecento anni dopo Marco Polo a Giava, un liocorno, è di Raffaello Sanzio. Dama col liocorno di Raffaello – di solito alla Galleria Borghese di Roma – fino al 22 giugno è esposta a Napoli, alle Gallerie d’Italia.
Si potrebbe parlare di Lady Gaga e degli unicorni o del glitter, delle stelline e delle ricette con carne e latte di unicorno che si leggono in rete. Invece, nonostante abbia cominciato con Harry Potter, conviene assumersi la responsabilità della proprio tempo e tornare all’uccisione e celebrazione dell’unicorno in Labyrinth di Jim Henson (1986, prodotto da George Lucas) con David Bowie che interpreta il re dei Goblin e Jennifer Connelly sedicenne che, risolvendo il labirinto, salva il fratello rapito. Aiutata anche da un unicorno. E a una canzone il cui titolo è I due Liocorni («Ci son due coccodrilli..») che Roberto Grotti compone nel 1976 e che tutti abbiamo cantato. Dove si intuisce che, con un po’ più di pazienza nel caricare la sua arca, Noè avrebbe impedito l’estinzione degli unicorni. L’assoluto non li tollera.
E così, in questa Giornata mondiale dell’unicorno vanno, mi pare, ricordate almeno due cose e cioè cercare di essere una meraviglia che non spaventa, e avere coscienza che si può vivere solo nel cambiamento – altrimenti i privilegi non diventano mai diritti.