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 2025  aprile 08 Martedì calendario

L’ombra di Mosca dietro gli attentati in Germania: «Ricerche precise da indirizzi russi prima degli attacchi»

Per la prima volta, l’ipotesi che dietro gli attentati pre-elettorali ci sia stata una mano russa viene fatta esplicitamente in Germania.
La tv pubblica ZDF, domenica sera, ha mandato in onda un servizio in cui si dice che quattro giorni prima dell’attentato a Mannheim, il 31 maggio 2024 – contro l’esponente dell’estrema destra Michael Stürzenberger, alla vigilia delle elezioni europee – sono state fatte ricerche da diversi account localizzati in Russia. Alcune di queste avevano per oggetto proprio «Michael Stürzenberger», un radicale tribuno anti-Islam bavarese, che avrebbe dovuto tenere un comizio il 31 maggio. Le ricerche contenevano parole chiave come «Attacco con il coltello a Mannheim».
L’attentato, compiuto dal 26enne afghano Sulaiman Ataee, avvenne realmente ed ebbe larga eco: fu ucciso un poliziotto che intervenne a difesa di Stürzenberger e quattro persone furono ferite.
Da lì, in Germania è iniziata una lunga scia di attacchi terroristici, alcuni alla vigilia di importanti appuntamenti politici. Ieri, un portavoce della polizia ha confermato all’AFP che il governo sta indagando su «possibili indizi di un’influenza mirata dall’estero» e che la questione «viene presa seriamente». E il presidente della commissione di sorveglianza dei servizi al Bundestag, il verde Konstantin von Notz, ha sollecitato un’inchiesta.
Le ricerche sulle telecamere nella piazza
Come hanno fatto persone dietro ad account in Russia a sapere, con quattro giorni d’anticipo, che l’attentato sarebbe avvenuto e, tra tutte le città tedesche, proprio a Mannheim?
Non è l’unico elemento anomalo. A parte l’indicazione di quello che poi sarebbe stato il bersaglio, Stürzenberger, dagli stessi indirizzi IP è stato controllato anche dove fossero piazzate le telecamere pubbliche nella piazza dell’aggressione. A volte il caso sembra proprio avere un forte potere predittivo.
I sospetti non ufficiali
L’inchiesta della tv tocca un argomento molto delicato, su cui nessun esponente del governo è finora intervenuto. Ma qualcosa in pubblico è trapelato lo stesso. Un articolo di marzo su Foreign Affairs, a firma di Andrei Soldatov e Irina Borogan, cita un alto ufficiale dell’intelligence tedesca che, in forma anonima, afferma come nella sua agenzia si ritiene che «agenti dei servizi di sicurezza russi potessero aver istigato questi attacchi allo scopo di aumentare il sostegno all’estrema destra, che si oppone all’aiuto tedesco all’Ucraina».
Non è l’unica traccia. Sia il timing che l’esecuzione degli attentati avevano sollevato, tra gli osservatori, delle speculazioni.
Quello di Monaco, compiuto da un bodybuilder afghano a poche ore dall’apertura della Conferenza della Sicurezza (in cui poi parlò JD Vance), ha colpito una manifestazione sindacale in una città sotto massima sicurezza: il corteo era protetto e chiuso da una gazzella di polizia, e la manovra è stata elaborata, ben studiata.
L’attentato di Berlino, a 36 ore dalle elezioni politiche del 23 febbraio, ha colpito un turista spagnolo al memoriale dell’Olocausto, il luogo più simbolico della capitale: l’attentatore, un siriano, è poi tornato sul luogo del delitto. Entrambi hanno massimizzato l’impatto politico della paura, dell’insicurezza e dell’odio anti-islamico.
L’islamismo e i russi
Tutti gli attentati sono originati nella nebulosa del jihadismo e dell’Isis. Di recente, però, proprio i legami dei jihadisti con i russi sono finiti sotto la lente d’ingrandimento. A gennaio, due afghani residenti in Germania sono stati accusati di far parte di una rete che aveva compiuto attacchi, nel loro paese d’origine, su richiesta dei servizi segreti russi. Un terzo afghano, membro della stessa rete, è stato respinto alla frontiera polacca già ad aprile 2024. Quanto all’Isis, è utile ricordare come le regioni in Siria sulle quali ha regnato il Califfato siano state riconquistate nel 2017 da Assad grazie al sostegno di Mosca: che ha mantenuto sul terreno una ben documentata struttura militare e d’intelligence.
Ma ci sono dettagli anche più recenti, o curiosi, che indicano una certa familiarità dei russi con elementi dell’Isis. Al processo inglese contro la rete di spie bulgare, quella che faceva capo al grande fuggitivo Jan Marsalek – l’ex capo di Wirecard e reclutatore per conto di Putin in Austria e Germania – è emerso un singolare dialogo. Dice Marsalek, mentre discute con il bulgaro Roussev su come «neutralizzare» (eliminare, ndr) il giornalista Christo Grozev: «Assumiamo un attentatore suicida dell’ISIS per farlo saltare in aria per strada!». Parole agli atti di un processo.
Nebbia e vecchi manuali
In mancanza di qualsiasi prova, tanto meno della pistola fumante, la Germania sta prendendo coscienza e familiarità con la «guerra ibrida» di Putin: sabotaggi, spionaggio, sorvoli di droni sopra basi e infrastrutture critiche (oltre 400 nel 2023).
Quanto agli attentati, un ex ufficiale del servizio esterno BND, Gerhard Conrad – oggi commentatore e analista in tv – avverte che questi sono sempre stati i classici metodi del KGB. «Con queste prove direi che certamente abbiamo qui almeno un sospetto iniziale in termini di intelligence – non in termini di procedimenti penali, ma un sospetto iniziale in termini di intelligence – che dobbiamo seguire». E conclude: «Questo tipo di crimine come provocazione violenta si adatterebbe perfettamente alla cassetta degli attrezzi di quella che chiamiamo guerra ibrida al giorno d’oggi».
Nessuno in Germania esce allo scoperto, tantomeno lancia accuse. Quel che si può dire con certezza oggi è che la Germania non esclude più nulla. E che, tra fughe di notizie e sospetti, si è aperto un nuovo capitolo della guerra delle spie.