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 2025  aprile 09 Mercoledì calendario

Scarpe sportive: il punto dolente della guerra tariffaria di Trump

Scarpe da ginnastica a stelle e strisce ma sempre più spesso fabbricate in Vietnam. Trovare l’etichetta “Made in Vietnam” in un modello Nike o Puma è ormai la normalità. Il Vietnam è infatti diventato il centro mondiale della produzione di scarpe sportive. Peccato che, contemporaneamente, sia soggetto ad alcuni dei dazi statunitensi più punitivi imposti dal presidente Donald Trump la scorsa settimana. Il presidente degli Stati Uniti ha detto chiaro e tondo di voler riportare la produzione sulle coste americane. Secondo il parere di alcuni analisti, riportato dal Financial Times, l’effetto più probabile però sarà un aumento dei prezzi a danno degli appassionati del genere sneakers. Questo poiché attualmente gli Stati Uniti non dispongono di fabbriche con le attrezzature specializzate per realizzare scarpe da corsa e di lavoratori esperti come quelli asiatici.
I marchi legati al Vietnam
La Nike con sede negli Stati Uniti ha iniziato la produzione in Vietnam nel 1995, attraverso cinque fabbriche di calzature, diventando uno dei primi investitori stranieri del paese e contribuendo alle sue esportazioni e alla sua crescita economica. Quindi negli anni ha creato migliaia di posti di lavoro e ora ha 130 fabbriche fornitrici in Vietnam che producono scarpe, abbigliamento e attrezzature; il Paese è responsabile della metà della sua produzione di calzature. Anche il colosso Adidas acquista ben il 39% delle sue scarpe dal paese del sud-est asiatico.
Le alternative al Vietnam
Secondo l’American Apparel & Footwear Association, la nuova tariffa del 46 per cento di Trump si aggiungerà ai dazi del 20 per cento già pagati sulle importazioni statunitensi di scarpe sportive con tomaia in tessuto. E se anche i produttori cercheranno dii aprire fabbriche di scarpe da ginnastica in nuovi paesi, ci vorranno almeno due anni. Quali potrebbero dunque essere i “nuovi Vietnam” specializzati in scarpe sportive? Adam Cochrane, analista della Deutsche Bank, suggerisce Messico, Brasile, Turchia ed Egitto come possibili alternative al Vietnam come hub manifatturieri. Tuttavia il passaggio non sarà così immediato: a causa della lunghezza di contratti degli ordini con i fornitori, ci vorranno dai 18 ai 24 mesi prima che una decisione si traduca in un cambiamento reale. Inoltre, Trump ha imposto le cosiddette tariffe reciproche a un tasso minimo del 10 percento su praticamente ogni partner commerciale. Per i principali hub della calzatura come Cina e Indonesia, le nuove tariffe sono più del triplo.
Il crollo di Nike
Nike nel suo rapporto trimestrale ha spiegato: “Stiamo navigando attraverso diversi fattori esterni che creano incertezza e volatilità nell’ambiente operativo, inclusi, ma non limitati a, dinamiche geopolitiche, nuove tariffe, regolamentazione fiscale e tassi di cambio fluttuanti”. Nell’ultima settimana le azioni dell’azienda sono crollate al minimo degli ultimi otto anni, poiché gli investitori si sono spaventati per i costi associati ai nuovi dazi di Trump. Cochrane ha stimato che Adidas e Puma, altro marchio con sede in Germania e con vaste attività produttive in Vietnam, avrebbero dovuto aumentare i prezzi negli Stati Uniti di circa il 20 percento per mantenere i margini di profitto lordi dopo i dazi, sebbene gli aumenti dei prezzi potrebbero distribuirsi nel tempo per limitare i danni alla quota di mercato e ai profitti operativi.
Le differenze con il primo Trump
Il Vietnam aveva ricevuto una nuova ondata di investimenti manifatturieri durante il primo mandato di Trump, quando ha iniziato una guerra commerciale con Pechino che ha spinto le aziende a spostare la produzione lontano dalla Cina. I fornitori dei produttori di calzature in Vietnam non sono solo aziende locali, ma anche gruppi sudcoreani e taiwanesi che operano lì. La migrazione verso il Vietnam ha portato il suo surplus commerciale con gli USA a lievitare a 123,5 miliardi di dollari l’anno scorso, il terzo più grande dopo Cina e Messico. La Casa Bianca ha utilizzato i dati della bilancia commerciale per calcolare le tariffe “reciproche” di ciascun paese. L’alternativa è che i marchi di scarpe da ginnastica potrebbero dover “ridurre i volumi degli ordini e reindirizzare più prodotti verso Europa, Medio Oriente e Cina”, il che potrebbe comportare una maggiore concorrenza in quelle regioni. Negli Stati Uniti, dove il 99 per cento delle calzature viene importato, il mercato potrebbe diventare più simile all’Unione Sovietica, quando i residenti russi pagavano ai visitatori stranieri un generoso sovrapprezzo per i jeans Levi’s.