repubblica.it, 8 aprile 2025
Dazi, rischio rincari per tariffe mobili e iPhone in Italia. Ecco perché. E Apple pensa all’India
Il prezzo di un iPhone potrebbe superare i 2.300 dollari negli Stati Uniti e arrivare a oltre 2.500 euro in Italia. Non solo: rischiano di rincarare anche le nostre tariffe per i servizi mobili.
Ci sono questi tra gli impatti dei dazi Usa che pesano sull’intera catena di fornitura globale in ambito tecnologico, a quanto emerge da un’ampia gamma di studi e analisi pubblicati in questi giorni.
Anche se le misure di Trump riguardano principalmente l’import statunitense, gli effetti rischiano di colpire anche l’Europa – e l’Italia – sia sul fronte dispositivi (smartphone, tablet, laptop) sia sul piano infrastrutturale, in particolare per quanto riguarda le reti mobili e il 5G. E se gli operatori avranno maggiori costi infrastrutturali, è possibile che scaricheranno questi aumenti sugli utenti: con rincari sulle tariffe. Possibile anche un rallentamento delle nuove coperture 5G.
Un iPhone più caro anche in Italia
Il rapporto causa-effetto è immediato. Se i componenti diventano più costosi a causa dei dazi di Trump, Apple potrebbe aumentare i prezzi non solo negli Usa ma in tutto il mondo, come afferma un report di Morgan Stanley, come già fatto in passato.
L’aumento può arrivare al 43 per cento, quindi il prezzo dell’iPhone più costoso (iPhone 16 Pro Max 1 TB) arriverebbe a 2300 dollari, secondo una stima di Rosenblatt Securities.
I rincari riguardano in proporzione tutti gli altri prodotti Apple, che tra i produttori di tecnologia è uno dei più esposti ai dazi. Apple produce gran parte dei suoi dispositivi in Cina o attraverso partner che si riforniscono da produttori cinesi.
Durante la prima amministrazione Trump, proprio per difendersi da questi rischi, Cupertino aveva spostato parte della produzione in India e Vietnam, che pure però sono state colpite dai nuovi dazi. Ora, ha scritto il Wall Street Journal, starebbe proprio pensando all’India come fornitore alternativo alla Cina, visto che le tariffe sono al 26% contro il 54% verso Pechino. Un dato, questo, che ha spaventato gli investitori che hanno venduto Apple a piene mani portando a un crollo del titolo del 20% in tre sedute, mai visto in un quarto di secolo.
L’obiettivo ultimo di Tim Cook sarebbe comunque di arrivare a spuntare un’esenzione, come già accaduto nel primo mandato. Impossibile pensare di tasferire la produzione negli Usa, perché i costi sarebbero ancor superiori a quelli doganali: “Se i consumatori vogliono un iPhone da 3.500 dollari dovremmo vederlo prodotto nel New Jersey, o in Texas”, ha scritto recentemente la società di ricerca Wedbush.
Apple, per mantenere intatti i margini di profitto, è obbligata ad aumentare i costi. Se lo facesse solo negli Usa, però, il prezzo dell’iPhone diventerebbe troppo caro. Ecco perché le aziende in questi casi, come avvenuto in passato anche in altri settori, tendono ad attutire il colpo spalmando i rincari su tutti i Paesi. In più Apple fissa spesso i prezzi in euro non solo in base al cambio attuale, ma anche tenendo conto di fluttuazioni previste e rischi di svalutazione. Se il dollaro si rafforzasse (come potrebbe accadere in questo scenario di protezionismo Usa e instabilità globale, nonostante per ora domini la debolezza legata al rischio rcessione), i prezzi in euro tendono ad aumentare in parallelo. Già ora l’iPhone costa di più in Europa che negli Usa, del resto.
Rincari sulle reti e tariffe
Il vero impatto sistemico dei dazi è forse però sul lato delle infrastrutture, ovvero tutto ciò che serve per far funzionare le reti mobili. Le apparecchiature necessarie per il funzionamento e l’espansione delle reti 4G e 5G (antenne, stazioni base, moduli radio, chip) sono prodotte da fornitori globali che dipendono da componenti cinesi.
Un’analisi di Light Reading di qualche giorno fa stima che i nuovi dazi potrebbero far aumentare del 7% i costi delle apparecchiature 5G, con ripercussioni sulle spese degli operatori di rete e sul loro flusso di cassa. A sua volta, questo fattore potrebbe rallentare i piani di espansione delle reti in Italia, aumentare i costi di accesso e – in ultima istanza – tradursi in aumenti tariffari o minori investimenti da parte degli operatori.
L’Italia, come altri paesi Ue, ha già adottato un approccio cauto nei confronti di fornitori cinesi come Huawei e Zte, escludendoli progressivamente dalle reti 5G per ragioni di sicurezza nazionale. Ma le alternative – Ericsson, Nokia, Qualcomm – sono spesso più costose. Di qui l’allarme della Telecommunications Industry Association: “A rischio tutta la filiera della connettività”, a causa dei dazi. E a pagarne il fio saranno, a quanto pare, anche i consumatori italiani.