corriere.it, 8 aprile 2025
Napoli e il rischio di diventare una Disneyland per turisti: le offerte di affitti brevi sono il triplo di Venezia. Ipotesi ticket d’ingresso
La comitiva dei turisti attraversa piazza San Domenico Maggiore e si affretta verso il monastero di santa Chiara e via Toledo; si contende a fatica lo spazio con un gruppo che arriva in senso opposto e che è inseguito da un «pazzariello» che offre riti per togliere il malocchio. Molti di loro divorano tranci di pizza «a portafoglio» o porzioni di «cuoppo» acquistate lungo l’infinito susseguirsi di friggitorie e locali di street food che costellano il centro storico. Un «mordi e fuggi» frenetico, che si ripete costantemente per tutto l’anno e che solo dieci anni fa a Napoli era del tutto inconcepibile. Ed è l’immagine perfetta dell’esplosione internazionale del «brand Napoli». Un successo a cui concorrono il Cristo Velato e le fiction ambientate sotto il Vesuvio, i tesori d’arte ma anche gli stereotipi che rischiano di intrappolare la città in un eterno passato.
L’iperturismo è un fenomeno che nel corso dei decenni ha scavato i connotati a città come Venezia e Firenze, che ha contaminato anche quiete località dolomitiche. Ma a Napoli l’economia delle vacanze ha avuto un decollo verticale, non assimilabile a quello di altre parti d’Italia. E sta spaccando la città tra favorevoli e contrari al punto da invocare contromisure urgenti: il blocco delle offerte di affitti brevi su Airbnb o altre piattaforme (richiesta dei comitati di abitanti del centro storico), il ticket d’ingresso per visitatori giornalieri (richiesta della Confcommercio), lo stop all’apertura di locali di street food (delibera già adottata dall’amministrazione comunale).
Occorre armarsi di pazienza, esaminare i numeri ed immaginare di trasferirli negli spazi angusti e fragili del centro storico di Napoli. Nel 2024 le presenze turistiche sono state 14,5 milioni (dato dell’Osservatorio del Comune), con una crescita del 15% rispetto all’anno precedente e addirittura del 33% su due anni prima. La previsione per il 2025 è di toccare quota 17 milioni. Un turismo in gran parte low cost che si è fatto spazio nei quartieri storici (patrimonio Unesco). A gennaio 2025 sulle piattaforme digitali c’erano 15.051 offerte di camere e alloggi per turisti, il triplo di Venezia. Dieci anni fa erano un migliaio. Impensabile che una rivoluzione di queste dimensioni non diventasse un’onda d’urto.
«È un modello che estrae ricchezza dai territori senza redistribuirla. Una monocoltura dagli elevati costi ambientali e sociali, che provoca la progressiva espulsione degli abitanti» hanno scritto Anna Fava e Alessandra Caputi sul sito Critica Urbana. Alfonso De Vito è invece un operatore sociale, animatore del comitato «Restiamo abitanti» protagonista di iniziative pubbliche volte a impedire che il centro di Napoli si trasformi in un unico esteso albergo diffuso: «Le case disponibili per i residenti sono crollate di oltre la metà – racconta – e gli sfratti esecutivi, dato certificato dalla prefettura, hanno superato quota 10.000. Alloggi per i quali si pagavano 1.100 euro al mese oggi sono messi sul mercato anche a 2.300. E tutto questo avviene in zone della città dove il tasso dei residenti era del 90% e le case vuote solo il 10». Le famiglie – secondo l’analisi dei comitati – non hanno soluzioni alternative poiché le zone della città più periferiche sono già sovraffollate. Per il movimento «Restiamo abitanti» si impone una scelta immediata: il blocco di nuove autorizzazioni per alloggi a fini turistici.
Circola una proposta – non ancora ufficializzata – che prevede di fissare al 30% la porzione di alloggi da riservare ai turisti in ogni singolo quartiere di Napoli. «Una proposta su cui si può discutere» dichiara Agostino Ingenito al vertice dell’associazione Abbac (Associazione bed&breakfast e affittacamere). «Ma la parte di case riservate ai turisti è ben lontana da quel tetto del 30%» aggiunge. E difende energicamente il modello turistico, a partire dal diritto costituzionale di disporre come meglio si crede di una proprietà privata: «È l’unica alternativa per la città alla sparizione dell’industria e si è rivelata una fonte di reddito per migliaia di famiglie: l’85% delle offerte su Airbnb sono fatte da piccoli proprietari che hanno migliorato il patrimonio edilizio». Ed elenca altre ricadute che l’arrivo in massa di visitatori ha avuto sulla città: «Zone come i Quartieri Spagnoli o il rione Sanità erano impossibili da frequentare, oggi sono mete di visitatori».
Casomai occorre aggiungere un’altra riflessione: i milioni di turisti non rischiano di condannare Napoli ai suoi eterni luoghi comuni (la pizza e il mandolino, il basso degradato e il presepe, san Gennaro e Maradona)? Non finiscono per compiacersi solo di una Napoli-Disneyland «sgarruppata» e da cartolina? «I dati e la realtà ci dicono il contrario» è convinta Teresa Armato, assessora al turismo del Comune di Napoli: «Dopo il Covid i musei e i luoghi d’arte della città hanno registrato una crescita di biglietti anche del 90%, dunque è l’offerta culturale a fare da calamita. E anche quella gastronomica». Dato quest’ultimo certificato dal sito Spectator Index che per il 2024 ha incoronato Napoli come città al primo posto nel pianeta per qualità del cibo.
Introdurre correttivi, spostare l’offerta fuori dal centro storico: questa è la linea tracciata da Teresa Armato per governare l’esplosione turistica: «Dal 2022 ci siamo accorti degli effetti che stava comportando il successo del brand Napoli, assieme ad una indubbio sviluppo e crescita: ci siamo orientati a rinforzare servizi come il trasporto pubblico, la raccolta dei rifiuti, la sicurezza che sono andati a vantaggio del turista ma anche della cittadinanza». Ma come scongiurare il Far West degli affitti brevi? «I dati ci indicano - prosegue l’assessora – che l’emergenza riguarda due soli quartieri della città, Pendino e San Giuseppe. Lì servono limiti mentre si può orientare l’offerta verso altre zone della città».