ilfattoquotidiano.it, 9 aprile 2025
Dazi, pioggia di vendite sui titoli di Stato Usa: i rendimenti volano. Crisi finanziaria in arrivo?
I titoli di Stato Usa non sono più visti come un porto sicuro. La guerra commerciale contro tutti avviata da Donald Trump sta scatenando quella che potrebbe rapidamente trasformarsi in una crisi finanziaria e del debito. Oltre ai listini azionari a picco e al dollaro – valuta di riserva mondiale – che si indebolisce, in queste ore a tenere banco sono le tensioni sui Treasury: su quelli a lunga scadenza è in corso una “svendita” a ritmi che non si vedevano dalla crisi Covid. Il rendimento di quelli trentennali in mattinata è arrivato a superare il 5%, in aumento di 30 punti da inizio settimana, mentre il decennale è al 4,35%, su di 36 punti. In parallelo i prezzi, inversamente correlati ai rendimenti, crollano. E l’indice che monitora la volatilità sul mercato dei Treasury è balzato al livello più alto da ottobre 2023.
È innanzitutto la conseguenza del timore che i dazi reciproci appena entrati in vigore e quelli del 104% annunciati nei confronti della Cina mandino gli Stati Uniti in recessione e al tempo stesso spingano l’inflazione, lasciando la Federal reserve senza armi per intervenire. Ma c’è di più. I Treasuries sono solitamente considerati asset sicuri in cui rifugiarsi durante le turbolenze di mercato. E nelle ultime settimane era successo proprio questo: svendita di azioni, corsa ai bond del Tesoro. Ma da lunedì il caos scatenato dalle misure protezionistiche di Washington, calcolate con una formula senza alcun senso economico, e i dubbi su quali siano i reali obiettivi di Trump e dei suoi litigiosi consiglieri, stanno mettendo in discussione quello status, secondo alcuni analisti.
Potrebbe aver pesato anche il bisogno di liquidità per far fronte a “margin call“, cioè la richiesta – a fronte di forti perdite – di integrare le garanzie prestate per fare trading a credito. Ma spesso, come ha sottolineato Reuters, gli hedge fund usano proprio i titoli di Stato come collaterale, per cui si è verificato anche l’effetto opposto: il calo dei prezzi ha ridotto il valore delle garanzia facendo scattare margin call. Se la tendenza si consolidasse sarebbe, per usare un eufemismo, un gigantesco grattacapo per un Paese che avendo sempre avuto estrema facilità a finanziarsi ha accumulato un debito da 36mila miliardi di dollari, pari al 123% del pil, destinato a raggiungere il 156% del pil entro il 2055 secondo il Congressional budget office.
Il premio Nobel Paul Krugman, nella sua newsletter, cita altri dati che ricordano la “corsa al cash” di inizio pandemia e parla esplicitamente di “crisi finanziaria incipiente“. “Lo scenario da incubo, che abbiamo visto realizzarsi nel 2008″, scrive, “è che il calo dei prezzi delle attività finanziarie provochi una corsa alla liquidità, che a sua volta porta a svendite che fanno scendere ulteriormente i prezzi, e l’intero sistema imploda. Improvvisamente, quello scenario non sembra più impossibile”. Anche Larry Summers, ex segretario al Tesoro con Bill Clinton, ha scritto su X che “Gli sviluppi delle ultime 24 ore suggeriscono che potremmo essere diretti verso una grave crisi finanziaria, interamente provocata dalla politica tariffaria del governo statunitense”.
La situazione potrebbe essere ancora più complicata se arriverà conferma che, come paventa qualche osservatore, Pechino in risposta all’offensiva commerciale Usa abbia già iniziato a liquidare una parte dei quasi 800 miliardi di dollari di titoli del Tesoro Usa che ha in portafoglio (è il secondo detentore dopo il Giappone) per influenzare l’andamento delle prossime aste sulle scadenze e 10 e 30 anni previste per oggi e domani. È considerata un’”opzione nucleare” ad alto rischio per la stessa Cina, che vedrebbe calare il valore degli asset che detiene in dollari, pari a circa 3mila miliardi. Ma di sicuro sarà una leva importante nelle trattative con Washington.
Intanto il fatto che l’effetto domino stia travolgendo anche i bond mette in seria difficoltà la Casa Bianca. Dall’inizio del secondo mandato di Trump sia il presidente sia il Segretario al Tesoro Scott Bessent hanno rivendicato i bassi rendimenti sui titoli di Stato e il credito conveniente – che avvantaggia chi ha mutui e prestiti – come una grande vittoria, che controbilancia le ultime pesanti perdite sui listini. Ma ora la musica sta cambiando. Bessent per ora getta acqua sul fuoco attribuendo le turbolenze ad “alcuni grandi operatori con indebitamento elevato”, sostenendo che dietro non c’è “nulla di sistemico” e Pechino non c’entra.
Il rialzo dei rendimenti Usa ha influenzato inevitabilmente i rendimenti dei bond nel resto del mondo. Se i Bund tedeschi tengono, col decennale poco mosso al 2,6%, i titoli di Stato dei Paesi più indebitati stanno andando sotto stress: i Btp italiani salgono al 3,91% con conseguente allargamento dello spread a 130 punti base. Stesso discorso per i bond francesi e spagnoli. Questo aumenta la pressione sulla Bce perché tagli i tassi di almeno un quarto di punto la prossima settimana. La questione chiave è se a quel punto le prospettive saranno così fosche da costringere l’Eurotower a ricorrere a tagli più consistenti per stimolare l’economia o offrire misure di sostegno alla liquidità.