Avvenire, 9 aprile 2025
«Politiche restrittive sui richiedenti asilo» Negati diritti fondamentali anche in Italia
L’accesso alla protezione sempre più ristretto. Le scelte politiche europee e italiane che «colpevolizzano i processi migratori» e «esternalizzano le azioni di contrasto» a Stati terzi «in cui vengono violati i diritti umani». E poi le attese infinite di procedure burocratiche che diventano «un limbo giuridico». Tutto ciò non può che aumentare la vulnerabilità tra i rifugiati. E porta spesso all’esclusione dall’accesso al diritto d’asilo. Anche se solennemente affermato sulla carta all’articolo 10, comma 3, della nostra Costituzione, prima che nelle convenzioni internazionali, a cominciare da quella di Ginevra.
È un quadro con più ombre che luci quello che tratteggiato nelle oltre 100 pagine dal Rapporto annuale 2025 del Centro Astalli, che grazie a 800 volontari nelle sue strutture di 8 città – Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Vicenza, Padova, Palermo, Trento – ha aiutato oltre 24 mila persone in fuga da guerre, violenze, miseria.
A presentare il dossier, nella Curia generalizia della Compagnia di Gesù, a due passi da a San Pietro, è padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli della rete del Jesuit Refugee Service – assieme al cardinale Vicario di Roma, monsignor Baldassarre Reina. Nel 2024 sono stati 65 mila i pasti nelle mense (42 mila in convenzione con Roma Capitale) per oltre 2.500 persone, 10 mila i farmaci distribuiti, in collaborazione col banco Farmaceutico, oltre 1.000 le persone accolte nella rete territoriale, 900 solo a Roma quelle passate per lo sportello di orientamento al lavoro, 1.100 quelle che hanno ricevuto un accompagnamento sociale. Nonostante una flesione degli arrivi via mare, nel 2024 sono cresciuti i richiedenti asilo con bisogni primari come cibo, salute e casa.
E per padre Ripamonti «l’implementazione del Patto sulla migrazione e l’asilo adottato nel 2024 dal Consiglio europeo a maggio – spiega – può portare a un arretramento del diritto d’asilo, per l’aumento delle procedure accelerate alla frontiera e un conseguente aumento del numero delle persone detenute in modo arbitrario».
Allo stesso modo, «la proposta dell’11 marzo scorso della Commissione europea di un regolamento volto a creare un sistema “equo e fermo” per il rimpatrio in Paesi terzi, secondo tutti gli uffici europei del JRS “porterà a significative violazioni dei diritti umani, aumentando la sofferenza di coloro che cercano una vita migliore”». Così i Centri in Albania sono giudicati come «un artificio legale» che sostiene «il principio di deportabilità».
Il cardinale Baldo Reina confessa la sua inquietudine: «Anch’io avverto una forte preoccupazione per il clima che si respira e le scelte che si stanno facendo. Abbiamo sognato un’Europa grande, penso a De Gasperi, Schuman, Adenauer, dei popoli e delle culture». «A me piacerebbe – dice il Cardinale- se chi grida al riarmo pensando sia la via della sicurezza, qualche volta riuscisse a vedere gli occhi di donne, uomini, bambini che fuggono da calamità, subiscono torture, viaggiano sui gommoni. Questo cambia la prospettiva. Non per pietismo, ma per tornare alle sorgenti dell’umanità. Fino a quando mancherà la pedagogia degli sguardi – avverte – continueremo a pensare strategie solo con il valore dell’economia.E la fabbrica delle armi, ha detto il Papa più volte, è la più riuscita, la più quotata».
Padre Ripamonti insiste sulla burocrazia e i ritardi che mortificano la dignità delle persone: «La protezione speciale, ad esempio: può essere rinnovata, ma non convertita in permesso di lavoro. E se non viene più rinnovata? Siamo noi a creare l’irregolarità». O i tempi di attesa: fino a un anno e mezzo per il riconoscimento del diritto di asilo, altrettanto per avere un documento: «Sono anni “non vissuti”, un parcheggio durante il quale non si può studiare, formarsi, lavorare».
La ragione di questa illogicità? Il presidente del Centro Astalli fa un’ipotesi: «Allungare le procedure forse serve ad alimentare quel caos che poi legittima certe posizioni politiche». L’invito è allora a «uscire dalle polarizzazioni politiche divisive, per affrontare la gestione del fenomeno migratorio col buon senso, prendendo atto della realtà. Ad esempio delle classi scolastiche con tanti bambini che solo la legge non vuole riconoscere come italiani. In un paese come il nostro afflitto da una grave denatalità».